Non
tutti sanno che J.S.
Bach compose
i Concerti
Brandeburghesi
nn. 3 - 5
e 6
ed i Concerti
BWV 1052 e
1056
in quel di Castelbasso, paesino longobardo un tempo ed ora piccolo
gioiello tra le dolci colline abruzzesi che circondano Teramo…
Non
è vero, ovviamente, ma è vero che tra quelle mura di pietre
antiche, tra i vicoli che se ne stanno stretti stretti per battere il
freddo che cavalca il soffio tumultuoso del Gran Sasso, tra le
gigantesche variopinte ortensie ancora in fiore, le note di quelle
composizioni trovano oggi forma perfetta, forse più che in una
paludata sala da concerto. Gran merito certo dell’intelligente
costruzione del programma, e dell’armonica scelta di brani il cui
fil rouge è nella spiccata “vivaldianità” degli accenti.
Nella
quiete della “piazzetta
dietro la chiesa”
- tra gli ulivi e le zolle smosse di mezza estate -
I Solisti Aquilani
e Ramin
Bahrami
hanno disegnato sapienti la magia di Bach,
rese palpabili la serenità interiore e la “ricchezza
della sua anima profondamente religiosa”
* che pervadono anche le opere non sacre.
“La
forza della sua fede, la versatile umanità“
che le sue architetture sonore traducono in irrefrenabile afflato di
salute e di forza, emergono prepotenti nella calda, avvolgente e
coinvolgente esecuzione dei Solisti e di Bahrami, saldandosi in
assoluta coerenza all’augurio di Pace che questi indirizza, come
sempre fa, al pubblico.
Nella
potente energia dei bassi dei
Concerti Brandeburghesi
è in piena luce la presenza ispiratrice del Vivaldi che Bach tanto
ammirava, e il senso irrefrenabile di forza - già richiamato - è
sottolineato dall’intensità con cui è sentito il principio di
tonalità. L’atmosfera da Concerto Grosso da cui i Brandeburghesi
derivano è, insomma, magistralmente ricreata dai Solisti
grazie al
sapiente e calibrato gioco contrappuntistico di tutte le sezioni.
Ed
ecco il Terzo Concerto, tanto incisivo che
se ne
lasciarono ispirare
nientemeno
che i Nice,
il gruppo di “Rock
progressive”
di K.Emerson e S.Howe: nel loro album del ’69 “Ars
longa vita brevis”,
resero omaggio al concetto di forza interiore di quel concerto
componendo un’estensione dell’Allegro,
la cui didascalia concludeva: “Ieri
ho incontrato qualcuno che ha cambiato la mia vita (Bach), oggi
abbiamo creato un sound che indica perfettamente qual è il nostro
obiettivo”.
A conferma - se mai ce ne fosse bisogno - che il genio di Bach
concluse un’epoca, assommandone tutte le caratteristiche e
portandole alla sintesi più perfetta, ed oggi è sempre lì a
indicare “il
difficile cammino della musica contemporanea”*.
Ma,
come scriveva M.Mila, “C’è
di più, un’interiorità profonda, l’eco di un’anima capace di
albergare in sè le più profonde meditazioni sull’uomo, su Dio e
sul mondo”
*. Questo “di più”, Bahrami al pianoforte e Mercelli al flauto,
lo hanno mostrato in tutta la sua forza poetica ampliando e
impreziosendo la già ricca parte orchestrale del Concerto
n.5
Un
tocco vellutato e antico, tipico delle viole, è quello dato poi dai
Solisti al Concerto
n.6, l’esecuzione
del quale
nondimeno hanno saputo colorare di tinte forti ma equilibrate in un
contrappunto serrato fino all’apoteosi dell’Allegro finale.
E’ infine nei Concerti
BWV 1052 e
BWV 1056
che Bahrami esprime tutto il proprio - quasi viscerale - amore per
Bach.
Nel primo dei due, in tipico stile italiano, Bahrami poeta con Bach
attraverso l’invenzione tematica molto melodica: ed è la stessa
profonda intimità tra compositore ed interprete che fece di Chopin e
Rubinstein un binomio indissolubile. Nel secondo, la
matrice vivaldiana – che spicca ad esempio nell'accompagnamento
pizzicato della melodia – non impedisce che le frasi semplici e
lineari e il ritmo di geometrica esattezza abbiano l’inequivocabile
“profumo” di Bach.
Il
pianoforte di
Bahrami
è sempre magistralmente fuso con l’orchestra: mai sopra o sotto
gli archi, mai in contrapposizione, sempre anzi in afflato e sostegno
reciproci; ne è esito felicissimo l’aver reso pienamente
l’integrale nobiltà spirituale e musicale di Bach in
“un
dialogo del Signore con se stesso prima della creazione”
(Goethe)
Più di
ogni parola, vale forse ciò che Bahrami dice di sé in relazione a
Bach:
“L’energia,
l’entusiasmo e la vitalità che la musica di Bach mi ha trasmesso
mi hanno tenuto lontano dai pericoli e dagli smarrimenti che
colpiscono i giovani di oggi. In generale posso affermare con
tranquillità che nell’arte o nella cultura si trovano elementi
estetici che hanno anche un valore etico e indicano la via da
seguire”.
[intervista a L’Espresso del 31.8.2011].
Francesco Di Giuseppe
*
M.Mila: Storia della musica
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