19/09/15
15/09/15
Francesco Del Zompo, art director di UT, al Source di Firenze. Le sue impressioni
Ho trovato un contesto molto simpatico e vivace e la curiosità intorno ai due campioni che ho portato è stata buona. Firenze d'altronde non potrebbe essere diversamente. Polo dell'arte, oggi è ancora fucina di artigianato e design fuori dagli schemi aulici lombardi e classici che conosciamo. Un'associazione Altrove che si può definire un hub, anello di congiunzione e promozione di tante esperienze di ricerca, ricche di contenuti e voglia di contare. Dei talenti l'ho già visti. Gli 'artigiani digitali' che ri-scoprono dei materiali e delle lavorazioni che possono dare nuova linfa al made in italy. Per altre info vedere http://www.sourcefirenze.it/ Francesco Del Zompo |
10/09/15
Que Viva L'Aquila!
Questa
volta non posso scrivere usando la terza persona (come sarebbe
corretto) per “raccontare” la favola della maratona jazz che si è
svolta a L’Aquila il 6 settembre. Non posso usare, in questo
racconto, il distacco di chi recensisce quando gli occhi hanno visto
e sentito il gelo della morte di un città ma anche il calore di
50/60 mila persone accorse non soltanto perché amanti del jazz ma,
soprattutto, per testimoniare la propria voglia civile di ridare
alito vitale a questa città martoriata e umiliata. Se il terremoto
l’ha ferita nella carne il potere ladro, corrotto, osceno oltre
ogni limite (i nomi li conosciamo tutti!) l’ha espropriata, l’ha
calpestata ed umiliata nel suo tessuto umano, urbano e civile. I
crimini commessi a L’Aquila, contro la civiltà e l’umanità,
sono stati perpetrati con fredda determinazione: pensare ad una
Norimberga è troppo giacobino? Questa
maratona è stata un immenso contrappunto: da una parte i puntelli,
le impalcature e gli scheletri dei palazzi violentati e dall’altra
la gioia di esserci, la frenesia di rincorrere i vari concerti, la
fraternizzazione senza retorica tra perfetti sconosciuti: c’era
sempre qualcuno disposto a stringersi per regalarti qualche
centimetro di asfalto su cui sederti ad ascoltare! C’era
sui volti-stravolti, da ore ed ore di pellegrinaggi da una “location”
all’altra, il sorriso di chi ascolta ottima musica. Paolo
Di Sabatino in
Piazza Santa Margherita, Javier
Girotto e
Paolo
Fresu sulla
Scalinata di San Bernardino, Carlo
Morena, Raffaele Casarano e Mirko Signorile, Francesco Cafisoe Mauro
Schiavone, Petrina, Antonello Salis ai
Portici di San Bernardino, il Quartetto
Alborada nella
chiesa di S.Giuseppe artigiano, Enrico
Zanisi, Dado Moroni nella
Basilica di San Bernardino, Enrico
Rava, Danilo Rea, Rita Marcotulli e Maria Pia De Vito
al Duomo sono le perle che ho potuto inanellare non avendo il dono
dell’ubiquità come S.Antonio (ma l’ho tanto desiderato!): i
nostri sorrisi erano quelli di chi, nota dopo nota, riusciva a
sognare la favola in cui gli antichi muri de L’Aquila si
scrollavano di dosso la turpitudine di tubolari e ponteggi da zona
rossa (per la vergogna!!) per riaccogliere i propri abitanti
nell’antica e severa bellezza delle loro architetture e, insieme,
tornare a vivere. Ma se
quella vissuta domenica era la città simile a quella
“come-dovrebbe-essere”, quella che mi ha accompagnato al
parcheggio di Collemaggio, ormai notte, era invece la città dei
vicoli incatenati, dei muri sbriciolati, dei silenzi irreali della
morte e dell’abbandono, la stessa – o pressappoco – dei giorni
di sempre: da quel 6 aprile…e con tanta mestizia sono tornato in
“questa” Italietta.
Francesco Di Giuseppe
09/09/15
“Devils & Dust” *
Frau Angela: dal cinismo finanziario (Grecia) al cinismo umanitario (accoglienza profughi).
Calcoli, non sentimentalismi.
Ma evviva, poteva andar peggio, in questa Europa di nani solo diavoli & polvere.
*Fear's a powerful thing
It can turn your heart black you can trust
It'll take your God filled soul
And fill it with devils and dust
It can turn your heart black you can trust
It'll take your God filled soul
And fill it with devils and dust
[Bruce Springsteen – 2005]
Pier Giorgio Camaioni
04/09/15
In attesa di UT numero 50...
Iniziamo
con dei “giochi” su UT50... Chi li eseguirà tutti (5), con
evidenza scansionata e postata su fb, avrà in premio una t-shirt col
logo del 50°.
Ecco
le coordinate tecniche per il numero di UT numero 50. Il tema è
“Noi”.
Racconti
e pensieri: max 1250 caratteri, spazi inclusi
Poesie:
max 10 righe di 60 battute, spazi inclusi
Scadenza:
30 settembre 2015
Questa
volta la sfida è nella sfida: rompere gli schemi. Già scrivere un
racconto breve per UT comporta uno sforzo suppletivo di sintesi; 2800
battute spazi inclusi non sono uno scherzo ma una perversione. Usarne
1250 sfiora l'impossibile, e a noi l'impossibile piace. Chi ce lo
avrebbe mai detto, in quel lontano marzo 2007, che UT avrebbe
festeggiato 50 numeri bimestrali? Eppure è accaduto, segno
inequivocabile che bastano gli sforzi umani per compiere piccoli
miracoli. Le collaborazioni sono aperte a tutti, ma per l'occasione,
ci riserviamo inviti per coloro che UT l'hanno iniziata e portata
avanti. L'unico pagamento sarà la copia in omaggio che i
collaboratori riceveranno a domicilio (per i francobolli ci stiamo
attrezzando). Ora tocca a voi, collaboratori e aspiranti tali. Mano
alla penna e sursum corda...
03/09/15
#OPPURERIDI La Popsophia dell’umorismo. "Cappello di guardia". Lectio Pop
E’ certo un caso, che il panama di Massimo Donà (filosofo, musicista jazz, accademico) occupi con prepotenza il campo della mia foto, però sembra messo lì apposta a far da guardia, in questo incontro sul tema delle parole: perché la brillante testa che c’è sotto è una di quelle che la parola la cura, la soppesa, ne fa materia di un parlare elevato e rigoroso, di un ragionare e dimostrare che come anche il jazz procede per guizzi e improvvisazioni e fluisce argomentando senza mai perdersi.
Chi meglio di lui, dunque - lo abbiamo ascoltato nelle precedenti giornate del Festival e oggi è con noi tra il pubblico - potrà da sotto l’inseparabile panama “sorvegliare” i suoi colleghi filosofi che dibattono sulle parole: su quelle che non vorremmo più ascoltare perché intossicate da retorica, abuso, moda, ignoranza, e quelle di cui invochiamo – sommessi, intimiditi dal frastuono di una lingua usata a casaccio – una riscoperta di senso.
In apertura è Luca Mastrantonio, autore dell’acuminato “Pazzesco! Dizionario ragionato di un italiano esagerato”, a scegliere per noi gli esempi agghiaccianti di una lingua forse malata terminale e a farci ridere amaro: del gergo dei social, dei borborigmi dei politici, del giornalismo-strillone. Penso, perché proprio oggi scompare il grande Oliver Sacks, a quel suo paziente, a quell’ “Uomo che scambiò sua moglie per un cappello” inconsapevole del danno cerebrale che gli impedisce di associare i nomi alle cose e gli fa credere che la testa della moglie sia un cappello: allo stesso modo la comunicazione nella società di oggi procede ignara delle proprie metastasi, incapace di “intendere quel che vuol dire”. Una lingua folle, quella di oggi - osserva Mastrantonio - molto simile alla minacciosa neo-lingua dell’orwelliano “1984”.
Una lingua “impazzita” può rinsavire? Certo non basta spazzarne via le escrescenze malate; secondo Simone Regazzoni altrettanto importante è restituire senso al suo lessico, ripartire da una riscoperta dei suoi significati profondi. L’esempio viene da alcune parole-chiave che condensano le dinamiche sociali del nostro tempo: prima fra tutte proprio la parola “dialogo”, di cui abbiamo smarrito l’originale significato platonico di scambio da cui nasce la scoperta di qualcosa di nuovo (e in tal senso, dice il filosofo, il “dialogo” per eccellenza è quello amoroso). Il dialogo invece è oggi mero “scambio di atti linguistici” che indicano un orizzonte di senso già dato. come una partita a tennis di cui sappiamo già ogni mossa.
Abbiamo parole abusate, parole la cui apparente valenza positiva sottende ipocrisie ben incuneate nel tessuto sociale: la furba liberalità di facciata della parola tolleranza definisce piuttosto un rapporto gerarchico per il quale accettiamo l’altro senza riconoscerlo, perché il suo nucleo di alterità è forte e ci respinge; altrettanto ipocrita la “modestia” che nasconde l’assenza di coraggio nell’esposizione del proprio valore: tattica reattiva che nella lotta per il riconoscimento ci evita di esporci lasciando all’altro il potere del riconoscimento stesso.
Platone è evocato anche nell’intervento di Cesare Catà, che indica negli aggettivi “platonico” e “pindarico” due parole a cui urge restituire dignità e senso: ci giungono dal mondo antico ed entrambe sollecitano questioni tutt’altro che astratte, legate anzi alle cose in maniera viva, profonda. E come ”pindarico”, nel significare il volo più ardito, è ciò che finisce per toccare il cuore più profondo del problema, così “platonico” è ciò che risale fino all’essenza delle cose; in tal senso lo stesso “amore platonico” è esperienza così intensa da essere anche esperienza del corpo. Così, scherza Catà, “quando la vostra ragazza vi dirà di volere un amore platonico, allora potete saltarle addosso…”.
Numerosi gli spunti di riflessione, in quest’ora di dibattito vivace ma serio, coi filosofi a giocare tra le parole e il pubblico a lanciare in aria con gusto quelle che ognuno maggiormente detesta. Un nutrito elenco, c’era da aspettarselo: da sinergia a sostenibilità, a capitalismo, all’orrido in-qualche-modo, al letale assolutamente e via demolendo. Strano però che non si sia nominato il termine SUV, acronimo dello stupido macchinone ostentato dal 24% degli italiani (fonte Quattroruote). Sarà che nel verde parcheggio del Castello della Rancia - più di 150 auto, tutte medio-utilitarie con rare berline di lusso - ci sono incredibilmente solo 4 SUV. Un bel segnale, no? A meno che non appartengano ai 4 filosofi…
Sara Di Giuseppe
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