Dopo
diversi film deludenti, Wim Wenders trova la sua ispirazione con un
film all’apparenza modesto, ma estremamente ambizioso, una sorta di
melodramma ovattato e misterioso girato in 3D. Con questo ultimo
film Wenders continua il suo percorso artistico, ribadendo la sua
fede nel potere del cinema di esplorare i misteri dell'animo umano.
Negli
ultimi dieci anni, il cinema di Wim Wenders aveva preso un corso
sinuoso, allontanandosi dai temi dei suoi primi film, causando non
poche delusioni tra i suoi fan, o semplici spettatori, che amavano le
sue opere ricche e varie, alcune incoronate come indiscussi
capolavori. Per riassumere, quindi, lo "Stato delle cose",
il regista negli ultimi anni sembrava sempre più a suo agio solo nel
documentario, che lo ha portato ad alcuni acclamati lavori
come “Pina” nel
2011, o il recente “Sale
della Terra”. Per contro,
Wenders sembrava non trovare più un suo posto nei film di fiction
dopo lavori deludenti, come “Palermo
Shooting” del 2008 o “Do
not come knocking” del 2005,
quest’ultimo accolto freddamente a Cannes e nelle sale. Era quindi
con una certa preoccupazione che si aspettava questo ritorno alla
fiction del regista tedesco alla Berlinale con il film “Everything
will be fine” tradotto, come sempre malamente, in italiano,
“Ritorno alla vita”. E la
sorpresa è stata grande, perché con
questo film abbiamo ritrovato un Wenders rigenerato, certamente molto
diverso da quello dei suoi film cult degli anni Ottanta, ma ancora
una volta in possesso della sua arte narrativa, dell’atmosfera e
della sua personalissima sensibilità. Diversi
sono i fattori, alcuni abbastanza nuovi, in grado di spiegare questo
ritorno e questo successo; tra questi il primo è lo
sceneggiatore-scrittore, l'altro il direttore della fotografia. Lo
scrittore si chiama Bjorn Olaf Johannessen ed è l'autore dello
script che di per sé è già un evento nel cinema di Wenders, visto
che è sempre lui stesso lo sceneggiatore e l'autore del soggetto
originale.
Il tema di
fondo della storia non potrebbe essere più semplice. In Canada,
un giovane scrittore, James Franco, in crisi di ispirazione, dopo una
discussione al telefono con la sua compagna dalla quale non vuole o
non può avere figli, uccide un bambino in un incidente di cui non è
in alcun modo responsabile. Inizia per
lui una discesa agli inferi, seguita da un risveglio che lo porta al
successo sia letterario sia nella vita privata trovando l’amore tra
le braccia della sua editor entusiasta del suo manoscritto e già
madre di una bambina. Questa
storia semplice e lineare, è sviluppata da Johannessen in modo
sottile e complesso. Il racconto si muove su una linea del
tempo di oltre un decennio e ogni sequenza temporale si conclude
come una storia autonoma che costringe lo spettatore a colmare le
lacune nella narrazione. Wenders, molto sottilmente, non
traccia il passaggio del tempo sui personaggi che nel corso degli
anni non invecchiano. Niente trucco quindi, solo qualche modifica
sulle acconciature, gli occhiali, e altri capi di abbigliamento. Solo
i bambini crescono e cambiano. E i
bambini, usati come parametri di riferimento per il tempo, sono anche
il paradosso, dal momento che Tomas, lo scrittore, non può averne e
sarà circondato nella sua vita solo dai figli di altri. Tomas
non può che essere un surrogato di padre, mentre suo padre stesso è
un uomo in declino, deluso dalla vita e sempre più estraneo a causa
della demenza che lo ha colpito in vecchiaia. Le tre
donne che segnano la storia di Tomas hanno figli di cui nulla si sa
dei loro padri. Questa estraneità, mai spiegata durante tutto
il film, è accompagnata dalla magnifica ambientazione: un insolito
Quebec, dove si parla solo inglese e che sembra essere diviso in due
centri: Montreal, quasi irriconoscibile, e un villaggio vicino al
fiume dove si accede solo con un traghetto.
L'altra
novità nell’universo di Wenders è il direttore della fotografia
scelto per questo film. Sappiamo quanto questo ruolo sia
essenziale per il cinema di Wenders ricordando la sua lunga
collaborazione con Henri Alekan. Qui la
scelta è caduta su Benoît Debie, che in precedenza aveva lavorato
sui film di Gaspar Noé e più recentemente su “Lost
River” di Ryan Gosling. E’
solo un giro di parole per dire che il suo lavoro è ancora una volta
straordinario, tanto più che Wenders ha scelto di girare in
3D. Questo formato, che ha usato in maniera eccellente per il
suo documentario su Pina Bausch, può sembrare incongruo su un film
che racconta un dramma intimo. Invece, il risultato è brillante
e perfettamente giustificato. Aiutati dal 3D, Wenders e Debie
riescono a creare un mondo mutevole e incerto, perfetta trasposizione
della psiche di Tomas. Wenders,
per tutto il film, moltiplica i riflessi, le immagini nelle immagini,
fotografando i suoi protagonisti in un materiale filmico in continua
evoluzione, senza che ci sia in tutto il film un’inquadratura
fissa. Lentezza dei movimenti e permanenza, riflessioni,
sfocature, fiocchi di neve si combinano per significare che Tomas,
nonostante il suo successo letterario, ha costruito la sua felicità
personale su un terreno psicologicamente instabile, che alla fine
dovrà risolvere. Come si
affronta un lutto e soprattutto come perdonare? Come si può
accettare che una tragedia sia servita da trampolino per la nascita
di un vero talento? Per non parlare del paradosso principale e
il nodo tragico della sua storia: un uomo che non può avere figli
scopre e rivela il suo talento artistico solo dopo aver
accidentalmente ucciso il figlio di qualcun altro.
Nel corso
del film, ci sono tutti i grandi temi "wenderseniani",
infanzia, questioni di fede e misticismo, creazione artistica,
vagabondaggio interiore, toccati forse in tono minore, come quello
usato dalla colonna sonora originale di Alexandre Desplat. La bellezza
del film è anche probabilmente in questa forma di discrezionalità,
che si riflette nella recitazione di tutti gli attori - e delle tre
donne in particolare, una sorta di magico girotondo attorno al quale
rimane chiuso il protagonista costretto ad accettare un confronto
reale, nel corso di un "faccia a faccia" finale che si
rivelerà decisivo.
Regia Wim Wenders. Sceneggiatura Bjorn Olaf Johannessen. Fotografia Benoît Debie. Colonna Sonora originale Alexandre Desplat
Con James Franco, Charlotte Gainsbourg, Rachel McAdams, Marie-Josée Croze, Patrick Bauchau.
Antonella Roncarolo