Non
sempre, a Roma, si respira la mefitica aria di mafia-capitale, degli
intrighi incestuosi tra i voraci reggitori della Città e del Paese,
delle strade-pattumiera e dei servizi fatiscenti; a volte, ad
alleviare il ribrezzo quotidiano del respirare la stessa aria dei
predoni di civiltà e dei loro accoliti, tra queste miserabilia
spuntano isole di pulizia e bellezza. Come quella fiorita venerdì al
Teatro di Villa Torlonia, con quell’ “Intorno
a Ofelia” in cui ha
rivissuto la purezza triste e sfortunata di Ofelia.
Sulle
note di Saint-Saëns,
Chausson,
Berlioz, R.Strauss e Thomas,
la “Roma-Tre
Orchestra“
(sempre più prestigiosa e meritoria istituzione dell’Università
Roma Tre) ha offerto una riflessione in musica sulla vicenda della
fanciulla shakespeariana: riflessione sulla fragilità umana nelle
tempeste della vita; sulla sporcizia dell’intrigo, sulla crudeltà
dell’amore negato, sull’indegnità del tradimento. Ciascun
compositore, a proprio modo, ha “letto” la morte di Ofelia
come l’addio di un’anima innocente e ingenua, schiantata nella
follia dall’insostenibilità del suo essere testimone di
sotterfugi, assassinii e tradimenti:
”Me
misera, che ho visto quel che ho visto, e vedo quel che seguito a
vedere!”. Lettura
composta, levigata ma densa di malinconia e mai eccessiva quella di
Saint-Saëns.
Sottolineato da una fragile nenia (che si
innalza dal mi grave al mi acuto)
il tema della tristezza della fanciulla per la morte del padre nella
“Chanson
d’Ophelie”
di Ernest Chausson.
Romanticamente emozionante nella delicatezza degli accenti in Hector
Berlioz, “La
mort d’Ophelie”
è quasi una preghiera, la semplicità del pianoforte espressiva come
un’orchestra (la sua “orchestra
ideale”?),
mentre il colore della voce accorata fluisce come l’acqua in cui
Ofelia scivola.
“Ai
limiti estremi dell’armonia, della polifonia psicologica e della
recettività dell’orecchio moderno”
* si spinge - come in Salome e Elettra - il Richard Strauss dei tre
Lieder op.67 del 1910: traspaiono, nella rappresentazione della
follia di Ofelia, gli studi freudiani che in quegli anni per la
prima volta scavavano nei tormenti e nelle emozioni represse
dell’animo umano.
“L’aria
d’Ophelie“
dall’ “Hamlet” di Ambroise Thomas è infine “un
florilegio di nuances che sembrano sortire da un flauto ossianico”
(Paul
Bernard) dal fascino lirico indimenticabile, quasi una memoria della
Lucia di Lammermoor….
E’
su quel diafano “Ah!crudele,
vedi le mie lacrime! Ah! Per te muoio!...io muoio!”
che si spegne la rosa
di maggio:
e la voce di Rosaria Angotti ed il pianoforte di Francesco Micozzi –
stupendi ambedue – riescono ad evocare il profumo delle pervinche
che Ofelia stringe in mano mentre il fiume l’accoglie.
Non
si esce immalinconiti dall’argomento trattato, è la forza
consolatrice dell’arte; ci si sente anzi appagati e leggeri per
aver condiviso con amici perfettamente sconosciuti emozioni e
conoscenze: come quando ci si trova fra amici - perfettamente
conosciuti - a parlare di arte e di altre cose belle, con un buon
bicchiere di vino e con la tv rigorosamente spenta!
*
(R.Strauss da “i grandi musicisti” H.Schonberg)
Un
ringraziamento speciale è doveroso verso il professor Jacopo
Pellegrini che ha introdotto i temi della serata in modo veramente
completo e con la semplicità tipica delle persone di profonda
cultura.
Francesco Di Giuseppe
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