Luca Mannutza, pianoforte Paolo Recchia, sax Francesco Lento, tromba Matteo Bortone,
contrabbasso Lorenzo Tucci, batteria
CottonJazzClub / C=Lounge – Ascoli Piceno
Tornando dal Cotton, lungo la superstrada ripasso mentalmente il bel concerto, e i “pensieri della notte” mi si aggregano intorno ad un preciso concetto: Luca sa fari jazz. Tutto il quintetto, naturalmente. Inconfrontabili: suonano musiche “di proprietà”, tutte composte da Luca Mannutza (che infatti prima di cominciare, scambiate due affettuose chiacchiere di saluto, corre diligente a compilarsi il Borderò SIAE).
Uno sguardo al passato ma non troppo, atmosfere “classiche”, circa anni ’60. Attualizzate, specie nella tecnica. Ma niente di inutilmente spettacolare, non gli serve: ognuno col suo bravo spartito come traccia, qualche sguardo laterale d’intesa, e imperturbabile concentrazione. Imperdibili assieme di rara precisione, quindi gli strumenti che si alternano con ordine come nelle vecchie orchestre: senza renderti prevedibile l’imprevedibile ti “accompagnano” nell’ascolto, quasi ri-equalizzando ogni volta la tua attenzione. Così non ti affatichi, rimani sulla corda, assorbi, capisci, pensi. Eh, questi sanno fare jazz.
Lo stile di Mannutza non rassomiglia a nessuno. Sta al piano come ad una grande consolle, articola le dita con energia ed elegante nervosismo, pare che componga al momento. Invece Five Sounds è un progetto studiato nei dettagli, stratificato nel tempo, con giovani attori-musicisti di talento passione e spiccata personalità, che interpretano - rispettandola - una rigorosa “scenografia”. Equilibrio nei volumi di suono, nei fraseggi, nei silenzi e nelle pause, nei cambi di ritmo e di tempo (frequenti i 5/4, un po’ mascherati, come usava negli anni ’60/’70). Sembra quasi che si scusino per esser così bravi. Quintetto fantasioso eppure sobrio.
Difficile ricordare ogni singolo pezzo: mica fanno motivetti. E’ l’insieme che ti si piazza in testa. Però, ah il terzultimo brano! Fascinoso e stupefacente. SAFARI. Luca stesso ci tiene a presentarlo: forse perché, penso, condensa il carattere dell’intero concerto. Non so se il nome l’abbia scelto dopo un safari - solo fotografico, certo - in Africa. Ma quell’estenuante misterioso rischioso notturno duetto-duello piano/batteria a distanza…di sicurezza, mi evoca prepotente il fitto “colloquio” tra due superbi possenti agili re della savana equatoriale, che senza aggredirsi si fronteggiano a lungo e il linguaggio di ognuno disegna nell’aria mille sfumature. Luca Mannutza quei linguaggi incomprensibili forse li ha ascoltati, li ha capiti. E scritti. Eh sì, Luca sa fari jazz.
PGC
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