Il
testamento di Tito*
Si
è parlato di emergenza topi a Roma ma, parafrasando De Andrè, non
ho provato stupore. Di che stupirsi ancora, se i lanzichenecchi
governanti ed i lanzichenecchi governati hanno avuto il sopravvento,
se da quel 16 maggio 1527 non se ne sono più andati e la loro
progenie banchetta sulle spoglie della città più bella del mondo?
Eppure,
come una maga benevola, questa città sa far risorgere lo stupore:
può accadere, quando un gruppo di persone - “Arte20” - organizza
sulle rive del Tevere, sotto la collina dell’Aventino, concerti
come quello dell’ “Alessandro Carbonare Trio”.
La
magia è il profilo notturno delle chiese di S.Alessio e S.Sabina; è
il palazzo dei Cavalieri di Malta (quello dove appoggi l’occhio
alla serratura e vedi S.Pietro); è il giardino degli aranci nel
controluce della luna crescente. Lo stupore è ascoltare quelle
musiche così diverse tra loro e così uguali nella maestria
dell’esecuzione.
La
maestria, tecnicamente intesa, è il saper “governare” la
complessità di uno strumento difficile come il corno di bassetto,
amatissimo da Mozart. La maestria che diventa arte è quella con cui
il Trio estrae dallo strumento sonorità che restituiscono al
pubblico, intatti, i variegati “colori” mozartiani del
Divertimento k439b n.1: gioiello architetturale per tre corni di
bassetto che il Trio propone nella versione originale. L’onda dalla
cresta spumeggiante dell’Allegro iniziale comincia a smorzarsi nel
primo Minuetto trio per placarsi poi, delicatissima, nell’ adagio
centrale; l’onda risale ancora nel secondo Minuetto trio, torna a
spumeggiare nel Rondò allegro finale; porta la frescura del mare
alle labbra degli ascoltatori, genera il sorriso che solo la vera
bellezza sa regalare.
Impresa
non da poco è anche rendere pienamente la freschezza e la modernità
della Sonata per due clarinetti di F.Poulenc. A dispetto
dell’immagine di autore “facile” che rischia spesso di
accompagnare questo compositore, i Nostri ne hanno messo in evidenza
la ricchezza e complessità, gli echi strawinskiani, debussyani (pur
non amando molto Debussy) o i sapori dell’ art nègre, quasi jazz che in
lui ritroviamo, fortemente pervasi del “suo” spirito francese.
Maestria
è, ancora, quella con cui il Trio asseconda le dinamiche della “Jazz
Suite” di Chick Corea: e qui la mente vola verso Miles Davis,
Stanley Clark, Pat Metheny e tutti i grandi con cui ha percorso le
tappe di una vita veramente geniale (22 Grammy Awards vorranno dire
qualcosa), il cuore respira il profumo delle sue tipiche sonorità
inconfondibilmente morbide (quasi latine) ma anche di quelle più
astratte come nel “Solo” che Luca Cipriano estrae con
impressionante maturità.
Se
poi ci si stupisce ancora perché qualcuno abbia saputo scrivere ben
otto variazioni (WoO 28) su un tema semplicissimo come il mozartiano
”Là ci daremo la mano” - dandoti la cifra della grandezza di un
tale Beethoven - , vuol dire che questo miracolo è frutto di una
bravura come ce ne sono poche in giro, e di bravura non può che
trattarsi se sai convertirti nella travolgente Klezmer suite finale.
Ultimo bis da standing ovation - anche per chi le detesta - per
l’assolo di un Alessandro Carbonare in gran forma: ti compiaci di
averlo conosciuto e già apprezzato tanti anni fa alla Galleria
Nazionale d’Arte Moderna di Roma – nei concerti dei “Fleurs
bleues”.
Francesco Di Giuseppe
*F.De
André, “La buona novella”, 1970
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