“Don Chisciotte contro i treni” potrebbe essere un’adventurosa variante del celebre romanzo.
Certo è che il Nostro deve averli molto spaventati, se stasera ne sono passati solo tre, invece dei soliti cinque o sei.
Eppure più impressionanti dei mulini a vento, e veloci come frecce anziché immobili, e minacciosi e sferraglianti anziché misteriosi e silenti come i “giganti”. Davvero terribili.
Eh, già, nel ‘600 in Spagna c’erano i teatri e altre cose, i treni ancora no… Neanche la fantasia di Cervantes poteva immaginarsi cotanta tecnologia.
Ma noi abbiamo il nostro Vincenzo Di Bonaventura - attore solista che stasera, in un’ora scarsa, magheggia con tutta la complicata umanità dei due personaggi principali, scava nei caratteri pensieri sentimenti coraggi paure fantasie sogni generosità egoismi debolezze solitudini speranze stranezze passioni amori follie slanci bassezze… Vivi e vicini, attuali, contemporanei. Quelli ci appaiono fotografie di noi, sono i nostri Totò e Peppino, i nostri Alberto Sordi del ‘600.
Senza trucchi senza inganni, senza luci aggiuntive oltre i punitivi neon da Ufficio del Catasto (o da ex Dep. Ferroviario), niente microfoni, musica, comparse, aiuti. E sono botte vere (non quelle che prende, che è come le avesse prese davvero) ma quelle calate col potente bastone sui legni del “palcoscenico”, sul cemento e sulle scale, sulle ringhiere esterne - sui treni no perché sono scappati - e sui muri di questa improvvisata “locanda” che Don Chisciotte crede sia un castello: dove alla fine noi 30 si mangia tutti insieme pane e prosciutto di campagna e si beve passerina sublime, per chiudere in amicizia il ciclo di spettacoli estivi.
Chissà cos’altro ci riserverà ottobre, e dopo ancora. Sarà sempre fulminante. Sarà sempre il martedì.
I treni sono avvisati.
PGC
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