Facciamo
il caso che due musicisti, uno sardo l'altro marchigiano, decidano di
suonare insieme. Secondo voi quali sarebbero i loro strumenti? Paolo
Fresu, sardo di nascita e di cittadinanza, è uno dei trombettisti
più famosi al mondo. Un sardo, quindi, cosa avrebbe potuto suonare
se non uno strumento a fiato? Basti pensare che se materialmente i
sardi non lo posseggono, usano la voce, la base delle cornamuse, la
melodia delle ciaramelle e le sonorità che ne vengono fuori sono da
brividi. L'altro è Daniele Di Bonaventura, marchigiano (fermano) di
nascita e di cittadinanza, maestro riconosciuto del bandoneon. Ora,
sempre secondo voi, se un marchigiano deve usare uno strumento cosa
sceglie legato alle tradizioni della terra di origine? Il
contrabbasso? No, la fisarmonica e i suoi figli piccoli, il du' botte
o il bandoneon, che sarà pure di origini tedesche e sostituiva
l'organo nelle chiese povere ma si è affermato in Argentina come lo
strumento della tango-perversione ma, nel bandoneon, quanto di du' botte c'è!
In una
serata che già dai nomi si prospetta magica, tutto ci saremmo
aspettati meno che venisse fuori la poesia, e senza l'uso delle
parole. Si inaugura l'auditorium del Cotton Lab, un intero edificio
dedicato alla musica e al suo insegnamento, un luogo che si
preannuncia come l'unico, in Provincia, in grado di essere
polifunzionale, una vera e propria oasi in un deserto culturale che
da tempo è più segno d'imbarazzo che di metafora del nulla. “E non
sarà solo musica”, ci dice Emiliano D'Auria che del Cotton Jazz
Club è il direttore artistico, un chiaro segno di come la cultura
regni in questo angolo di mondo caldo e accogliente.
Il
concerto di Fresu e Di Bonaventura è straordinario e lo diciamo
subito a scanso di equivoci. Loro sono musicisti dotati di una classe
sopraffina e un'eleganza che non si riscontra facilmente in un mondo
nel quale spesso i musicisti si guardano allo specchio e si dicono
“sei unico”. La melodia impostata da Fresu, trova in Di
Bonaventura il giusto alter ego. Nessuno di loro è il solista,
nessuno l'accompagnatore perché la maestria con la quale si
propongono li pone sullo stesso, altissimo livello. Ce lo aspettavamo
ma ora ne abbiamo la conferma.
Propongono
un giro del mondo in musica in ottanta note, in mille sfumature, in
un milione di sensazioni che destano e rendono vive con un tocco
(magico) dei loro strumenti. La tromba o il flicorno o gli effetti
che Fresu addomestica con un gusto che gli impedisce di andare sopra
le righe, sono, da una parte, la descrizione del tema guida, della
linea melodica, dall'altra il riempimento di pause e spazi che
completa una esibizione di un livello decisamente superiore. Nel
concerto c'è di tutto, si spazia da O que serà di Chico
Buarque a Non ti scordar di me di Furnò/De Curtis, per
arrivare a Que reste-t-il de nos amours di Trenet fino al tema
conduttore di Torneranno a fiorire i prati, il film di Ermanno
Olmi che Di Bonaventura e Fresu hanno musicato. Lo schema è quello:
si parte con la linea melodica chiara, quasi sillabata, e si viaggia
per improvvisazioni che sanno di genialità ma soprattutto di
eccellenza. Il loro accordo, la loro intesa è pressoché perfetta,
mai una sbavatura, mai una nota fuori posto. Non riusciamo a
percepire neppure uno straccio di errore (di cui scrivere
divertendoci sadicamente un po') o una nota sbagliata in svisature
che sanno di funambolismo e di prestidigitazione, di padroni assoluti
dei rispettivi strumenti, di maestri ineguagliabili di quella musica
che si scrive con la M maiuscola.
Questo
concerto ci ha rasserenato, riconciliato con quel mondo dello
spettacolo troppo spesso devastato da “geni incompresi” o figli
di un marketing senza scrupoli e pudore. L'auditorium, stracolmo, ha fatto il
resto con una partecipazione rara da vedere in un concerto Jazz, e
che ha fatto dire a tutti (abbiamo il vezzo di tendere l'orecchio
dopo il concerto per ascoltare il parere del pubblico che spesso non
condividiamo): serata magnifica. E tanto è stato.
Massimo
Consorti
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