Ed è arrivato anche il finale con il du' botte, l'organetto caro alle campagne marchigiane. Un colpo basso perché, in quel momento, abbiamo rivisto nostra madre ballare il saltarello sull'aia e il colpo, da basso, si è trasformato in alto, dritto al cuore. Partiamo però dall'inizio.
"Frontiere" è sostanzialmente un recital a due voci. La prima, quella narrante, appartiene a Pier Giorgio Cinì, calda, ammiccante, suadente anche quando racconta di crimini e misfatti, di solitudini ed emergenze, di quel viaggio infinito che dovrebbe estirpare dal petto il dolore per le guerre e le violenze mentre, spesso, si trasforma in delirio pre mortem. La seconda, niente affatto umana e più strumentale, è la fisarmonica di Sergio Capoferri che ripropone senza mai prevaricare la voce, le melodie mediterranee, quelle intrise di mirto e origano, di salvia e basilico che accomuna sponde e culture.
I testi interpretati da Piergiorgio Cinì sono quelli di Sereni, di Magris, di De Signoribus, di De Luca, di Sciascia, di Leogrande, di 'Ngana e della Szymborska e tutti si intersecano e si mosaicizzano, si integrano e dilatano pur avendo, nella maggior parte dei casi, come spunto di partenza il mare. Un po' ruffiano? Forse sì, come le cartoline dei tramonti, ma terribilmente efficace perché, almeno per quello che riguarda la nostra penisola, sul mare viviamo e sul mare spesso moriamo.
Questa sera le frontiere rappresentano più di una linea geografica delimitatrice di spazi, raffigurano una dimensione ideale e immateriale, sono percettibili e diafane. Sono le frontiere dell'anima e delle sensibilità, della capacità di sentirsi donne e uomini messi di fronte a contesti devastanti.
Assumono la struttura dei muri che quotidianamente innalziamo per proteggerci dalle diversità che ci mandano in panico, invece di considerarle confronti e arricchimenti. Sono la forma violenta del nostro essere "occidentali" chiusi in casa a rimbecillirci con la tv, quando basterebbe aprire la porta per far entrare aria fresca e un po' di umanità. I bambini non concepiscono la frontiera, è una dimensione che non appartiene al loro mondo fatto di giochi e di corse a perdifiato per i viottoli di campagna e sulle dune del deserto. Per i bambini la frontiera rappresenta un concetto inafferrabile, semplicemente, nel loro mondo, non esiste.
Pier Giorgio Cinì ci trasferisce i testi con tutto il calore e la passione che meritano, con il suo modo di fare asciutto e mai sopra le righe. Bastano un gesto o una increspatura della fronte per trasportarci dentro la storia e farcela vivere con la partecipazione che merita. Esibizione elegante e terribilmente "umana".
Il maestro Capoferri lo segue, e lo completa, con la discrezione che un recital così delicato merita. Purtroppo, nella nostra vita, ne abbiamo sentite di fisarmoniche che urlano, quella di Capoferri non lo fa e, insieme al tocco leggero, mette quella sensibilità che permette a un musicista di fila di essere un solista. Se un appunto ci sentiamo di muoverlo, riguarda l'esecuzione della Toccata e Fuga in re minore di Bach. Nell'immensa difficoltà che un adattamento per fisarmonica comporta, forse un altro anno di studio lo porterebbe a un livello decisamente più alto.
Finisce così la 22 edizione dei Teatri Invisibili. Un solo rimpianto, se fosse durata di più sarebbe stata "cosa buona e giusta" (ma forse lo dice qualcuno più in alto di noi).
Massimo Consorti
PS. Chiedo scusa per la qualità delle fotografie. Sono un giornalista fai da te che di solito scrive solo.
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