Il
motivo principale per il quale siamo andati a sentire questo concerto
era lui, Cyrus Chestnut. Ascoltato e ammirato fin dai tempi di Kansas
City, il film di Robert Altman del 1996, da Chestnut ci aspettavamo
una conferma e una scoperta. La conferma riguardava il ruolo di star
di prima grandezza del Jazz mondiale, la sorpresa invece era legata
più a un aspetto “lunare”, quasi immateriale, di saper suonare,
di produrre note in quello spazio siderale che porta al godimento
estatico della musica che si sta ascoltando.
Un
estraniamento dal corpo e dalla materialità di un palcoscenico
costruito per artisti ed esecutori, per proiettarci direttamente
lassù, dove l'aria è rarefatta e si respira a fatica per colpa
dell'ossigeno puro. Tutto ciò è accaduto. Chestnut ha davvero il
“tocco del diavolo” o se si preferisce “dell'angelo”, tutto
dipende dai punti di vista. Orfani del Keith Jarrett pre-marchette ma
soprattutto di Michel Petrucciani, andavamo alla ricerca da tempo di
un pianista che sapesse non diciamo emularli, ma farci prendere atto
che la “tastiera lunga” non era finita con loro, che esisteva
qualcuno in grado di portare avanti un discorso innovativo pur avendo
radici solidissime nella tradizione, di quel genio che sperimenta
sapendo di farlo e mette in gioco tutta la sua creatività e abilità.
Per cui, dal richiamo all'Honky Tonky ai passaggi Blues, dal Be Bop
al Free, dal Gospel al Soul, Chestnut è sembrato padrone assoluto di
tutti i generi possibili che mixa per crearne uno suo. Le dieci dita
con cui suona, diventano prolungamenti dei martelletti, con il
risultato che il suono inizia prima che tocchino la tastiera. E poi,
ancora, quel particolarissimo “tocco vibrato” che, lo diciamo con
un amore sconfinato, avevamo ascoltato solo da Petrucciani, a
Bologna, il 27 settembre di quasi venti anni fa. Se si pensa che
ancora oggi, nonostante un palmares di prim'ordine, gira le chiese di
Baltimora per suonare Gospel, ci si può e deve rendere conto che al
di là dell'artista c'è l'uomo e che la stazza, notevole di Cyrus,
nasconde spesso spunti di gentilezza ai quali gli esseri umani
contemporanei non sono più abituati. Chestnut è un pianista
eccezionale, trovare altre parole per definirne l'arte è davvero
complicato.
Ma al
Cotton Jazz Club di Ascoli Piceno, c'erano anche gli altri musicisti: Darryl
Hall al contrabbasso, Bern Reiter alla batteria e la cantante Chiara
Pancaldi. Purtroppo, con un leader di tanta grandezza, il loro ruolo
può apparire secondario, quasi da sottofondo, però in alcuni
momenti non è stato così.
Darryl
Hall, abito a tinta unita di taglio italo-americano e cravatta
abbinata con gusto, è un fior di contrabbassista. Anche lui mischia
generi e sonorità con grande competenza e professionalità. Si
lascia andare ad assoli che ne denotano tecnica raffinata ed estrema
musicalità e, diciamolo, nel Blues eccelle e tutti sappiamo quanto
sia difficile suonare Blues a certi livelli. Dotato di una ottima
velocità, volendo proprio muovere un appunto alla sua esibizione,
potremmo dire che è risultato a volte piatto, unicorde e mono-tono
anche se i contrappunti con il contrabbasso non sono propriamente uno
scherzo.
Bern
Reiter, abito a tinta unita scura, cravatta (oddio!) abbinata e
fazzoletto bianco a triangolo nel taschino, è un batterista che ha
svolto onestamente e scolasticamente il suo lavoro. Non abbiamo
appunti né osservazioni particolari perché ha una tecnica
invidiabile anche se, e ne siamo sempre convinti, la tecnica da sola
non basta.
E chiudiamo con Chiara Pancaldi, vestito nero attillato,
bella presenza scenica, indubbiamente una bella voce. Abbiamo
stentato molto a percepire nelle sue modulazioni spunti originali.
Bella tecnica, gorgheggi e improvvisazioni non sempre azzeccati,
voglia di rendere la voce uno strumento musicale a parte. È riuscita
a vocalizzare l'idea di musica di Cyrus Chestnut? Questa è la
domanda che ci siamo posti sulla strada del ritorno a casa, con la
pioggia che aveva smesso di cadere e la strada lucida da periferia di
Baltimora. Il fatto è che le voci, tutte le voci che abbiamo
ascoltato, sembra non c'entrino nulla con il Jazz e che si adattino
molto di più al Blues e alla Bossa Nova. Esattamente come questa
sera. Un po' come sempre.
Massimo Consorti
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