11/11/16

Roma Youth String Orchestra. Da 11 a 16 anni: come fare bene musica



Suonano insieme da due anni soltanto, sotto la direzione del maestro Alberto Vitolo, ma lunedì 31 ottobre, nella chiesa di S.Francesco a Ripa, a Roma, hanno mostrato maturità e sensibilità musicale fuori dal comune: non un miracolo di S. Francesco (che nei luoghi di questa chiesa ha dimorato) bensì il concretarsi di un impegno e di un’attenzione alla musica da cui è scaturito il concerto:bello nel programma, esatto nell’esecuzione, sensibile nell’interpretazione e…tenerissimo nei volti dei musicisti ragazzi(ni).

Perché un concerto sia bello non basta che abbia nel programma nomi altisonanti di compositori, se tra questi manca un raccordo tematico.
Telemann, gli Scarlatti e Vivaldi hanno la giusta omogeneità (non stilistica, certo) di una ragionata scelta “barocca” dell’ambient da realizzare: un concerto è pur sempre una magica atmosfera e bisogna che profumi di magia….

Esattezza non significa solo corretta esecuzione delle sequenze di note e accordi sul pentagramma: è anche capacità di eseguirli alla giusta “altezza” (e in un’orchestra di soli archi non è cosa da poco), con l’esatta “intensità” che faccia convivere armonicamente i suoni deboli e quelli forti, con il giusto “timbro” che consenta di individuare gli strumenti. Tre elementi costantemente presenti in questo concerto: qualche minima incertezza o piccole inevitabili sbavature d’insieme (che l’esperienza saprà correggere) non sminuiscono la bella esecuzione di questi “pargoli”.

Il concerto per 4 Violini in G major di Telemann - il "Vivaldi" tedesco - presenta un carattere vigoroso e al tempo stesso ricco di umore e immaginazione. L’esecuzione, pur lievemente “acerba”, sa cogliere la pacatezza malinconica del “Largo” del 1° movimento, la riflessività dell’ “Adagio” del 3°, ma anche la brillantezza dell’ “Allegro” e del “Vivace” del 2° e del 4° movimento.

Il conte F. M. Zambeccari, acuto indagatore dei costumi musicali della propria epoca e contemporaneo di Alessandro Scarlatti, scrive: “E’ un grand'uomo, e per essere così buono, riesce cattivo perché le compositioni sue sono difficilissime e cose da stanza, che in teatro non riescono, in primis chi s'intende di contrapunto le stimarà; ma in un'udienza d'un teatro di mille persone, non ve ne sono venti che l'intendono” …E pensare che questi fanciulli ne hanno suonato il Concerto Grosso n.3 in modo davvero encomiabile!

Come scrive il pianista/clavicembalista A.Sollazzo a proposito di Domenico Scarlatti “Le Sonate si nutrono di una estrema libertà timbrica difficile da immaginare legata solo al clavicembalo. […] La fantasia di Scarlatti trascende lo strumento a sua disposizione…”. E’ proprio quella “ libertà” che la giovane orchestra trasfonde negli archi della Sonata n.5, creando un corpus compatto ma agile, articolato e mai dissonante, con - anzi - totale rispetto della cantabilità italiana, trascinata da un superbo Alberto Vitolo specie nel 1° movimento.

La sinfonia “Al Santo Sepolcro” di Vivaldi è di certo una scelta coraggiosa del M.o Vitolo. Qui contano non solo la musica (intesa come suono) ma soprattutto l’intensità emotiva che ne scaturisce.

Il primo movimento, col suo grave incedere intriso di religiosa meditatività e intimo cordoglio per la Passione di Cristo, esprime tutta la sua intensità con l’accurato dosaggio del raddoppio dei violoncelli (rigore della tessitura quasi fiammingo), mentre il carattere fugato del secondo movimento non impedisce ai ragazzi(ni) di cogliere il raccoglimento profondo evocato dal breve richiamo all’adagio iniziale, all’interno del 2° movimento stesso.

Per tornare alla vivacità occorreva un brano forse unico nel suo genere per difficoltà, asciuttezza e impeto: la “Follia” di Vivaldi (chi altri?).

Genere musicale nato in Portogallo intorno al 1500-1600 per accompagnare danze di pastori e contadini in occasione di un rito della fertilità – in cui i danzatori portano sulle spalle uomini vestiti da donna - la Follia, pur depurata in funzione del lento e maestoso incedere delle celebrazioni della corte di Francia, in Vivaldi riacquista un che di demoniaco: il crescendo di variazione in variazione sul tema iniziale ripetuto ossessivamente (ora più lento ora più veloce come un pensiero martellante), fino ad esplodere nei due ultimi minuti in una percussione degli archi impetuosa ed esplosiva; il trasformarsi in un sempre più frenetico volo di archetti sulle corde, sempre conservando l’eleganza delle forme vivaldiane, fino all’assopirsi, esausto il cervello, nel finale.

Realizzare tutto questo è compito abbastanza ingrato per qualsiasi ensemble, anche smaliziato: sentirlo e vederlo (meravigliosi i volti nello spasmo della “furia”) così ben interpretato da musicisti “ragazzi(ni)”, è una carezza al cuore e alla mente.

Francesco Di Giuseppe

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