In
questa poesia come in grani d’un rosario, le parole scandiscono una
ad una il loro viaggio, animandosi dentro il proprio suono, ripetendo
a voce alta anche quello che è un sussurro.
E così esse sbocciano da un lungo desiderio, scivolano sulla pagina evocando l’origine di quel che fu e di quello che ancora dev’essere. Così la Poesia s’innalza fino al limitare della notte, in quello che la mente e i sensi rincorrono dentro un crepuscolo, nella voce che ignara dice cose di sé e si traveste, sotto un manto di rimembranze. Offre a chi legge la sua mano nuda, china tra i fogli a raccontare, ad immergere l’inchiostro delle parole nel tremore e nel sogno di ogni giorno. Guido trascrive ciò che “ditta dentro”, dove la saggezza affronta il limite dell’ingenuità, e disciolta si offre al lettore lungo tutti i suoi giorni, che come fiammelle tralucono eternità e dolore, gioia senza una terra in cui posarsi, volo d’ali nel cielo del proprio avvenire, e del presente profilo docile d’appartenenza.
Un pellegrinaggio dentro le giornate di un verbo onnipresente, una magia che si ripete e si traduce ogni volta. Si alternano le innumerevoli definizioni di quello che fu ed è la poesia, piccola grande Arca contro il diluvio, colomba incandescente che scrive il suo tragitto, le sue orme nella sete d’Assoluto, e riesce a stamparsi nell’immaginario di chi legge come un disegno a china, o un origami delicato e trasmesso all’intelligenza, in questa che è una storia di verità e amore.
Così si passa attraverso un diario costante, un interrogativo nudo, purissimo nel sentimento comune che affratella e si trascende in infiniti rimandi, giochi e segni che il volo e l’agone di Guido trascrivono su sabbie e acque, silenzi, stagioni e argini.
Si levano i versi a tradurre un’innocenza struggente, oltre che un verbo lucido, infinito, dove si nasconde l’angelo della Poesia, e il suo tremore di perla che si teme perduta, e invece è un sempre più vigile segnale di bellezza, di bontà e amore.
Non smetterò di leggere, tornerò, nella culla di questi pronunciamenti carichi di inedito splendore, a cercare altri indizi, disegni, culle, straordinarie ellissi, carambole di un verso padroneggiato al millesimo e per questo, vago, indimenticabile.
E così esse sbocciano da un lungo desiderio, scivolano sulla pagina evocando l’origine di quel che fu e di quello che ancora dev’essere. Così la Poesia s’innalza fino al limitare della notte, in quello che la mente e i sensi rincorrono dentro un crepuscolo, nella voce che ignara dice cose di sé e si traveste, sotto un manto di rimembranze. Offre a chi legge la sua mano nuda, china tra i fogli a raccontare, ad immergere l’inchiostro delle parole nel tremore e nel sogno di ogni giorno. Guido trascrive ciò che “ditta dentro”, dove la saggezza affronta il limite dell’ingenuità, e disciolta si offre al lettore lungo tutti i suoi giorni, che come fiammelle tralucono eternità e dolore, gioia senza una terra in cui posarsi, volo d’ali nel cielo del proprio avvenire, e del presente profilo docile d’appartenenza.
Un pellegrinaggio dentro le giornate di un verbo onnipresente, una magia che si ripete e si traduce ogni volta. Si alternano le innumerevoli definizioni di quello che fu ed è la poesia, piccola grande Arca contro il diluvio, colomba incandescente che scrive il suo tragitto, le sue orme nella sete d’Assoluto, e riesce a stamparsi nell’immaginario di chi legge come un disegno a china, o un origami delicato e trasmesso all’intelligenza, in questa che è una storia di verità e amore.
Così si passa attraverso un diario costante, un interrogativo nudo, purissimo nel sentimento comune che affratella e si trascende in infiniti rimandi, giochi e segni che il volo e l’agone di Guido trascrivono su sabbie e acque, silenzi, stagioni e argini.
Si levano i versi a tradurre un’innocenza struggente, oltre che un verbo lucido, infinito, dove si nasconde l’angelo della Poesia, e il suo tremore di perla che si teme perduta, e invece è un sempre più vigile segnale di bellezza, di bontà e amore.
Non smetterò di leggere, tornerò, nella culla di questi pronunciamenti carichi di inedito splendore, a cercare altri indizi, disegni, culle, straordinarie ellissi, carambole di un verso padroneggiato al millesimo e per questo, vago, indimenticabile.
Enrica
Loggi
UNA
STORIA
Ma
tu portami tra aspre luci o stelle
tra i fiammanti monti dove dormi
tra l’erba a tarda sera dove un poco
ti riposi insieme ad ogni lettera del mondo.
Ti scrivo da qui, da questo tavolo remoto
su questi fogli simili al solco del tuo cuore
dove il tempo polveroso ha sua dimora
e tu riposi un po’, mia ombra, mia dolce
amica che sembri oscillare al lume
di candela, sul bianco chiarore della luna…
tra i fiammanti monti dove dormi
tra l’erba a tarda sera dove un poco
ti riposi insieme ad ogni lettera del mondo.
Ti scrivo da qui, da questo tavolo remoto
su questi fogli simili al solco del tuo cuore
dove il tempo polveroso ha sua dimora
e tu riposi un po’, mia ombra, mia dolce
amica che sembri oscillare al lume
di candela, sul bianco chiarore della luna…
Ma
portami tu altrove o più lontano
raccogli quella foglia e di questa prendi
leggerezza e trasparenza e donala
a chi sai, a quelli che di te desiderano un cenno…
E poi ritorna ma non voltarti più sulla tua strada
ma di questa segna le mappe ordina la bussola
in questo viaggio perplesso…
Tu lo dichiari forte, lo annunci come un canto
tra le costellazioni che lontane splendono
dall’alto di ogni luce che penetra nei luoghi
più riposti, cantine e nicchie della nostra storia.
raccogli quella foglia e di questa prendi
leggerezza e trasparenza e donala
a chi sai, a quelli che di te desiderano un cenno…
E poi ritorna ma non voltarti più sulla tua strada
ma di questa segna le mappe ordina la bussola
in questo viaggio perplesso…
Tu lo dichiari forte, lo annunci come un canto
tra le costellazioni che lontane splendono
dall’alto di ogni luce che penetra nei luoghi
più riposti, cantine e nicchie della nostra storia.
Guido
Garufi, “Fratelli”
(Nino Aragno
Editore, 2016)
Enrica Loggi
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