Pensando alla “bellezza funzionale” del luogo - il COTTON LAB dei D’Auria - e alla perfetta irrazionalità del concerto di Eddie Henderson, mi viene in mente (anche se può essere un’ardita fesseria) il concetto di “Sezione Aurea”. Del Jazz, in questo caso. Proprio quella “Sezione Aurea, o Divina” chiamata phi, sorta di Pi greco, magica diavoleria che si è scoperta e studiata in altri tipi di musiche - classica, contemporanea - analizzandole a posteriori come in una TAC.
Ne risulterebbero “affette” composizioni di Mozart, Debussy, Bartok, Stokhausen… Brani di infinita bellezza, dalle cadenze la cui perfezione - analizzata dagli studiosi e di non semplice comprensione per noi profani - è riconducibile a certe emozionanti meraviglie architettoniche del passato, ad alcuni capolavori di pittura antica e moderna, o alla prodigiosa matematica quando s’incrocia con la geometria più visionaria misteriosa e affascinante, presente anche in natura.
Ma le dissonanze “estetiche” del Jazz, le sue evanescenti invenzioni, le irripetibili improvvisazioni, i suoi enigmi e i bagliori, non potrebbero ricondurre anch’essi - certo non so come e quando - a una qualche formula di rara Sezione Aurea, magari diversamente perfetta e irrazionale?
Ai ciclici concerti del COTTON LAB ci ho pensato molte volte e l’altra sera, con l’Eddie Henderson Quartet, perfino con insistenza, in almeno tre occasioni. Difficile provare a render chiare certe sensazioni. Contano i particolari, per esempio.
Come quell’improbabile rotolo di gommapiuma bianca incastrato tra ponticello e corde del contrabbasso: ne esce un timbro unico e strano, aspro, senza riverbero, eppure caldo. Mark Abrams, che di swing se n’intende, vuole solo suoni chiari, brevi, quasi da batteria.
E Willie Jones III (terzo di una dinastia di musicisti?) lo spalleggia ispirato con lo stesso stile da metronomo, non un colpo in più, trama e ordito perpendicolari come in un prezioso tappeto persiano, disegni e colori in abbondanza ma più geometrici che Nain, da… Sezione Aurea.
Come la sordina della tromba di Eddie Henderson, antica come gli egizi, ammaccata e scura come un’anfora di bronzo uscita dagli scavi. Ma con uno spirito dentro, anche quando riposa. Eddie la maneggia distaccato, come un prestigiatore stanco: se adopera un po’ i muscoli per infilarla nella campana della tromba, sta convincendola a tirar fuori respiri sempre diversi e carezzevoli. La vecchiotta tromba invece ha un aspetto anonimo, il suo bocchino da ferramenta “attira” da lontano le labbra del padrone (e si vede). Eddie sempre calmo, niente scena, suona quando gli tocca, come un turnista. Ma i D’Auria, fin da quando lo portarono la prima volta in Ascoli - giusto 27 anni fa - ne conoscevano la magia da… Sezione Aurea.
Pare un elegante immigrato in America venuto da un’orchestra Casadei, Piero Odorici al sax. Magari lo sembra ancora, quando intrattiene con simpatia il pubblico. Invece lui è un Henderson al sax. Sta al tecnigrafo, disegna musica, tratteggia ombre, indica prospettive, rafforza architetture. Nei duetti, sembra un numero due ma è la lente. Nel quartetto, è il comandante di una pattuglia acrobatica. Sublimi, per noi, la scena e l’ascolto. Alla fine, in aria, del jazz restano i suoni e le scie. Nitide come i disegni di Leonardo…
E’ certo per (mia) malattia professionale di copywriter che il pensiero ereticamente associa quanto di più perfettamente strutturato – come la Sezione Aurea – a quanto di più magicamente destrutturato (e libero) esista in musica. Una “Sezione Aurea del Jazz”, se c’è, non può esserci che “di passaggio”, perché di passaggio è il jazz, ed è volo, fantasia, freschezza… Ma una Sezione…D’Auria - quella sì - concreta, reale, puntuale, c’è, e si rinnova ogni volta per noi fortunati qui, al CottonLab.
PGC
Nessun commento:
Posta un commento