Quattordici
minuti e cinquanta secondi: è quanto impiega il serpente degli oltre
dodicimila runners a defluire dopo lo start sotto il gonfiabile della
partenza. Un tempo lungo, un largo fiume senza fine.
L’accompagna
come ogni anno - e come ogni anno emoziona - il disteso poderoso
movimento sinfonico “Vltava”: Smetana vi racchiuse l’anima del
suo fiume boemo, la passione per quella terra e quella patria - Má
Vlast - vi riecheggiò canti e ritmi popolari del Paese antico, ne
fece metafora di cammino e di viaggio e di vita nel suo scorrere, di
orizzonte e meta per l’homo viator. E oggi la sinfonia di un fiume
e un fiume che si fa musica sono tutt’uno con l’allegra rumorosa
eccitata colorata marcia dei folli.
Veste
abiti sontuosi, la primavera a Praga. Colora di bianco le colline dei
ciliegi, di rosa i prati delle magnolie, balena sulla corona dorata
del Teatro Nazionale, aggiunge candore ai cigni sulle rive e riflessi
metallici alle strolaghe che fanno la verticale in acqua come
minuscole sincronette.
Sotto
un cielo di azzurro profondo, la babele degli atleti: lingue del
mondo, facce d’ogni colore, volti ragazzi e rughe diversamente
giovani; e pure nasi da clown e parrucche verdi, perfino un paio di
antichi legionari romani con l’elmo in testa. Non mancano gli
italioti che si sentono il sale della terra e intervistati gli scappa
il raccapricciante incontinente Forza Italia a tutta gola.
Tutti
i matti e i savi del mondo sembrano qui, oggi: quelli che partono con
l’occhio avvitato al cronometro perché si prendono tanto sul
serio, e quelli intelligenti che non gliene può importare di meno e
si godono la corsa e quando arrivo arrivo… Sono tutti loro, lo
spettacolo e la festa.
Gli
altri sono gli eroi, quelli che vincono, quelli dei record pazzeschi,
che entrano nel mito volando. Non fai 21 chilometri in un’ora e
anche meno se non sei antilope o gazzella, puma o giaguaro. Certo lo
è stata nella vita precedente la vincitrice Joyciline, fuscello
venuto dal Kenia a frantumare tre primati in un colpo solo; certo lo
è stato l’etiope Tola, vincitore che taglia il traguardo in meno
di un’ora. E i bravissimi ancora sono tanti, arrivano freschi che
ne correrebbero un’altra subito se ce ne fosse; vengono da
Olimpiadi di Rio, da Europei di Amsterdam, da performance newyorkesi:
l’incrollabile speaker tonsille-d’acciaio li grida uno a uno,
l’urlo della folla li accoglie e li festeggia, poi sguardi e
obiettivi tornano a spiare il passaggio degli altri, quelli
“normali”.
Lo
spettacolo è dappertutto e per tutto il percorso; lo spettacolo è
la folla - enorme - ovunque assiepata, che colora d’entusiasmo i
lungofiume e i ponti sulla Moldava; sono le band musicali nei punti
nevralgici; sono i tricicli dei ragazzi con distrofia muscolare
spinti dai runners volontari dell’Università Carlo IV; lo
spettacolo è soprattutto la città, che vive con gioia l’evento e
ne è ricambiata da un’organizzazione razionale e perfetta che in
nulla la penalizza; è, ancora, la cornice di una Praga luminosa,
azzurra di cielo e di acque, gioiello incastonato nel merletto
continuo delle sue architetture.
Scorre
il timer della gara, e tra il severo Rudolfinum e la specchiante
Vltava tornano man mano a formicolare, ora avvolti nei teli
d’argento, gli atleti che fecero l’impresa, mentre sui prati si
poltrisce al sole; oltre le transenne e poco più in là, molti
corrono ancora. Arriveranno anche loro, entro le tre ore saranno
arrivati (quasi) tutti. Arrivano, sì, anche loro, i microcefali che
tagliano il traguardo facendosi i selfie. La maratona è democratica,
non giudica le intelligenze. Ciascuno, dopo, avrà la sua medaglia,
ciascuno il suo ricordo, il suo proposito, il suo orizzonte raggiunto
o mancato; l’homo viatorha sperimentato se stesso, desiderato una
meta, conosciuto qualcosa dell’altro o di sé. E ognuno, forse, si
è sentito un po’ eroe, in questa primavera che ha scaldato ogni
pietra di questa città e in ogni pietra ridestata la memoria di
altre Primavere e di altri Eroi.
Sara Di Giuseppe
Nessun commento:
Posta un commento