23/04/17

"Vola vola bandoneon". Daniele Di Bonaventura e la FORM delle Marche a Teramo


  Non vogliamo lasciarlo andare, e Di Bonaventura inesauribile e generoso - dopo oltre un’ora e mezza di concerto senza intervalli con l’eccellente FORM String Ensemble - torna ancora e sorride e si racconta: quando respira aria d’Abruzzo (“qui sono nati i miei nonni”) il cuore e il bandoneon si mettono a suonare insieme. Per questo tra i numerosi bis in chiusura ecco il “suo” Vola Vola Vola: e l’intramontata mazurka popolare, “inno” antico di questa terra, canto di corteggiamenti e amori fanciulli, dispiega ali e volteggia tra le dita e sui tasti, scherza malizioso tra i respiri del bandoneon, fa capriole e si ricrea nuovo, e per qualche battuta diviene perfino swing…
       Certo ha volato questa sera, il bandoneon di Daniele, su percorsi ardui e preziosi, ha attraversato continenti e tanghi e milonghe, e anche se “suono il tango solo ogni tot anni”, stavolta è il ricordo emozionato e reverente di un maestro, a incalzarlo: è scomparso da 25 anni, l’Astor Piazzolla incontrato per la prima volta a Ravenna in quell’indimendicato Festival Jazz dell’86 (sua è la voce nel CD - realizzato da Di Bonaventura - che presenta i suoi musicisti e il grande Gary Burton e si scusa per l’incerto italiano e sembra di sentire… Bergoglio).
         Il ricordo in musica si storicizza nella narrazione che in breve disegna gli albori del Tango – ballo tra soli uomini in origine, linguaggio comune di immigrati, caleidoscopio di tradizioni musicali le più svariate – e li intreccia alla storia del bandoneon: voce struggente del tango e suo strumento principe, ma all’inizio solo sostituto plebeo dell’armonium (“l’armonium dei poveri”) nelle chiese tedesche di metà ‘800 - e poi anche del flauto - prodotto in migliaia di esemplari in Germania fino alla follia nazista che requisisce le fabbriche a scopo bellico ed è la fine. (Chissà se è leggenda che in Argentina sia arrivato fortunosamente, con un marinaio squattrinato che lo lascia al banco dei pegni per non più prelevarlo). Non ci sarà ripresa, nella produzione di bandoneon nel dopoguerra, e Di Bonaventura si tiene stretto il suo, insostituibile, forse è degli anni Trenta, forse è uno degli ultimi fabbricati allora.
         Partono dunque da lontano, stasera, gli archi sapienti e il prezioso bandoneon: dalla Guardia Vieja del tango e dal tango creolo di Angel Villoldo, criollo “dai baffi frondosi, giullare fuori di secolo” col suo leggendario “El Choclo” - la pannocchia di mais - che chiamarono “danza creola” e non tango perchè non ne fosse turbata la benpensante borghesia porteña.
         E siamo in breve al trittico dedicato a Carlos Gardel, cantor di tango e iniziatore del tango cantato  -  voce divenuta mito e patrimonio dell’Umanità - consegnato alla leggenda da morte aerea e precoce (nell’uccellaccio precipitato doveva esserci il tredicenne Astor Piazzolla ma ebbe il permesso negato da genitori severi o saggi).
         Struggimento di terra lontana - Lejana tierra mia - e disinganno d’amore, colpo di cabeza e capriccio d’un giorno che vale qualunque follia (Por una cabeza  /  Todas la locuras), melodie che toccano corde intime e diventano dialogo serrato e complice fra archi e bandoneon: Di Bonaventura dirige e “convoca” violini e viole, contrabbassi e violoncelli intorno alla voce funambolica del suo strumento, e tutti insieme viaggiamo verso il nucleo della serata. Che è il ricordo di Piazzolla, calamitato dentro la Piazzolla’s Tango Suite, fatta di composizioni tra le meno frequentate del rivoluzionario genio musicale.
          La terra argentina, il barrio violento con la sua fame e la sua litigiosità, ma anche New York, e Parigi, e il mondo: “Tutto questo […] si ritrova nella mia musica come nella mia vita, nel mio comportamento, nelle mie relazioni “ (A.Piazzolla, 2005).
          Pagine rare, quelle scelte stasera (El penultimoJeanne y PaulCafé 1930Milonga sin palbras), ciascuna illuminata per noi dal musicista in brevi confidenziali narrazioni, ciascuna con la sua storia (come quella di Jeanne y Paul scritta per “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci e non utilizzata). Composizioni rilette e filtrate con la passione devota che richiama dal maestro il gusto della contaminazione: brani dai sapori argentini ed europei, “fiumi di suoni” dal fascino classico e contemporaneo insieme.
          E poiché “il musicista è anche e soprattutto compositore, non solo esecutore di  musica altrui” - dirà Daniele - ci offre infine la propria Suite di compositore, coerentemente restando nell’alveo cronologico del secolo breve. Sono suoi i brani del 1966, una Tango Suite che chiude magnificamente il viaggio transcontinentale di stasera: tra Milonga e Valzer e Tango, gli archi si raccolgono intorno al bandoneon e questo si srotola e si racchiude in sè, in un tutt’uno indistinguibile col musicista, e i due respiri si confondono, ci regalano bellezza.
          Nei bis ascolteremo il sorprendente trascolorare della mazurka abruzzese nell’intenso Oblivion di Piazzolla, il fluire del sacro - il Sanctus di Di Bonaventura - nell’energia della Milonga de Mis Amores. ”Amo la contaminazione”, aveva precisato infatti Daniele, e non ne dubitiamo. 
        Il tempo di queste due ore non sembra essere trascorso, grazie a questi musicisti abbiamo volato agili nonostante l’età, nonostante le scomode bellissime sedie degli anni Trenta, nella sala dal soffitto altissimo e dagli assorti busti di gesso in attento ascolto.
(Né mi sembra, stasera, che mezzo secolo sia passato da quando - presuntamente “matura” - uscii per sempre da quelle grandi aule severe e affettuose e forse felici).

Sara Di Giuseppe

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