“L’Italia
ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli”
Questa citazione di Pietro Calamandrei
dell’ art.
11 della nostra Costituzione ha sottolineato lo spirito del concerto
del coro “In...cantare”
che, nella sede della CGIL di Treviso, ha cantato il dolore e i
sacrifici ma anche la forza e la bellezza delle classi subalterne ed
oppresse: operaie/i e contadine/i , mondine, “impiraresse”
(infilatrici di perle) e partigiani uniti nel rivendicare lavoro e
dignità, giustizia e libertà.
Viene spontaneo,
quindi, ricordare Calamandrei quando, in quel discorso, diceva:
“Dietro
ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere
giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati,
morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in
Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che
hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere
scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una
carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un
testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio
nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne
dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati,
nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per
riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col
pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”.
Ogni frammento di
questa Costituzione, scritta con il sudore ed il sangue dei
lavoratori e dei partigiani, ha trovato la sua canzone. Le donne
delle risaie hanno cantato: son
la mondina son la sfruttata...c’è tanto fango nelle risaie, ma non
porta macchia il simbol del lavoro;
le operaie hanno intonato: se
otto ore vi sembran poche provate voi a lavorare e proverete la
differenza tra lavorare e comandare!
Le infilatrici di perle hanno sussurrato il lamento: semo
tutte impiraresse....semo tose che consuma de la vita i più bei ani
per un fià de carantani che non basta per magna.
E i partigiani
hanno cantato: se
libero un uomo muore non gliene importa di morir
e le loro Donne trascinate in prigione, stuprate, torturate e
umiliate gridavano: conosco
il mio pugnale ha il manico rotondo, nel cuore dei fascisti lo
piantai a fondo e,
prima di morire non si sentirono i
colpi di mitraglia ma si sentìva un grido: viva l’Italia.
Quella era gente
che amava il proprio Paese anche se i padroni ne facevano sterco
mandandoli a morire sul Montello, a Caporetto, nella neve di Russia o
nella sabbia di El Alamein: o
vigliacchi che voi ve ne state con le mogli sui letti di lana,
schernitori di noi carne umana...qui si muore gridando “ASSASSINI
!” maledetti sarete un dì.
Quella gente per
amore del proprio Paese discendeva
l’oscura montagna...scalzi e laceri eppure felici...
a combattere la barbarie fascista per un avvenire
d’un mondo più umano e più giusto, più libero e lieto.
Chi di quella gente
avrebbe mai cantato l’inno di Mameli con la mano destra sul cuore e
la sinistra dietro la schiena...a nascondere la dichiarazione dei
redditi?
Chi di loro avrebbe
mai riso mentre un terremoto uccideva e distruggeva?
Chi di loro avrebbe
mai sparato sui braccianti di Portella della ginestra?
Chi di loro avrebbe
mai messo le infami e vigliacche bombe di Piazza Fontana, di Brescia,
della stazione di Bologna?
Quella era gente
che cantava l’amore e la dignità: partigiana
te si la me mama, partigiana te si me sorela, partigiana te mori co
mi, me insenocio davanti de ti.
Tra quella gente
c’era anche Gino Donè, partigiano della Brigata Piave ed unico
italiano tra gli 82 di Fidel e “Che” Guevara. Partì con loro a
bordo della “nave”
Granma
alla volta di Cuba inseguendo il sogno della sua vita: la libertà
per gli ultimi e per gli oppressi. Come tanti altri partigiani aveva
la dignità della discrezione, per lui ”apparire”
non aveva significato.
E’ stato, perciò,
benvenuto il ricordo che ha voluto dedicargli il Teatro
dei Pazzi, con “REVOLUCION”: ricordare è fondamentale perchè
ci si possa ispirare ai valori di umiltà e coraggio che dalla
Resistenza ci hanno portato ad essere un pò più liberi. La stessa
umiltà con cui Eros Umberto Lorenzoni (92 anni – tra gli ultimi
partigiani della provincia di Treviso) ha accolto, stupito, il grazie
che gli è stato rivolto: grazie per averci dato la speranza di un
Paese migliore.
Ma un ringraziamento va rivolto,
soprattutto, alle DONNE del coro.
Loro erano le mondine, le operaie, le
contadine, le impiraresse e le
partigiane delle canzoni eseguite: con lo stesso trasporto e la
stessa convinzione di chi sa di stare cantando la libertà, la
giustizia e, essendo donne, l’amore, onorando così il sangue di
quei centomila morti con il quale è stata scritta la Costituzione
più bella del mondo.
BELLA
CIAO
Francesco Di Giuseppe