Il
23 maggio 1992 avevo dodici anni, anzi, come amavo affermare con
orgoglio a quei tempi, di anni ne avevo dodici e mezzo. Ho saputo
della notizia della strage di Capaci mentre ero seduto in prima fila
durante la registrazione di un programma televisivo RAI: bizzarro, a
pensarci venticinque anni dopo. Non conoscevo bene la storia di
Falcone: lo avevo visto qualche volta in televisione, di passaggio su
qualche servizio al telegiornale, sapevo poco del maxi processo, del
C.S.M., del pool antimafia, di Buscetta. E allora?
Allora
quella sanguinosa strage di mafia mi ha fatto entrare di prepotenza
nel “mondo dei grandi”, è la pietra angolare su cui ho iniziato
a edificare la mia coscienza civile. Le parole dure, indimenticabili
nella mia memoria, di una delle vedove degli agenti della scorta di
Falcone, pronunciate tra mille singhiozzi durante il funerale: «Io
vi perdono. Ma vi dovete mettere in ginocchio». L’autostrada
sembra un cantiere, i sassi e la sabbia fanno sparire il nero
dell’asfalto, la gente vaga incredula intorno alle macchine ormai
divelte. Ho un nodo allo stomaco. Provo a scioglierlo cercando di
sapere, di capire, di conoscere. Comprendo il coraggio, ne provo un
po’ invidia. Ma quello strazio dei corpi, quello no, non riesco
davvero a comprenderlo. L’epoca delle stragi esplosive si concluse
l’anno successivo ma si continua a morire di mafia ancora oggi, in
silenzio, lontano dall’eco atroce del tritolo. I morti di oggi non
hanno viso, non diventeranno simboli di nessuna lotta, a nessuno di
loro verrà intitolato un aeroporto. Perché sono vittime mute che
non hanno lottato, che si sono piegate, che hanno fatto spallucce,
che si sono girate dall’altra parte.
Oggi
ho venticinque anni in più, qualche pelo di barba bianca, un paio di
idee in testa, poche certezze. Tra queste, di certo, c’è la
consapevolezza di essere diventato grande in un solo giorno; di
custodire il ricordo di quel sorriso ironico, antico, di quegli occhi
di chi sa guardare attraverso, di quei baffi arabi, di quella forza
testarda che rende eroica la propria quotidianità. Buon 23 maggio a
tutti!
Salvo Lo Presti
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