Ma a
22 anni (23 ad agosto), un ragazzo made in Italy cosa fa? Pochi
coetanei studiano, altri si ubriacano nelle torride movide cittadine
e paesane e la maggior parte campa ancora sulle spalle (larghe) di
mamma e papà. C'è qualcuno, invece, in altre parti del mondo che
non sia il Belpaese, che si diverte con Mozart e Bach anzi, Bach lo
canta in corale con le sorelle, sua madre Susan, violinista e
insegnante della Royal Academy of Music di Londra e il nonno Derek, anche lui violinista, famoso in tutto il mondo. La musica è il
divertimento del piccolo Jacob, l'ama e, da quello che abbiamo visto
e sentito al Teatro delle Api di Porto Sant'Elpidio, ne è riamato.
La
musica è una strana dea, per niente collettivista, ama i solisti,
quelli che la esaltano, che l'accarezzano, che la suonano tutta e
possibilmente tutti i generi. Purtroppo, se la musica brutta esiste
(oh, come esiste!), lei si rifiuta perfino di considerarla tale,
mentre con i geni indiscussi, largheggia, è prodiga, si dilata a
dismisura, concupisce e ammalia. Secondo noi, che siamo poi quelli
che al fato credono, di musicisti così ne nasce uno su un miliardo e
non nasce mai a caso. Il fato, quello strano fenomeno che capisce prima di tutti i cuori dominati dalla passione, è anche parecchio
dispettoso perché a pochi si concede, e con gli altri resta
indifferente.
Jacob,
che sembra il gemello smarrito del Jake Shimabukuro virtuoso
dell'ukulele, è un baciato dal fato. Suona tutti gli strumenti
possibili e inimmaginabili, scommettiamo che è bravissimo anche con
i campanelli dei portoni di casa. In più è dotato di un gusto
sopraffino (due Grammy non sono uno scherzo), che lo rendono artista
di dimensione mondiale e massima sintesi attuale di tutti i generi.
Il
Jazz c'è, il Blues manco a dirlo, il Gospel e la Soul sono le sue
dimensioni preferite, il Rock lo usa come sottofondo (troppo facile),
il Funky diventa esercizio quotidiano da basso slappato a colazione,
mentre per cena si affida alla musica polifonica: dominante, terza,
quinta, settima e undicesima con una sola voce e un effetto
elettronico, sembra un gioco ma non lo è.
Suona
ogni strumento da dio e non sfigurerebbe in nessuna band mondiale, di
qualsiasi natura e genere. Ma lui, che cantava le corali di Bach con
le sorelle, preferisce la dimensione da one man band, un uomo solo,
una band. L'elettronica nella sua musica è dominante, ma solo perché
gli consente di arrivare ai “pieni” senza l'aiuto di altri
musicisti: suona la parte ritmica, la riproduce in loop e la
composizione è servita su un piatto d'argento. Quincy Jones lo adora
e sponsorizza e In My Room, disco d'esordio registrato in casa, balza
in vetta alle classifiche Jazz di venti paesi.
Un
fenomeno, Jacob, che si può permettere di tutto perché pesando
trenta chili e avendo ventidue anni, salta da un lato all'altro del
palcoscenico per suonare tutti gli strumenti: un giocoliere, un
trapezista senza rete di protezione, uno scoiattolo fuggito dalle
campagne della sua Inghilterra.
Poi il
bis. E la beatlesiana Blackbird che inizia come un canto senegalese e
finisce con una sana improvvisazione su base musicale predefinita ed
eseguita come uno scolaretto davanti al prof di matematica. Ecco,
Blackbird in versione World Music ci ha commosso e fatto ricordare
che riproporre i Fab Four è un rischio che solo Aretha Franklin, Joe
Cocker e Ray Charles hanno superato brillantemente. Dopo la serata di
Porto Sant'Elpidio, aggiungiamo Jacob Collier con Blackbird, John e
Paul ne saranno felicissimi.
Jacob
Collier ha chiuso la stagione di TAM dedicata al Jazz, a questi
coraggiosi il nostro più sentito ringraziamento.
Massimo Consorti
Massimo Consorti
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