La si
può mettere come meglio si crede. Criticarla perfino. Disconoscerla
come propria ma la Storia è sempre la Storia, quella maestra di vita
che ci hanno insegnato ad amare a prescindere fin dalle elementari.
Ultimo
atto della stagione 2016/17 del Cotton Jazz Club e, come
consuetudine, si chiude con il Premio alla Carriera. Tutti big, gli
anni precedenti, quasi a voler sottolineare il fatto (non sempre
scontato), che se esiste il Jazz attuale, il perché va cercato nel
loro contributo fondamentale, nella loro creatività, in una
professionalità che, come nel caso di Amedeo Tommasi, nasce dalla
musica classica e si getta anima e corpo in altre note, altre
sonorità, altri arrangiamenti, altro mare.
Amedeo
Tommasi, il grande (in tutti i sensi) Amedeo, avrebbe potuto tenere
il concerto al Cotton da solo. One man show e non sarebbe stato un
delitto. Il suo è un pianoforte che cattura il cuore con note che
sono accordi e un tocco dal sapore antico. Il Blues di Tommasi è il
Blues, non ci sono santi. Come lo Swing è lo Swing e il Jazz si
inserisce in una struttura solidissima in cui nulla è lasciato al
caso. Godibile? Di più, molto di più. A un certo punto ci è
sembrato di sfogliare le pagine di una enciclopedia, e di farlo con
tutta la delicatezza che un tomo antico si porta appresso.
Il
compositore dei brani pianicistici di “La leggenda del pianista
sull'Oceano” (che si scusa se il pollice non funziona più tanto
bene), suona come un maestro che insegna all'allievo le basi
fondamentali del Jazz, e le condisce con la consapevolezza di chi sa
che diventeranno standard.
Due i
riferimenti della sua carriera, Chet Baker (e scusate se è poco), ed
Ennio Morricone con il quale collabora da anni e si sente (in
Morricone non in Tommasi). Tanti gli aneddoti che avrebbe potuto
raccontare ma il pudore lo spinge alla discrezione, dote che
posseggono solo gli artisti veri e i gentiluomini. Al suo fianco, al
contrabbasso, Giovanni Tommaso, ex Quartetto di Lucca, ex Perigeo
cioè, quando il Jazz contaminò il Rock e fu un'altra storia.
Non
pervenuto il batterista, Marco Valeri, e non perché non ci fosse, è
che ha svolto il suo compito come uno scolaro di fronte al maestro, a
domanda ha risposto ma non aggiungendo nulla di straordinario, alla
fine siamo convinti che non gli fosse neppure richiesto.
Si
conclude in gloria, e a futura memoria, una stagione memorabile per
classe, eleganza e qualità. Emiliano D'Auria, il direttore
artistico, ne può essere assolutamente soddisfatto, così come
soddisfatti lo siamo rimasti noi, critici avvezzi ormai ad affrontare
tutte le tempeste, comprese quelle in mare aperto.
Massimo Consorti
Massimo Consorti
Nessun commento:
Posta un commento