La
location è la stessa dove suonò suo padre, il grande Irio,
moltissimi anni fa.
Quello
di Robertinho De Paula
al Flauto Magico
di San Benedetto, è un ritorno graditissimo per chi ama un certo
tipo di musica e non si lascia trascinare immediatamente dal fascino
brasileiro della Samba
o della Bossa
Nova.
Perché
se si ha voglia di ballare i posti sono altri, mentre Il Flauto
sembra sfortunatamente adatto per chi ha voglia di parlare. E se uno
ha voglia di parlare non va a un concerto di Robertinho De Paula e si
accontenta di Francesco
Renga. Ah, i tempi!
Robertinho
avrà anche l'animo brasiliano dentro, e infatti il repertorio di cui
parleremo a breve, è pieno zeppo di autori del suo Paese anzi, di
fior di autori, quelli che non si trovano nelle hit parade mondiali e
che pure hanno fatto la storia della musica, ma il mood è Jazz,
e quindi è quello dell'improvvisazione che si sviluppa da linee
melodiche definite (alcuni notevoli standard) per volare dove può e
soprattutto vuole, preferibilmente alto.
Il
concerto al Flauto Magico segue quello fortunato di Berlino
(dove ha registrato il suo ultimo cd dal vivo) e di tante altri parti
d'Italia
in cui Robertinho trascorre praticamente sei mesi l'anno, lasciando
il resto del tempo al suo Brasile.
Chissà
perché la Germania
si presta particolarmente a questo tipo di performance. Qualche anno
fa, Keith Jarrett,
a Colonia,
diede vita a un concerto che cambiò lo scenario pianistico
internazionale, oggi, a distanza di tempo, Robertinho De Paula affida
a Berlino il suo estro creativo e la sua immensa capacità
strumentale. Parliamo, in entrambi i casi, di due concerti tenuti con
uno strumento “solo”, il pianoforte nel caso di Jarrett, la
chitarra per Robertinho.
E come
il Keith mondiale con il piano, De Paula fa fare le stesse cose alla
chitarra: melodia, armonia, ritmo e un gusto sopraffino per
l'improvvisazione. Vedere le dita scorrere veloci sulla tastiera per
eseguire brani rimaneggiati, riarrangiati, ri-concepiti di Milton
Nascimiento, del padre
Irio e di Violeta Parra,
è una gioia incommensurabile perché li modernizza fino a renderli
eterni.
Se
aggiungiamo a questo tris d'assi Chico
Buarque, Vinicius
De Moraes e Tom
Jobim, possiamo dire che,
in fondo, il Brasile meno commerciale ma sicuramente più intimo e
profondo, quasi sinfonico, questa sera è qui, con noi, ad allietare
una fresca ottobrata sanbenedettese come nessun altro saprebbe fare.
Ci
ritroviamo a tamburellare le dita sul tavolo e a tiptare con il
tacco/punta della scarpa sul pavimento, quasi ci fosse una base
percussionistica di assoluto livello mentre invece è la sua chitarra
che detta il ritmo, con un uso magistrale del La
e del Mi basso
che in pochi possono permettersi.
Esegue
ovviamente anche composizioni sue, come Suite
Madureira, e il salto
generazionale con i mostri di cui abbiamo accennato sopra si avverte
a fior di pelle.
In
Robertinho De Paula non c'è nessuna voglia di stupire, solo quella
di far sognare e pensare con un genere di musica non adatto ai più e
di questo, purtroppo, ce ne siamo accorti.
Chiude
il concerto con la partecipazione di uno special guest, Giacomo
Lelli che al flauto riesce
a rendere ancora più apprezzabili composizioni che lo sono già, per
il gusto della gente, sempre più raro, di trovarsi di fronte un
musicista vero che, in sala di incisione o dal vivo, riesce sempre a
essere sé stesso.
Questo
è uno di quei rari momenti in cui, tornati a casa e vedendo la
nostra chitarra poggiata mestamente alla parete, ci viene la voglia
di non suonarla mai più. Fa solo una grande tenerezza.
Massimo
Consorti
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