Il mio amico Venanzio non aveva mai visto il mare, di conseguenza non si era mai tuffato tra le onde che saltano sulla spiaggia, schiumano e poi si ritirano. Quando giungemmo da sfollati a Porto D'Ascoli lo guardò per la prima volta in vita sua, lo toccò con la punta dello scarpone da montagna e si ritrasse immediatamente. "Il mare è monotono" mi disse: "Non ha nessuna novità e finisce dove comincia il cielo là in fondo". Pensai subito che aveva ragione, non è come le nostre montagne che dall'alba al tramonto offrono un paesaggio mutevole al cambiare delle stagioni, sprigionando un'armonica gradazione di colori. Il verde brillante dei boschi e dei prati a primavera che in autunno si colora di caldi toni, dal giallo all'arancio, dal rosso al magenta, con le fresche acque dei ruscelli che inventano cascate fiabesche sotto l'azzurro del cielo. Che dire poi della magica e frizzante atmosfera invernale, quando a Natale ci si può inerpicare per boschi innevati, su fino a dove il miracolo dell'acqua che sgorga disegna incantati cristalli di ghiaccio e gocce e arabeschi in un silenzio irreale. I suoi occhi brillavano, poi divento inquieto, di colpo s'incupì, trasecolò, la sua faccia faceva trasparire un malessere che fece salire e rovesciare anche il mio stomaco, come un sacchetto di nylon sulla risacca. Guardammo di nuovo il mare che cominciava a calmarsi, sbattendo sugli scogli indolente, disordinato, con meno vigore. In silenzio ci voltammo verso la città a testa bassa, lentamente tornammo in albergo. Rividi Venanzio giorni dopo, prendemmo un caffè al bar, mi disse che rimpiangeva il cibo di montagna: il formaggio pecorino, l'agnello, il cinghiale, le tagliatelle ai porcini, le zuppe di legumi, la polenta con la salciccia, il miele e le marmellate, le castagne ed il vino cotto. Mi disse anche che non sopportava più il vivere in un albergo: "Non voglio più mangiare e bere per vivere, ma vivere per mangiare e bere". Esclamò! Riuscivo a capire Venanzio, i suoi antenati erano stati boscaioli e carbonai, avevano dormito spesso all'aperto, sotto le stelle per sorvegliare la carbonaia; non avevano mai affittato un metro di spiaggia ma avevano avuto ettari di bosco da custodire, non avevano mai bevuto aperitivi negli chalet festosi ma acqua fresca di sorgente accarezzati dal vento, non avevano mai fatto il conto delle calorie ma avevano scaldato il cuore con i suoni della natura e con la fantasia. Gli diedi una pacca sulla spalla e lo salutai dicendogli: "Che ci vuoi fare Venà! Questo ci è capitato. Fatti coraggio!" Per giorni non lo vidi più, qualcuno mi disse che si era lasciato il mare alle spalle, non aveva resistito al richiamo della montagna, non si fidava della città, quello che per altri sembrava una fortuna per lui era peggio di una trappola per topi. La mattina di Natale ho deciso di fare una corsetta tra le SAE, le nuove casette di legno del mio paese. Correvo leggero, senza fare rumore, tra l'odore del caffè e le grida dei bambini. Mi sono sentito chiamare: "Vittò cumma va?" Mi giro era Venanzio: "Corri anche a Natale, non ti stufi mai?" Gli rispondo che la corsa è come una bella donna, ti emoziona e ti prende, ti regala piacevoli sensazioni e ti stanca ma poi il giorno dopo la desideri ancora. Venanzio abbozza un sorriso e mi dice sconsolato: "Io di belle donne ne ho viste poche, quest'estate che potevo vederne tante non sono rimasto a Porto D'Ascoli. Qua avevamo una vita, avevamo una storia. Ora ci hanno dato stè casette piene di difetti e di problematiche, intorno ci sono solo cinghiali, lupi e macerie. Ti ricordi Vittò quella tua vecchia poesia del viandante aggredito dai cani selvatici che provava a difendersi con i sassi ma non poteva perché erano attaccati al suolo dal gelo, e diceva: "Questo è il paese dei disgraziati, dei cani sciolti, dei sassi attaccati! Chi ci può risarcire di quello che ci ha rubato il terremoto?" Su un prato erboso appena impiantato alcuni bambini chiassosi giocano a pallone. Un esiguo segnale di vita. Gli rispondo che quelli come noi non possono pensare al futuro, la nostra stella si sta spegnendo, noi siamo terremotati non siamo né qui né lì, stiamo fermi come giù al mare. Ma quei bambini no, quelli hanno un futuro, dobbiamo lottare per loro. Il concerto di voci bianche e flauti, dei piccoli arquatani, al centro Polivalente di Pretare, è stata l'unica cosa bella di questo Natale. E' un freddo mattino assolato, il Monte Vettore sotto un cielo azzurro è un incanto. Osservo una vecchietta dietro i vetri che sistema un mazzetto di vischio. Ora corro in maniera un po' buffa, quasi non tocco la strada fresca d'asfalto, lascio una scia di orme smezzate, sono molto veloce , devo esserlo per sopravvivere. Ora sono fedele ai miei luoghi ma ogni tanto mi fermo a guardarmi indietro, come fanno i bambini. Purtroppo capisco anche che non posso permettermelo perché questo ora mi può essere fatale.
Vittorio Camacci