[ San Benedetto, zona porto: MATTATOIO di pescherecci ]
C’è del gusto sadico o almeno della sana cattiveria, nel demolire spezzettandole senza cuore queste grandi barche, vecchie ma certo non decrepite. Come nel fare polpette quadrate di auto anziane o fuori moda spremendone sangue nero. Come nell’abbattere col pendolo nuovi ruderi di case e scheletri di palazzi. Come nel far collassare con un click ciminiere fabbriche e grattacieli ritenuti inservibili…
Se Gillo Dorfles disse (provocatoriamente) che l’abbattimento delle Torri Gemelle era stato uno spettacolo “bello”, sono “belle” anche queste assurde demolizioni. Attirano infatti - sono gratis - non solo la gioiosa curiosità di pensionati, di passanti e di una stilosa scuola a due passi, ma soprattutto l’interesse più ampio di un’intera comunità.
Sono soldi che girano, bellezza. Tutta qui, la morale.
Per ri-cominciare, stamattina 2 demolizioni vicine e in contemporanea. Mentre l’artiglio dei Leviathan/caterpillar in mezzo a clangori stereofonici tritava legni, torceva tubi e ferri, sminuzzava attrezzature e arredi intimi di innocenti pescherecci, centinaia di migliaia di euro traslavano silenziosamente in conti correnti famelici. Per legge, si badi, non come proventi di future vendite di montagne di rifiuti mal differenziati.
Come se nelle nostre cassette postali, per ogni sacco giallo/blu/nero di rifiuti da noi coscienziosamente differenziati e conferiti ad orario nei cassonetti, generose mani di politici infilassero rotoli di banconote. Mica succede. Anzi, noi ingenui tapini ci illudiamo pure che diventeranno preziosa seconda materia prima…
Riciclare, recuperare, valorizzare l’esistente, restaurare l’antico: necessità per il nostro sgraziato presente, antidoti alla cultura dell’effimero…
Macchè. Ecco la gloriosa marineria da pesca, fulcro di un’economia locale che è (era) anche identità, tradizione, bellezza, distrutta con caparbietà e metodo da scelte politiche arraffa-consensi. Robusti assegni - non certo trenta denari, anche se è Pasqua - in cambio della demolizione di pescherecci annosi, carichi di storia e di storie, contenitori di saperi e sapienza come lo scudo d’Achille.
Le carene di quelle barche (v.foto) dicono chiaro che non sono obsolete e inservibili; dicono che il nuovo che avanza ha il colore dei soldi, tanti e facili e subito, coi quali scambiare a cuor leggero i valori, i costumi, i tratti di un’identità comune saldamente disegnata nel tempo con dignità e sacrificio.
Vengano, i giovani dalla scuola lì presso, vedano e imparino la lezione, ci guadagneranno.
“Se un uomo rinuncia ai suoi tradizionali sistemi di vita e ripudia le buone costumanze, dovrebbe prima accertarsi di poterli sostituire con qualcosa che vale”
(proverbio dei Basuto del Lesotho, in “Qualcosa che vale”, Robert Ruark, 1954)
PGC - 26 marzo 2018
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