the golden circle
Rosario Giuliani sax Fabrizio Bosso tromba Enzo Pietropaoli contrabbasso Marcello Di Leonardo batteria
Cotton Lab – Ascoli Piceno 6 aprile 2018 h21,45
Seppur squadrato e dall’aspetto industriale, il Cotton Lab di Ascoli somiglia poco all’ex Golden Circle di Stoccolma, in particolare non ha quattro piani e non sta a due passi dal centro. Eppure stasera ci sentiamo in Svezia. Mancano i regolamentari freddo e neve di quel 1965, ma c’è la stessa travolgente futuribile musica di Ornette Coleman.
Nel programma non era scritto che Giuliani, Bosso, Pietropaoli, Di Leonardo avrebbero suonato Coleman - e the golden circle (il club di Stoccolma dove fu registrato quel memorabile disco doppio della Blue Note Records) dice qualcosa quasi a nessuno - quindi ammettiamolo: la serata ha funzionato più per i nomi “importanti” dei musicisti, che hanno fatto da esca.
E subito infatti Congeniality ci tramortisce. Ma che Jazz è questo. Penso sia successo un po’ come negli anni ’60, quando Coleman si intrufolava nei club da perfetto sconosciuto e suonava la sua musica inaudita senza capo né coda, e col sax di plastica! Melodie scarne, evanescenti e tiranniche, senza accordi prestabiliti, senza struttura, senza tempo. Musica per niente ortodossa, non scritta, non imparata, non insegnata a scuola. Uno stile fuori dai canoni, un non-stile irripetibile. Penso che Paolo Conte si riferisca a lui, a Ornette Coleman, quando parla di “enigmi del jazz”. E anche Ornette, chi conosce un altro con questo nome?
Nasceva proprio così il Free Jazz, con incoscienza fatica e coraggio. Erano i tempi di Martin Luther King, anche in politica si osava l’impossibile, ma era la cosa giusta da fare. Poi le cose sono cambiate, anzi sono apparsi i seguaci di questa musica cosiddetta “a venire”. Coleman è diventato un capo-scuola, un marchio, una moda anche comoda per sdoganare autentiche schifezze. E lui invece si evolveva ancora, ad una velocità che ci vorrebbero fior di ricercatori per inquadrarla e studiarla nella sua geniale complessità. Era imprendibile. E’ imprendibile.
Sicchè stasera i “Nostri” ci ripropongono proprio lui, fedelmente (almeno nello spirito) ma anche re-interpretandolo e proseguendo “oltre”, con composizioni originali altrettanto criptiche e rivoluzionarie.
E noi ci sentiamo nella condizione di chi deve recuperare svariati anni di scuola non in un anno o in un mese, ma in un’ora.
Ma già dal secondo pezzo - Peace - va meglio e ci rinfranchiamo. Riconosciamo un po’ d’Africa, capiamo anche se a scatti, ipnotizzati dalle velocità, stupefatti dai sincronismi, irretiti da suoni inconcepibili, da fraseggi irregolari, “infrazioni”, dissonanze… Senza riferimenti o giri armonici, senza appigli, senza schemi.
Eppure nulla è casuale, c’è del calcolo formidabile, e pensieri lampo che non puoi riavvolgere. Sembra addirittura, spesso, che contrabbasso e batteria facciano ordine, e tromba e sax disordine. Si affrontano come in un match di tennis tirandosi note a 200 all’ora, e Bosso che pare un serpente con quella maglietta, e Giuliani col tacco a batter il tempo, e Pietropaoli e Di Leonardo che non si sa dove vogliono arrivare… Lo stiamo capendo, Coleman? Forse, non siamo certi, ma ci è piaciuto tanto.
Dopo innumerevoli preziosità, quasi alla fine della stagione al Cotton Lab è arrivato l’oro.
PGC - 9 aprile 2018
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