SPOLETO61
FESTIVAL DEI 2MONDI
29 GIUGNO – 15 LUGLIO 2018
Casa di Reclusione di Maiano di Spoleto
6 – 7 luglio 2018 h20.45
VICTIMS
NESSUNO torna ad Itaca
“Si non se noverit”
Diretto da GIORGIO FLAMINI
Prodotto da #SIneNOmine
IIS Sansi Leonardi Volta Casa di Reclusione di Spoleto
“Si non se noverit”
Lungo e lento, il nero corteo di giovani donne velate segue il feretro della fanciulla morta, il corpo ancora scomposto dalla morte violenta, e il Dum pendebat filius accompagna il passo di ciascuna mater dolorosa che a turno cede allo schianto interiore e si accascia. Lo precede in sanguigno abito rosso, ieratica, la figura femminile che esibisce tra le mani la testa in gesso di Yochanan, il Battista.
Al simbolismo dell’incipit si unisce quel dettaglio di realtà che colpisce con forza involontaria: l’immenso, grigio cancello blindato del penitenziario che silenzioso e lento si chiude alle spalle del corteo e davanti ai nostri occhi.
Gli spazi esterni del carcere - ampi, verdi, piatti - accolgono le installazioni, perimetrano la lunga teoria di madri velate con in mano penzolanti bambole, rimandano l’eco del ripetuto “Si non se noverit ” del Coro che avanza per stazioni come di Via Crucis.
Sul grande prato giacciono corpi, vittime senza nome sconciate nell’urto di una morte senza tempo né geografia; vi brancolano convulse le donne in nero, gettano a terra le bambole, sono esse stesse disarticolate marionette.
Il palco è al di là di alti cancelli, solitario sul grande spazio erboso. Vi si affaccia l’irredimibile grigio del moderno dignitoso carcere; le finestre dalle grate a losanghe sono occhi che si aprono ciechi, qui è appeso un pantalone, lì una camicia…
Ma i detenuti sono qui, davanti al pubblico: sono gli attori e gli autori, sono mescolati ad artisti e ad attori professionisti, mettono in scena la vita.
E la vita può essere passo di flamenco: solitario e senz’altro suono che il batter di piedi e di mani, o appassionato dialogo di corpi che l’arpa accompagna, forza attrattiva e sensuale che unisce e divide.
O può essere l’allucinata situazione del sartriano Huis Clos - A porta chiusa (È questo dunque l’inferno? (…) Buffonate! Nessun bisogno di graticole, l’inferno sono gli altri!)
O la “Sorveglianza speciale” di Genet, e la cella di Occhiverdi, Lefranc e Maurizio, dove la tensione psicologica e drammaturgica attraversa le dinamiche detentive del potere, dell’attrazione omosessuale, della scaltrezza, della gelosia, della violenza fino al tragico epilogo.
Occhiverdi è il testimone della colpa come disgrazia, del delitto come destino non negoziabile: avrebbe fatto ogni cosa perché la vita potesse tornare indietro, ha tentato, ma nulla ha potuto per sottrarsi (Volevo fare marcia indietro nel tempo, rivivere la mia vita fino a prima del delitto… Cercavo d’essere un cane, un gatto, un cavallo, una tigre, un tavolino, un sasso).
I marcati accenti pugliese e napoletano dei tre attori-detenuti agganciano con forza il testo teatrale al vissuto che si fa scena: difficile, per chi assiste, poter scindere quei dialoghi dalla vita dietro le sbarre a losanghe.
Così come è vita vera il pianto della giovane madre – dal testo di Mattia Esposito - che non sa placare quello inarrestabile della sua creatura: ieri ci è riuscita, gli ha mostrato le poche stelle di tra le sbarre e il piccolo s’è addormentato, ma stasera no, come può non piangere chi è nato in carcere, come non piangere se di lì a non molto - a tre anni - la legge lo toglierà alla madre… Eppure ce l’ho messa tutta perchè questa miseria finisse… Mangia e ridi, dormi e sogna…
Non solo questo: detenuti e artisti hanno rimaneggiato, adattato, ripercorso testi che da lontano - da Omero a Ovidio, da Wilde a Beckett, da Joyce a Camus, a Genet, a Sartre – si affacciano su quest’atomo opaco del male e sul dolore antico dell’uomo.
La musica, in tutt’uno con la scena, sottolinea accompagna enfatizza ogni gesto di questo teatro intensissimo, tace in ascolto dello spiritual negro che lentamente percorre il prato; il Coro evoca nel suo ripetuto Si non se noverit - Se non avrà conosciuto se stesso - il complesso mito di Narciso che non sfugge al proprio destino - vivrà a lungo solo se non riconoscerà se stesso, aveva detto Tiresia - e per il quale la conoscenza di sé come mero riflesso coincide con la morte.
Come tra questa musica e la scena, così tra questa scena e la vita la fusione è totale, e gli attori di dentro sono indistinguibili da quelli di fuori: l’applauso lungo del pubblico lo testimonia, quello che abbiamo visto lascia il segno, non siamo gli stessi di quando siamo entrati. Peccato la lettura del pretenzioso messaggio istituzionale del nuovo ministro, peccato l’essere intirizziti fino alle ossa, il programma non avvisava che si sarebbe stati all’aperto…
Cerco d’immaginare questi luoghi una volta rimosse le installazioni, il palco, le attrezzature di scena. Saranno ancora due soli colori, il grigio delle finestre con le grate a losanghe, il verde curatissimo dei prati senz’alberi; e saranno ancora grigi i muri alti su cui camminano sentinelle, e nascondono alla vista le dolci boscose colline umbre, una volta oltrepassato l’invalicabile cancello e superata la scritta DESPONDERE SPEM MUNUS NOSTRUM.
Sara Di Giuseppe - 10 luglio 2018
https://www.facebook.com/sinenominecompagnia/
RispondiEliminaLa compagnia #SIneNOmine sentitamente ringrazia
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