OFFICINA TEATRALE 2018/19
Gruppo Teatrale AOIDOS
GERSTEIN
da
IL VICARIO
di Rolf Hochhuth
Riscrittura scenica di Vincenzo Di Bonaventura
con
Vincenzo Di Bonaventura, Simone Cameli e il Gruppo Teatrale Aoidos
Ospitale delle Associazioni - Grottammare Paese Alto
27 Gennaio 2019 h17
SILENZI
Ma questo carro-merci non è la barca
per l’Ade, né sono lo Stige
queste rotaie che portano in Polonia.
Hanno tolto agli dei anche l’inferno,
e nessun canto muove i suoi guardiani.
[R. Hochhuth IL VICARIO ed. Wizarts, 1963]
Ma questo carro-merci non è la barca
per l’Ade, né sono lo Stige
queste rotaie che portano in Polonia.
Hanno tolto agli dei anche l’inferno,
e nessun canto muove i suoi guardiani.
[R. Hochhuth IL VICARIO ed. Wizarts, 1963]
Vi sono silenzi che pesano indelebili sulla Storia. Quello del Vaticano e di Pio XII sullo sterminio nazista supera il tempo e non tollera assoluzioni, grava sulle coscienze dei responsabili di allora e di quanti - oggi come ieri - tentano di confutare, negare, perfino “giustificare”.
E vi è il silenzio a cui il nostro paese – incapace, a differenza della Germania, di fare i conti col proprio passato – ha consegnato l’imponente lavoro di Rolf Hochhut (“Gerstein – Il Vicario”, dramma teatrale in 5 atti, 1963): fin da quando - febbraio 1965 - la prima rappresentazione romana allestita da Gian Maria Volontè e Carlo Cecchi viene bloccata (centinaia di agenti di polizia, sette camionette, due camion e un cellulare…) e poi definitivamente vietata dal prefetto di Roma per i suoi contenuti “contrari alle norme del Concordato” (sic).
E se in Germania “Il Vicario” è studiato nelle scuole e fin dal 1963 le repliche teatrali si moltiplicano [la prima - Berlino 1963, con Erwin Piscator - sarà seguita da numerose repliche e nel 2002 dal film di Costa Gravas “Amen”], nell’Italia dello Stato non-laico e concordatario, dell’esteso medioevo di ritorno nella società civile, della politica e dei media subalterni alle gerarchie vaticane, il volume è reperibile con difficoltà, e molto di rado i palcoscenici ospitano la poderosa riflessione storica e teatrale che è l’opera di Hochhuth: “Otteniamo complimenti e silenzi. O solo silenzi. Il Vicario è ancora un’opera scomoda” (Marco Foschi).
La riscrittura scenica che ne fa oggi Di Bonaventura non sarebbe per noi nuova (numerose le repliche nel prezioso TeatrLaboratorium Aikot27 e altrove, da anni lontani fino alla più recente, 2017, con l’attore solista a rivestire più ruoli) se non fosse che “nuovo” il suo teatro lo è sempre, ogni volta che la macchina attoriale ri-crea il testo, re-agisce con esso e lo trasforma, così che il teatro sia per lo spettatore, come nell’utopia di Artaud, sacrale “luogo di purificazione”.
E oggi, dal giovane gruppo di allievi e da una preparazione (di sole 20 ore e ics minuti, ci dice) fatta di ”apprendimento metabolico” che rigetta la piatta memorizzazione, scaturisce una partitura di rara intensità. Teatro “necessario” (nella definizione di Erwin Piscator) che nella testimonianza ritrova un suo compito: teatro del testimone e perciò scomodo, spesso osteggiato, “bocca fiammante che trangugia il mondo” (Di B.).
L’opera dal canto suo - autentico capolavoro della letteratura mondiale - è in ogni sua parte teatro di “sottile possanza emozionale” (Di B.). “Testo epico nella sua forma letteraria”, quello di Hochhuth è teatro politico che tratta “scientificamente in forma artistica” un implacabile materiale documentario, con la forza di una verità che non può essere negata senza negare la colpa; che ricorda a tutti gli interessati - così Erwin Piscator nella sua Nota al “Vicario” - che era data loro la possibilità di scegliere, e che in realtà hanno scelto anche quando hanno creduto di non scegliere.
La scena odierna ha la nudità desolata di luogo d’ogni luce muto, il perimetro dell’azione definito solo dall’avvicendarsi di cartelli: casa di Gerstein a Berlino - casa Fontana a Roma - la Taverna dei cacciatori a Falkensee - la Nunziatura a Berlino - il Monastero - Auschwitz.
I diplomatici equilibri della Nunziatura a Berlino sono scossi. Alla denuncia dell’Obersturmführer delle SS Kurt Gerstein* - Eccellenza torno ora dalla Polonia, da Belzec e Treblinka, ogni giorno diecimila ebrei, più di diecimila, Eccellenza, vengono uccisi, gasati ( … ) Eccellenza, il Vaticano scende a patti con Hitler… Se non parliamo, questo sangue ricadrà su di noi - ; alla perorazione del giovane gesuita Riccardo Fontana** perchè di fronte ai provati massacri, il Vaticano denunci il Concordato della Curia con Hitler, il Nunzio Apostolico Cesare Orsenigo oppone il neutro gergo diplomatico e il cinismo raziocinante di una realpolitik che offre alla coscienza alibi e assoluzione: Hitler ci teme, non ha torto un capello al vescovo Galen che pure ha tuonato dal pulpito contro l’eliminazione dei malati di mente! Dunque calma, giovane amico. Più saggio è affidarsi al genio della vecchia Europa… confidare nell’inevitabilità per Hitler di “venire a termini per forza, sarà lui a volerlo”. Dovrà fare i conti con la forza dei cattolici, dovrà capire quello che i suoi amici, il signor Franco e il signor Mussolini, hanno capito da tempo: solo con noi, solo con la Chiesa, non contro di noi, il fascismo è invincibile.
Nella Taverna dei Cacciatori a Falkensee, Berlino, al riparo dai bombardamenti - gerarchi nazisti e affermati accademici, tra vini e musica colta (Ah la Messa in Si minore, è gioia trasfigurata!) conversano amabili: le tecniche per velocizzare la soluzione finale; le comparazioni sui crani condotte dall’accademico Hirt (… i nostri discendenti dovranno un giorno sapere perchè la soluzione del problema ebraico fosse anche dal punto di vista scientifico assolutamente necessaria); le teorie del conciliante Eichmann, “un pedante cordialone” (… prima o poi si capirà che si vuol solo liberare dai patimenti i minorati); l’impaziente curiosità (E com’è andato, Gerstein, il tentativo col cianuro?).
Non banalità del male bensì male assoluto - che “nella guerra si era soltanto perfezionato” (Carlo Bo) – le cui radici lontane affondano saldamente nell’odio: da Alessandria, nell’Egitto del 38 d.C. - “il più remoto precedente della Shoà” - ai progrom di fine Ottocento, fino ai genocidi organizzati e scientifici del secolo breve.
Perchè l’odio - commenta Di Bonaventura - esso solo può essere costruito, raziocinato, strutturato, finalizzato a perdurare nei secoli. Lo è stato nella più grande caccia all’uomo della storia recente, forgiata con attitudine scientifica in un’Europa - allora come oggi - consapevole e inerte, e per questo corresponsabile non meno del suo Papa cattolico.
Lo è nel presente che muta i suoi nemici, inventa i suoi untori ed erige le sue colonne infami, ripara silente e complice nelle sue cattedrali, innalza i suoi muri e allestisce i suoi inferni – che si chiamino Libia o Dachau – , consegna le sue dieci cento mille navi Exodus all’abissale silenzio dei mari.
* Personaggio realmente esistito, il cui nome è iscritto per volere della Comunità Israelita di Parigi sul monumento per le vittime del fascismo.
** Nella realtà storica: Bernhard Lichtenberg prevosto del Duomo di Berlino, che di sua volontà condivise il destino degli ebrei a Dachau.
Sara Di Giuseppe - 29 Gennaio 2019