“OFFICINA TEATRALE” AIKOT27
Gruppo teatrale AOIDOS
QUELLE CHE PRENDIAMO TRA LE BRACCIA
Riscrittura scenica di
Vincenzo Di Bonaventura
Liberamente tratta dall’opera di
Henry de Montherlant
nella traduzione di Camillo Sbarbaro
con
Vincenzo di Bonaventura
in Radiofonia teatrale
Ospitale delle Associazioni - Grottammare Paese Alto - 26 Maggio 2019 h17
« Voyez-vous, il n'y a qu'une façon d'aimer les femmes, c'est d'amour.
Il n'y a qu'une façon de leur faire du bien, c'est de les prendre dans ses bras”.
H. de Montherlant, Pitié pour les femmes
“LE PIÙ PERICOLOSE DI TUTTE…”
Torna ad essere attore solista, Di Bonaventura, per quest’ultimo incontro della sua stagione teatrale.
Il dramma in tre atti (1950) di De Montherlant - condensato in due parti dense e brucianti come solo le sue riscritture sceniche - ha la voce profonda e la bellezza “scorticante” di un’opera che ha dietro di sé il teatro borghese fra ‘800 e ‘900, e tutta la forza dirompente di un teatro filosofico che aveva toccato i suoi vertici in Pirandello: il cui Nobel era stato “il riconoscimento ufficiale di un’Europa che cambiava” (Di B.), di una letteratura e di un teatro portatori di speranza e rinnovamento. Non proprio come oggi...
“Ci furono tempi di leggenda / ma sono passati…”, e nel presente deserto di slanci, fiero della propria ignorantia, sono linfa salvifica queste voci che il tempo preserva intatte e la passione dei “folli” come Di Bonaventura ci porge vive e pulsanti.
È teatro immediato, questo esperimento di “teatro radiofonico” che tutto affida alla parola, e della ragnatela dialogica del testo restituisce in ogni sfumatura, esalta ogni infinitesima percezione: esso riprende modalità di ascolto incomprese da un oggi impoverito di parole e di potenza immaginativa, dove il teatro è sempre più, drammaticamente, territorio dell’inesplorato.
Ed è “teatro dell’interiorità” questo di De Montherlant: autore “difficile” nella complessità del suo pensiero, fra i classici della letteratura francese del Novecento e tuttavia controverso nella Francia della metà del secolo scorso per i suoi problematici rapporti con la critica, l’editoria, l’opinione pubblica; in ombra in Italia che lo conoscerà, nello stesso periodo, grazie all’intenso rapporto epistolare e intellettuale col critico e scrittore Luigi Bàccolo, autore di studi sulla sua opera e di articoli a lui dedicati e pubblicati sulla stampa italiana.
“Uomo e scrittore d’altri tempi, ammiratore del XIX secolo, un des plus beaux siècles français” (Adinolfi), il suo è teatro che indaga, dell’uomo, la natura molteplice e contraddittoria, fragile e incongruente, e sempre cercando l’universale nel particolare, il senso profondo nell’apparente non-sense dell’esistere: perchè fissare l’éternel humain, trasmetterne il messaggio morale è per lui il compito imprescindibile affidato alla letteratura.
È a Parigi, pendant l’été de 1949, che egli ambienta Quelle che prendiamo tra le braccia. “Un uomo ama una donna che non lo ama così come lui è amato da una donna che non ama”: nulla di più comune, in questa trama che tuttavia trascende l’avventura banale di personnages tout ordinaires, per toccare il lato oscuro, la fragilità e il vuoto prima della caduta.
L’attore solista per l’occasione si fa in tre, e con la piccola magia del vocoder di vecchia e sperimentata fedeltà presta la sua voce ai tre protagonisti dell’intenso raffinato gioco teatrale: il 58enne antiquario Ravier (elegante, snello, barba sale e pepe, che dimostra più dei suoi anni); M.lle Andriot, 60enne sfiorita, collaboratrice di Ravier che ama con vocazione rinunciataria e ostinata cecità; la bella M.lle Christine Villancy, diciottenne di modesta condizione economica, oggetto del desiderio e centro dell’ossessione sensuale dell’attempato antiquario: ricchissimo, potente [“…tous les grands musées du monde ont quelque chose qu'ils ont acheté chez moi”] e tanto attirato dalla grazia e dalla purezza di Christine quanto indifferente alla devozione della dimessa signorina Andriot.
“Vi i interesserebbe vedere il mio Rubens?...Durante l’occupazione i tedeschi hanno cercato con ogni mezzo di acquistarlo… ne ho ben riso!”: la seduzione passa banalmente anche da questo, i segni del potere e del denaro esibiti davanti alla fanciulla come il pavone maschio la sua ruota, o il tacchino i suoi bargigli…
Perfino la ripulsa della giovane attrae Ravier (… Amo l’odio che mi porta…”), il quale delira fino al feticismo (Resterei ore a contemplare le sue mani…): non manca certo di donne, né di successo e potere, ritiene che solo il possesso conti, che nulla ci sia oltre il piacere. Ma la conquista di Christine - troppo giovane e bella per essere anche sincera - che si darà a lui perché si adoperi a favore del padre finito in guai giudiziari, ha il sapore del fallimento e della contaminazione, è la nemesi matematicamente consequenziale al cinismo.
La giovane donna che si offre a lui per pura convenienza è simile alla bergère falsa che il cliente di Ravier comprerà pur sapendola tale (“Non mi darà dispiacere, non importa, lo prendo perché ne ho voglia”). Come il suo cliente, Ravier sa che possiederà un “pezzo falso”: quasi non vorrebbe sedurla perché ne ama la purezza - Ti amavo innocente, ti adorerò corrotta - e perché forse il culmine dell’amore è nell’immaginazione, ma occorre che la sua ossessione sia appagata (“Che io la prenda e la ingravidi una buona volta, e che sia finita!” aveva detto al culmine del suo delirio).
Fuori pericolo, forse, perché “ci sono quelle che si prendono tra le braccia” ma ci sono “Le più pericolose di tutte: quelle che non prendiamo tra le braccia”; e, in fondo, “una cosa nasce nel fango e non diviene peggiore di un’altra che è nata nelle stelle”.
E tuttavia questo “apostolo del piacere” non ha che il vuoto davanti a sé, la caduta è inscritta con precisa geometria nel disegno di questa desolazione erotica dove la comunicazione con l’oggetto del desiderio è un gettare “tutto nell’abisso come se parlassi a un pianeta sconosciuto”. Così come per gli altri protagonisti, non vi sono uscite di sicurezza, essi si inseguono senza incontrarsi, ciascuno rinchiuso nella propria trama di cinismo. Non c’è altra conclusione che quella, desolata, del protagonista: Les jeux sont faits... Malheureux sans toi ou malheureux avec toi.
E l’appetit de bonheur, la fame di felicità non può mai passare per la sazietà.
“Monumento innalzato alla solitudine umana” (Adinolfi), l’opera di Montherlant lo è particolarmente qui, nella rappresentazione dell’amore che non l'appagamento dei sensi né la più elevata tensione spirituale sottraggono all’insoddisfazione di ciò che non è mai raggiunto. Questi personaggi, alle prese con il lato fragile e oscuro di sé, amano “senza reciprocità, amano nel silenzio e nell’orgoglio” e tanto la sazietà dei sensi quanto la ricerca d’assoluto nell’altro sono destinanti ad un uguale naufragio.
Vi è tuttavia un’esigenza forte di dignità e nobiltà nell’esplorazione dell’uomo che Montherlant vede realizzarsi - sotto un cielo vuoto, privo di prospettive metafisiche - solo attraverso la letteratura: ad essa è affidata, in opposizione alla ”sciatteria del mondo contemporaneo”, la costruzione di quella moralità universale che nelle culture antiche s'è manifestata nelle forme più alte.
La scelta del suicidio, che chiude il cammino di Montherlant nel 1972, è l’estremo atto di fierezza di un intellettuale convinto che l’uomo “è ciò che lascia di sé”. Aveva amato con passione la cultura latina su tutte, vi vedeva rappresentato l’uomo nella completezza interiore che si sottrae al nulla e all’oblio: nessun miglior omaggio alla sua statura intellettuale e umana, di quello dei due scrittori suoi amici che vollero spargerne le ceneri dove più netta era l’orma di quella cultura e di quel pensiero. A Roma: nel Tempio di Giano, nel Tempio della Fortuna Virile, e nel Tevere.
Sara Di Giuseppe - 30 maggio 2019
delle Associazioni
RispondiEliminae in generale il film https://eurostreaming.fyi/sentimentale-hd/ è un momento gioioso della vita.
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