Francesco Diodati / Yellow Squeed – NEVER THE SAME
F. Diodati chitarra F. Lento tromba E. Zanisi piano, Fender Rhodes, synths G. Benedetti tuba, trombone a pistoni E. Morello batteria
Ascoli Piceno – Cotton Lab
3 maggio 2019 h 21,45
La 29ª stagione del Cotton Jazz/Cotton Lab non poteva concludersi che con un’altra sterzata sulla strada del jazz: ecco una nuova band discender per li rami del jazz… Yellow Squeed: un quintetto primaverile di giovani sperimentatori professionisti guidati da Francesco Diodati.
Giovani solo all’anagrafe: il loro jazz, coltivato e maturato in anni di sagge frequentazioni, di fatiche ed esperienza, potrebbe già essere incasellato dai pelosi critici in uno dei tanti schemi costruiti a tavolino, se non fosse che nel jazz certe operazioni di marketing non contano niente.
Questi non sono musicisti qualsiasi. Ragazzo-Diodati fin dai tempi del sodalizio - circa 10 anni or sono - con Ermanno Baron e Marcello Allulli, coi quali suona ancora, era “avanti” eppure studiava. Oggi è avanti e ancor di più studia, ascolta, inventa, sperimenta. Gli piace.
Quando in un lontano indimenticabile “Camera Concerto” concepito in un nebbioso appartamento estivo al 3° piano aperto d’inverno, quindi gelido, si presentò magro con la sua chitarra e un ambaradan di scatolette elettroniche fili pulsanti lucine levette e pedali, pensammo che quel putiferio gli servisse per scaldarsi le dita. Fu messo a suonare (proprio in quartetto con Allulli, mi par di ricordare) nella stanza in fondo a destra, sotto al lampadario (avevamo tolto il letto e i comodini, l’armadio no), e noi “pubblico” in corridoio. Forse non capimmo, avevamo davanti un piccolo talento lanciato. (…)
Riascoltarlo in un club prestigioso come il Cotton in compagnia di musicisti coetanei altrettanto scelti è conferma di una raggiunta e consolidata maestria. La sua musica è cresciuta con ancor più carattere: è precisa, fantasiosa, limpida, matematica. Improvvisazioni libere e virtuosistiche mai invadenti o arrembanti, direi con buoni freni. Più evocative che imprevedibili. La melodia, sempre presente, pare de-strutturata da un architetto. Lo stile, ben riconoscibile, si nutre di forme semplici, senza manierismi, senza asprezze.
E’ “musica da camera contemporanea”, bellezza! (copyright Emiliano D’Auria). Suonano concentrati, tutto un ingranaggio. Sembrano “colloquiare” solo tromba e chitarra, continue occhiate e cenni d’intesa, ma Diodati lo dice: io non scrivo per “una” tromba, io scrivo per Francesco Lento.
Si era subito distinto (almeno per l’energica presenza scenica), ma è In Cities che si svela meglio la tuba di Glauco Benedetti, che nel quintetto ha soppiantato il contrabbasso: “solo” due note vicine ascendenti, ossessive e potenti ma calde e rassicuranti - quando lui la sua tuba la accarezza sulla piccola curva in alto - sulle quali poi si incardina la tromba e tesse armonie, un po’ alla volta, come fanno sempre. E dietro, Enrico Morello alla batteria che lega con rigore di clessidra, facendo di tutto per non emergere, ma non ci riesce…
Tutto il concerto rispecchia l’ultimo disco NEVER THE SAME: “tutte composizioni originali italiane”. Ma ecco a chiudere Thelonious Monk, e qui anche Enrico Zanisi può spiccare in tecnica e personalità, tra le “terre incognite del jazz”…
Artisticamente vicino al grande Enrico Rava, che frequenta anche informalmente oltre a farci concerti, Diodati (di)mostra che il talento può essere “ereditato”. Perché se è vero che di rado la virtù dei padri si trasmette ai figli (per l’Alighieri, rade volte risurge per li rami…), ecco qui una felice eccezione: la magistrale linfa di Rava fluisce limpida in questo suo discepolo, ramo verde e già robustissimo di quel grande “albero” (quasi) secolare.
PGC - 8 maggio 2019
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