09/05/19

Per li rami del jazz

Francesco Diodati / Yellow Squeed    NEVER THE SAME

F. Diodati chitarra  F. Lento tromba  E. Zanisi piano, Fender Rhodes, synths  G. Benedetti tuba, trombone a pistoni  E. Morello batteria

Ascoli Piceno Cotton Lab
3 maggio 2019  h 21,45


         La 29ª stagione del Cotton Jazz/Cotton Lab non poteva concludersi che con unaltra sterzata sulla strada del jazz: ecco una nuova band discender per li rami del jazz Yellow Squeed: un quintetto primaverile di giovani sperimentatori professionisti guidati da Francesco Diodati. 

         Giovani solo allanagrafe: il loro jazz, coltivato e maturato in anni di sagge frequentazioni, di fatiche ed esperienza, potrebbe già essere incasellato dai pelosi critici in uno dei tanti schemi costruiti a tavolino, se non fosse che nel jazz certe operazioni di marketing non contano niente.

Questi non sono musicisti qualsiasi. Ragazzo-Diodati fin dai tempi del sodalizio - circa 10 anni or sono - con Ermanno Baron e Marcello Allulli, coi quali suona ancora, era avanti eppure studiava. Oggi è avanti e ancor di più studia, ascolta, inventa, sperimenta. Gli piace. 

Quando in un lontano indimenticabile Camera Concerto concepito in un nebbioso appartamento estivo al 3° piano aperto dinverno, quindi gelido, si presentò magro con la sua chitarra e un ambaradan di scatolette elettroniche fili pulsanti lucine levette e pedali, pensammo che quel putiferio gli servisse per scaldarsi le dita. Fu messo a suonare (proprio in quartetto con Allulli, mi par di ricordare) nella stanza in fondo a destra, sotto al lampadario (avevamo tolto il letto e i comodini, larmadio no), e noi pubblico in corridoio. Forse non capimmo, avevamo davanti un piccolo talento lanciato.   ()

         Riascoltarlo in un club prestigioso come il Cotton in compagnia di musicisti coetanei altrettanto scelti è conferma di una raggiunta e consolidata maestria. La sua musica è cresciuta con ancor più carattere: è precisa, fantasiosa, limpida, matematica. Improvvisazioni libere e virtuosistiche mai invadenti o arrembanti, direi con buoni freni. Più evocative che imprevedibili. La melodia, sempre presente, pare de-strutturata da un architetto. Lo stile, ben riconoscibile, si nutre di forme semplici, senza manierismi, senza asprezze. 

E musica da camera contemporanea, bellezza! (copyright Emiliano DAuria). Suonano concentrati, tutto un ingranaggio. Sembrano colloquiare solo tromba e chitarra, continue occhiate e cenni dintesa, ma Diodati lo dice: io non scrivo per una tromba, io scrivo per Francesco Lento.

       Si era subito distinto (almeno per lenergica presenza scenica), ma è In Cities che si svela meglio la tuba di Glauco Benedetti, che nel quintetto ha soppiantato il contrabbasso: solo due note vicine ascendenti, ossessive e potenti ma calde e rassicuranti - quando lui la sua tuba la accarezza sulla piccola curva in alto - sulle quali poi si incardina la tromba e tesse armonie, un po alla volta, come fanno sempre. E dietro, Enrico Morello alla batteria che lega con rigore di clessidra, facendo di tutto per non emergere, ma non ci riesce

        Tutto il concerto rispecchia lultimo disco NEVER THE SAME:tutte composizioni originali italiane. Ma ecco a chiudere Thelonious Monk, e qui anche Enrico Zanisi può spiccare in tecnica e personalità, tra le terre incognite del jazz”…

        Artisticamente vicino al grande Enrico Rava, che frequenta anche informalmente oltre a farci concerti, Diodati (di)mostra che il talento può essere ereditato. Perché se è vero che di rado la virtù dei padri si trasmette ai figli (per lAlighieri, rade volte risurge per li rami), ecco qui una felice eccezione: la magistrale linfa di Rava fluisce limpida in questo suo discepolo, ramo verde e già robustissimo di quel grande albero (quasi) secolare.


PGC -  8 maggio 2019 


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