IO, DON CHISCIOTTE
Coreografia, regia e scene
Fabrizio Monteverde
Produzione
Balletto di Roma
Voce recitante
Stefano Alessandroni
Musiche
Ludwig Minkus e AA.VV.
Civitanova Marche, Teatro Rossini 20 Luglio 2019
A TUTTI I CAVALIERI ERRANTI *
“… il sublime si è impazzare senza alcun perché al mondo…”
M. De Cervantes Saavedra, Don Chisciotte.
Il cono di luce rossastra piove su un ossuto Don Chisciotte sommariamente vestito, ripiegato su se stesso, solitario sulla scena: i versi che la voce fuori campo dedica “A tutti gli illusi”* sono preludio alla convulsa gestualità di marionetta di quel corpo che si torce, si piega, s’inabissa, riemerge. Cammina sui libri come su pietre disposte per un guado, li sposta, li raduna, li accatasta; li raccoglie devotamente dentro una carrozzina per bambini il fido Sancho Panza, qui reinterpretato al femminile, figura tenera e stracciona come una Gelsomina senza il crudele Zampanò: in luogo del quale c’è invece il Cavaliere dalla Triste Figura, patetico non meno del suo Sancho, malconcio non meno dell’arrugginita carcassa d’auto che occupa il fondale, sorta di meccanico Ronzinante del tutto degno dell’ingenioso hidalgo a cui “per il poco dormire e per il troppo leggere si prosciugò il cervello”.
Presto la scena si dilata dalla solitudine dei protagonisti alla coralità energica del corpo di ballo: l’aggregarsi, il convergere, il frammentarsi degli interpreti, i movimenti ora spezzati ora lineari disegnano traiettorie narrative ed emozionali che intersecano il microcosmo isolato e visionario del cavaliere, ne ampliano lo struggimento e la follia, ne incoraggiano o ne contrastano il sogno, materializzano nella bella Dulcinea l’infinita sete di bellezza e di amore.
È un Don Chisciotte, quello coreografato da Monteverde, che aderisce intimamente al connotato problematico e tragico del Cervantes eppure è al tempo stesso poderosamente moderno: e se il prorompente tessuto musicale e l’impianto coreografico - intenso e originalissimo - hanno colori e forme di sapore iberico, dentro questa cornice complessa e cangiante la vicenda dell’hidalgo si fa metafora attualissima e universale di ogni ricerca di libertà percepita come “follia”; di ogni guerra, in partenza perduta, contro i muri alti delle convenzioni, delle ipocrisie, dei poteri consolidati.
Don Chisciotte, cavaliere invincibile degli assetati, è solo con la sua struggente diversità, inerme contro i mulini a vento scambiati per giganti, né la saggia concretezza dell’ignorante Sancho può salvarlo dalle ombre; non è che follia la sua ricerca di giustizia, sembra dirci la scena che va connotandosi in senso tragico: l’automobile-Ronzinante (una Renault R4) va in fumo, il petto del cavaliere è trafitto da una rosa di frecce, intensa citazione da “La notte di San Lorenzo” dei Taviani [l’antico guerriero col petto trafitto - nella fantasia della bambina - da decine di lance].
Resta la pietà dell’umile Sancho che lava il sangue del suo padrone, e riconduce entro i confini del reale e del quotidiano il sogno smarrito del cavaliere folle. E se al buon Sancho (convinto che, come nei grandi poemi del passato, un cavaliere debba avere un buon motivo per la propria follia) Don Chisciotte nel romanzo risponde che “Non v'è né merito né grazia in un cavaliere errante se impazzisce per qualche giusto motivo: il sublime si è impazzare senza un perché al mondo”, questo Don Chisciotte - “poeta, folle, mendicante” - immaginato da Monteverdi si spinge oltre: il suo “impazzare” non è senza perché, è piuttosto il reagente che smaschera l’illusione di ciò che definiamo realtà, rovescia i rassicuranti canoni che cementano le nostre ipocrisie, addita infine “la maglia rotta nella rete”, il volo verso la libertà sempre pagato a caro prezzo.
L’eccellenza delle coreografie, della regia, degli interpreti - premiati dall’entusiasmo del pubblico e dalle numerose “chiamate” - hanno prestato all’eternità di un classico la suggestione di linguaggi altri: le traiettorie dei danzatori incrociano un tessuto sonoro potentemente evocativo ed è continuo scambio fra tradizione e modernità; nel il ritmo di flamenco scandito dal solo battito delle mani, nei movimenti spezzati e nei repentini cambi di direzione, nei ritmi convulsi o distesi, le geometrie dei corpi disegnano trame dove i passi sono ciò che nella poesia è la parola: svelano e definiscono il reale, quello della vita che pulsa e prorompe intorno, come quello dell’anima che si slancia verso il sogno e l’utopia.
Non soltanto un magnifico spettacolo, ma un “omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni”, agli “illusi che parlano al vento”, alla pazza idea che sempre, su qualche terra o pianeta, un cavaliere errante ci sia, che segua “la legge che batte nel suo cuore” perché il cuore, come quello del Don Chisciotte di Nazim Hikmet, “ha un peso rispettabile”...
*In: Don Chisciotte, diario intimo di un sognatore
di Corrado D’Elia
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