VIVALDI
PÄRT
FORM ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA
VOCALIA CONSORT - VOX POETICA ENSEMBLE
TOLENTINO – ABBADIA di FIASTRA
13 ottobre 2019 h 16
VIVALDI PÄRT-TIME
Sono l’armonia, la precisione, la bellezza, il tempo, la ragione e il sentimento dei milioni di mattoni dell’Abbadia di Fiastra, a dare l’idea di questo speciale concerto pomeridiano “ad orario ridotto”: 50 minuti, garantisce il direttore artistico Tiberi.
Orchestra e cori nella crociera del tronchetto, sotto la cupola; il pubblico per lo più nella navata centrale. Intorno solo la moltitudine di mattoni a vista, pulitissimi da sembrar nuovi. Non statue nè dipinti di santi [salvo qualche affresco per caso], non ornamentosi altari dei miracoli, non ori nè oziose decorazioni: “ora et labora” - l’ideale benedettino di lavoro e preghiera - qui dentro è ancora rispettato. [Fuori della chiesa meno: assedio - quasi ordinato - di centinaia di auto, pesanti odori di grigliate dai gazebo, aria di ricreazione domenicale, non proprio misticismo e sobrietà…]
Ma è subito Arvo Pärt: “Da pacem Domine”, un largo lento, sennò non sarebbe Pärt… Gli archi matematicamente alternati alle voci (si “rispondono”, senza guardarsi), e le note - poche - tenute lunghe e/o in successioni (quasi prevedibili), di terza, di quinta… ma cariche - non si sa come - di spiritualità e mistero e pure un po’ di dolore, uno diventa religioso per forza, mi vien da pensare. Eh, questi di FORM sanno come suonarlo Arvo Pärt, sembrano estoni di Tallin.
Musicalmente più elaborato il “Salve Regina”, i due cori misti (siamo precisi!) come fusi nell’orchestra qui lavorano molto di più. Ciò che sempre stupisce è il pragmatismo nordico e la modernità di Pärt, la semplicità complessa tendente al minimalismo spinto, al mistico profondo obbligatorio eppure mai oppressivo, al politico nel senso più alto. Tu ascolti e ti passa davanti la Storia (fin dal Medioevo) e la Geografia (a partire dall’Oriente); e vedi colori, cioè quasi “abbini certe note a certi colori” (come da qualche parte scrive Oliver Sacks). La musica ti suona proprio nella mente. Sei preso.
Arvo Pärt – magari in part-time… – ti ipnotizza, con la complicità del grande solitario rosone dell’abside, sempre più illuminato dai raggi del pomeriggio, sulla linea visiva di orchestra-direttore-cori misti.
Ma ecco il linguaggio sacro della musica impennarsi con questo Vivaldi delle 11 composizioni liturgiche del Gloria in re magg. Un Vivaldi - che ha 300 anni meno di Part! - che forse molti di noi non si aspettano. Anche gli spartiti, per l’energia che devono produrre, si fanno ad occhio più fitti e “scuri”. I violini e le viole si posizionano in punta di sedia come ciclisti in fuga pronti a scattare, o magari solo per dei deliziosi “pizzicati” corali; i due contrabbassi (assieme al direttore Berrini hanno la visuale completa) “sorvegliano” con l’autorevolezza dei loro “grandi” hertz; oboe e tromba, pur defilati, aggiungono calore alla tessitura dell’invisibile tela di preghiere, sentimenti, misteri e perfino polifonici paesaggi prodotti con traboccante fantasia dal nutrito plotone di viole-violini-violoncelli; con le piccole ma grandi Cristina Picozzi-soprano e Roberta Sollazzo-mezzosoprano che spuntano dai cori-misti per duettare in latino tra loro, con l’oboe, col violoncello… “Ne risulta complessivamente un vasto affresco musicale, dipinto alla maniera del Tiepolo, con ampie campate di colore… con un’energia leggera ma possente… in uno spazio vibrante d’aria e di luce.”. Poi si sa, c’è del barocco in Vivaldi.
Mentre usciamo dalla chiesa, allo scadere dei 50 minuti, il sole da ovest si fa strada con prepotenza dal rosone sulla facciata, e il fascio di luce - parallelo al pavimento - colpisce giusto l’altro rosone dell’abside.
Cos’altro c’è di magico, o di pagano, stasera?
PGC - 15 ottobre 2019
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