(Morte sul lavoro a San Benedetto)
Cristo in realtà - lo sappiamo da sempre - s’è fermato molto prima di Eboli, prima di San Benedetto del Tronto, ben prima dei confini di quest’Italia dove ancora si muore di lavoro. “Si continua a morire come 40-50 anni fa” dice Landini.
Era di Eboli, come gli altri operai del cantiere, Paolo Guarino, morto schiacciato nei lavori di scavo in Viale dello Sport a San Benedetto, ad un’età in cui dal lavoro usurante si dovrebbe già essere a riposo, in un giorno in cui non doveva lavorare perché aveva la febbre, ma è andato lo stesso perché era capo cantiere.
La sua morte è ora un numero, nel tragico conteggio, e per San Benedetto sembra essere ancor meno. Materia per cronache di qualche giorno, per retoriche di circostanza su quotidiani e social, per indignazione a buon mercato esibita dal mondo politico e sindacale. E basta.
Ma “basta” bisogna dirlo invece a tutto questo: alla disinvolta prassi – legale, va da sé – degli appalti vinti al ribasso e va a sapere a scapito di che cosa (materiali? sicurezza? ambedue certo, e chissà che altro); a quella dei subappalti che pescano imprese a centinaia di chilometri di distanza (e allora il lavoro è per i singoli una sfida quotidiana, lontani dal ristoro di un ritorno a casa la sera, e si lavora male, si lavora come si può) che costano meno e fanno intascare di più.
Ed ecco i Lavori Pubblici fatti a cazzo e di cui è piena la città, di cui è disseminato il territorio, l’una e l’altro sempre più brutti, dissestati, dolorosi, pericolosi. Tanto chi controlla mai: c’era forse chi vigilava sulla sicurezza - e sulla qualità dei lavori - nel cantiere franato sopra Paolo Guarino?
“Basta” bisogna dirlo alla vuota ritualità che accompagna fatti come questo. Parole e cordoglio, poi il minuto di silenzio, forse, in consiglio comunale o alla partita (lo stadio è proprio lì, magari la Samb giocherà col lutto al braccio), poi il telegramma istituzionale alla famiglia. Poco altro: sfileranno le marionette come nell’ Opera dei Pupi e avranno il ghigno funebre delle grandi occasioni, costa così poco condolersi a favore di telecamera o di microfono a patto che tutto resti com’è.
Dagli inerti fantasmi dell’Amministrazione Comunale col loro degno sindaco, e da Chiesa, Scuola, Imprenditoria, Associazioni, Categorie professionali (costruttori ecc.), non la concretezza di un’iniziativa che trasformi il cordoglio parolaio in azione, in pratica virtuosa. Come potrebbe essere, chessò, destinare alla famiglia dell’operaio i gettoni di presenza dei consiglieri comunali, o qualche migliaio di euro tolto agli assessorati, o meglio tutta la somma equivalente a quel ribasso d’asta…
Dalla cosiddetta società civile non indignazione o rabbia - né scioperi o manifestazioni - contro un sistema dove il profitto importa più della vita e della persona.
Resta da capire come e quando siamo diventati questo deserto di cinismo e indifferenza. Ineluttabile il peggio, per una comunità anestetizzata o compiacente o rassegnata - complice sempre - che si consegna all’indolenza, all’incuria, al calcolo economico, alla rapacità del mercato, alla malapolitica.
Ma che volete, in fondo è Carnevale, e San Benedetto ha appena recuperato il suo dopo tanti anni, e la tradizione, e l’identità sambenedettese, e la prua della Geneviève, e bla bla… E inaugurazioni di pseudo monumenti e tagli di nastri con benedizioni ecclesiastiche vanno via come il pane, e una targa-ricordo non si nega a nessuno, ci sarà pure quella all’operaio-caduto-eroe, siamo o non siamo il posto più bello del mondo?
E allora, Cristo che ti sei fermato chissà dove, annamose a diverti’!
Sara Di Giuseppe - 22 febbraio 2020
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