- Anche se a noi il marcio proprio non ci manca, tuttavia non siamo la Danimarca. Dove su ogni casa scuola giardino mercato piazza sventola - rettangolare o triangolare - la bandiera nazionale rossa-con-croce-bianca-magra-e-sdraiata.
I danesi ne sono orgogliosi con naturalezza, quella bandiera fa da sempre parte del loro paesaggio, della loro identità. Non è un’intrusa, né qualcosa da tirar fuori, come da noi, quando serve a coprire certe sporcizie. Guarnisce anzi l’ambiente al pari di un bell’albero o di una pianta fiorita, di un’architettura, di una fontana, di un’opera d’arte… E’ come un brand, ma “naturale”, senza pubblicità, forzature, imposizioni. Accettata e amata più per cultura che per tradizione. Immune dal virus della retorica. Se “c’è del marcio in Danimarca”, la sua bandiera non c’entra.Ma noi italiani - primatisti negativi in tanti campi e imbattibili nell’esaltazione opportunistica della bandiera - in questi tristi tempi di coronavirus la sorpassiamo perfino, la Danimarca, perché di colpo da noi è tutto un garrir di bandiere: nelle tivù, alle spalle dell’intervistato - chiunque egli sia - ne compaiono sempre almeno tre, grandi, nuove, stirate che si vede ancora la riga, non sventolanti solo per mancanza di ventilatori. Ti fanno una figura bestia, spiccano più dei faccioni sparlanti e dei quadri dei vivi e dei morti e dei santi alle pareti.
Partito anche, dai social-pulpiti, l’ordine di imbandierare col tricolore l’intero mondo creato (bandiere made in China, ovvio): balconi, terrazzi, finestre, facciate di case, condomini, palazzi… altro che ai mondiali di calcio! e di cantare tutti l’Inno di Mameli fino a strozzarci, così andrà tutto bene. Col patriottismo tutto passa, è come Aspro.
Dunque bandiere e Inno (Bella ciao no, quella solo in Germania): cura da cavallo di entusiasmo e ottimismo che manda in paradiso i vivi e i morti-subito. Ma cerrrto che abbiamo obbedito, molto più che all’ordine di restare a casa.
- C’è poi il paradosso delle librerie, che devono restare chiuse perchè superflue e inutili. Se “un’ordinanza al giorno toglie il coronavirus di torno” [cpr. Giuseppi], neanche una delle 6-7-8-9 ordinanze e decreti succedutisi a raffica ne ha cancellato l’irragionevole chiusura. Dice: le librerie, coi loro libri, provocano confusione, file, angoscia, resse pericolose. Non servono, punto. Giusto ucciderle. Mica sono tabacchi-grattaevinci-lotterie-banche…
Ma ecco: a rimarcare l’invalicabile baratro culturale tra noi sudditi ignoranti-ubbidienti e il Potere forte sapiente e saggio, oggi proprio le librerie sono sfondo o quinte di palcoscenico - oltre alle lustre bandiere, dicevo - per tutti i faccioni sparlanti a ruota libera nelle tivù.
E giù mega librerie che occupano tutto lo schermo; o classicamente serissime coi tomi omogenei e possenti (forse un tanto al metro) rilegati in oro-argento-pelle umana; o di design e firmate, casual-style, con libri sfusi in studiato disordine misti a eleganti cataloghi d’arte varia, riviste rare (straniere bene in vista); foto incorniciate di famiglie felici, calendari dei carabinieri in ordine millimetrico (per forza!); e bomboniere della nonna, gingilli, oggetti etnici per il tocco d'esotico, più ciaffi vari.
Tutto è lì per caso, chi ne dubita, l’intervistato manco se n’era accorto, ma di certo gli conferisce status e autorevolezza: lui è uno che pensa e che sa, con quella bocca può dire ciò che vuole, anche quel che non sa, e quei libri gli coprono le spalle, lo proteggono.
Capita pure, ma sempre per caso, che qualche faccione sparlante si sistemi talvolta con furba nonchalance proprio “ad angolo”: da lì si vede meglio che la sua libreria non finisce mai, che lui molto ha studiato e studia, lui le cose le sa, lui sì, tu no.
Ah noi tapini, che non possediamo (né amiamo) nessuna bandiera, che magari abbiamo in casa solo una scorticata libreria “Billy” fintolegno IKEA, noi che causa contagio ci hanno pure chiuso le poche librerie rimaste… dove pensiamo di andare? Non ci resta che infettarci. #andratuttobeneuncazzo
PGC - 26 marzo 2020
Foto tratta da "Illibraio.it" |
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