Riaprire le chiese chiuse è una sacrosanta questione di tolleranza, libertà, sicurezza e civiltà.
Regolarizzandole, si capisce: quelle troppo brutte, vecchie cadenti e soprattutto in precarie condizioni igieniche e di sicurezza restino giustamente chiuse; ma quelle moderne, pure loro brutte anzi orride, però pulite ben organizzate e ben frequentate, è peccato mortale non riaprirle: difficile rimanerci infettati da qualsiasi virus, anche se sarà buona norma diluire abbondante amuchina nelle acquasantiere (se si trova).
Eppoi, le recenti ordinanze regionali emesse a rotta di collo vietano comunque i contatti pericolosamente ravvicinati - compresi i “segni di pace” - quindi che paura c’è?
Non è soltanto uno spontaneo movimento popolare a sollecitare la riapertura delle chiese chiuse, non è soltanto il TAR a lavorar di notte per prendere una posizione, ma pare che si stiano presentando sull’argomento perfino dei DDL (dell’opposizione? di una maggioranza? non si sa). Fiduciosi, quindi! Auspichiamo che l’affezionata utenza di una certa età possa tornare alle sane abitudini di antica memoria e che i giovani, nella frequentazione assidua delle chiese non più chiuse, si tengano lontani da tentazioni e cattive compagnie, dove si annidano sfruttamento e delinquenza.
Si torni alle origini. Sui portoni delle chiese riappaiano le bacheche degli orari e i tariffari dei servizi.
Per i Vescovi l’appello finale: intanto disubbidiscano, anzi facciano l’iradiddio contro queste ordinanze-senza-religione che non vanno incontro ai bisogni primari dei fedeli-cittadini, né aiutano la fratellanza; poi agevolino l’ordinato afflusso nelle chiese riaperte, facendo installare sulle facciate e sui pinnacoli dei campanili luci rosse (“chiesa piena”) e luci verdi (“avanti c’è posto”).
Così sia, anche col famigerato Coronavirus Covid-19. Poi ognuno vada in pace, oh yes!
PGC - 29 febbraio 2020
Nessun commento:
Posta un commento