A. Camus, La peste, 1947
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Ho un incubo ricorrente (si alterna all’altro, meno frequente, in cui il vicino di casa delatore-psicotico avvisa i CC d’avermi vista sulla soglia di casa... Perché è la parte migliore di noi, quella che scopriamo con l’emergenza…).
L’incubo: in movimento con regolare autodichiarazione, vengo fermata per controlli da anonima “autorità” (auto blu priva di contrassegni per meglio stanare il cittadino furbetto-fino-a-prova-contraria): ahimè, un nuovo modulo è stato emanato nella notte e invalida il mio, avrei dovuto saperlo e stamparlo. Il reato è gravissimo, vengo brutalmente messa in ceppi e condotta verso…
Mi sveglio. Sollievo: i moduli sono lì, in rigoroso ordine di apparizione dal primo al più recente; ho lasciato ampi vuoti per i prossimi, sono previdente, io.
Li conserverò, un giorno mi ricorderanno questo spazio della vita in cui l’inimmaginabile è diventato quotidiano.
L’inimmaginabile sono - anche - quei moduli. Summa di ogni sordo burocratese stratificato in secoli di funzionari asburgici-austroungarici-savoiardi-papalini-borbonici; linguaggio che arriva fino al nostro cupo millennio pandemico immutato nei contorti stilemi, nella grafica compressa e chiaroscurata, nella disumanante afasia.
Ci sono dirigenti, funzionari, impiegati, vertici militari - “persone oltre le cose” - dietro quei moduli, così come dietro i Decreti/Ordinanze Ministerial/Regionali/Comunali i cui articoli (a volte anche solo due) li leggi dopo quattro pagine e lenzuolate a due piazze di visto questo visto quello e visto quell’altro e visto quell’altro ancora…
Ci si chiede cosa di buono possa mai venire, in questo passaggio apocalittico, da apparati pachidermici, mummificati perfino nella comunicazione.
Non è da quelli che verrà la salvezza: questa, se ce ne sarà una, verrà da coloro che oggi, dalle disperate trincee ospedaliere, dalla miriade di postazioni in tutta Italia dove si combatte e si muore, da dentro le impossibili tute marziane, rifiutano di alzare bandiera bianca.
Tutti gli altri sono a vario titolo responsabili del disastro e ne risponderanno alle proprie disperse coscienze. Mai, temo, al Paese e ai cittadini.
- Sono gli apparati politico-amministrativi delle Regioni, inconcepibilmente privi di piano pandemico regionale, a cominciare dalla fulgida Lombardia.
Che hanno omesso di creare in anticipo strutture dedicate e interventi sul territorio (dopo aver impoverito le strutture pubbliche privilegiando un privato che non poteva essere all’altezza) e “colti di sorpresa” hanno praticato - a cominciare dalla Lombardia - un’ospedalizzazione che è stata benzina sul fuoco dell’epidemia.
[Che in Lombardia hanno omesso di chiudere Alzano, nel bergamasco, dove - presente fin dal 23 febbraio, dopo la zona rossa di Codogno - un focolaio è stato lasciato libero di circolare e diffondersi. (cfr. G. Barbacetto, Il Fatto Quotidiano 30 marzo) ]
- Sono i vertici sanitari nazionali che hanno recepito senza far nulla, quando si era ancora in tempo, le previsioni epidemiologiche della comunità scientifica diffuse da Ministero della Salute già i primi giorni di gennaio; e almeno fino al 21 febbraio hanno trascurato le informazioni dettagliate degli scienziati sulla sintomatologia del virus omettendo perfino di informarne i medici di base. [Senza contare che il Ministero della Salute deve strutturalmente avere - come ogni altro Ministero - piani gia’ predisposti per qualsiasi tipo di emergenza, anche la più catastrofica]. Invece: “siamo stati colti di sorpresa” e, per dirne una, ci si accorge addirittura solo ai primi di marzo che i ventilatori li fabbrica un’azienda italiana…
- Sono i vertici della Protezione Civile riuniti il 31 gennaio nella loro sede romana con burocrati e vertici di tutti i Ministeri, più Croce Rossa, ANCI, funzionari delle Regioni, rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità e - va da sé - alti militari di ogni ordine e mostrina: che stabilirono di controllare i voli da e per la e Cina, di misurare la febbre agli sbarcati, di recuperare uno a uno gli italiani dallo Hubei, anche un aereo per ciascuno.
E - simpatici sbadati! - dimenticarono di parlare di capienza degli ospedali, di personale sanitario e di aumenti di organico, di terapie intensive, di protocolli per i soccorsi urgenti, di acquisti di respiratori e mascherine e tamponi e tutto l’ambaradan che ormai sanno pure le pietre.
Preoccupati dei rapporti economico-diplomatici con la Cina e di non creare allarme sociale, e convinti - bontà loro - che ”il sistema italiano reggerà” si offrirono con sorridente ottimismo in favore di telecamere.
- Sono i componenti del comitato operativo della Protezione Civile, che in continue riunioni a gennaio e a febbraio, e con l’allarme già diffuso da Ministero Salute e OMS, non ritennero di dover effettuare uno straccio di calcolo sulle necessità e dotazioni di cui sopra. Tutto come col terremoto dell’Aquila, tutto déjà-vu, compreso Bertolaso: che la Lombardia chiama, viste le luminose prove offerte in passato, e lui subito qui, dall’Africa a Milano e poi fino ad Ancona a spargere… positività (chiedere a Ceriscioli).
- Sono i responsabili che non hanno ritenuto necessaria la mappatura epidemiologica - ricostruzione dei contatti dei positivi, fattibilissima anche se non siamo Seoul - che avrebbe contenuto il contagio e preservato la categoria più esposta: medici e operatori sanitari. E hanno scelto di considerare solo i sintomatici.
Sono gli stessi che ora nelle varie Regioni corrono ai ripari con interventi tragicamente affannosi e tardivi - ospedali da campo, strutture dedicate ecc. - spacciati ai microfoni dell’informazione compiacente come manifestazioni dell’eccellenza lombarda, lombardo/veneta e di altre fulgenti Regioni.
E saranno santi subito, da scommetterci: lo sarà il Presidente sto-tutti-i-giorni-in-tivù, con la mascherina d’ordinanza e l’abito buono da preghiera col vescovo e la porgimicrofono adorante e genuflessa; lo sarà il fido scudiero (pardon assessore-“andratuttobene”) che già si candida a sindaco della martoriata Milano. Altra calamità in arrivo. Dio aiuti Milano.
Poi ci siamo noi, cittadini-sudditi o popolo bue: trattati tutti - per l’imbecillità di pochi criminal-cialtroni da mettere in gabbia e gettar via la chiave - come irresponsabili/disobbedienti/untori/furbetti fino a prova contraria. Martellati fino alle più remote sinapsi, con una comunicazione da grande fratello orwelliano, dai minacciosi continui offensivi “state a casa”. Come fosse, ciascuno di noi, un minus habens bisognoso di reiterate supponenti istruzioni-raccomandazioni-ordini e, se del caso, anche delle maniere forti.
Come se avessimo voglia, in questa apocalisse, di giocare a dadi con la nostra pelle e con quella del prossimo; come se non ci bastassero tutto il dolore che vediamo e sperimentiamo, tutta la sofferenza e tutta la tristezza di quei morti che se ne vanno soli, senza persone care che possano, per loro, rapire “una scintilla al sole a illuminar la sotterranea notte”.
#andratuttobeneuncazzo
Sara Di Giuseppe - 31 Marzo 2020
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