"Agli inizi del secolo scorso, a Pescara del Tronto, durante la processione in onore della Madonna del Soccorso, un bimbo piangeva in braccio alla madre affacciato ad una finestra mentre si accingeva a transitare un grande crocifisso sorretto da un membro della Confraternita. Stanco ed infastidito dagli stremiti del fanciullo, il vecchio portantino alzò il volto del crocifisso all'altezza del viso del bambino piangente esclamando: " tatte zitte! Sennò te facce magnè da lù Mamò". Il bambino tacque ma non sappiamo quale trauma si portò dietro per il resto della sua vita."
Questo era uno dei racconti preferiti da mio nonno che spesso mi narrava episodi grotteschi ed esilaranti accaduti nell'eterna sfida a colpi di sberleffi tra il mio paese e quello di Pescara del Tronto. Prima di andare a letto ripensavo alle sue storie e fantasticamente cercavo di farmi un'idea di come poteva veramente essere fatto "Lù Mamò", questo mitologico personaggio delle sue favole, bestiale e gigantesco, fino a quel caldo mattino d'estate in cui... io, un bimbetto gracilino di otto anni che girovagava spesso fra i boschi, sovrastanti il mio piccolo paese di montagna, imboccai un sentiero sconosciuto che attraversava un fitto bosco di querce.
Non sapevo bene dove conducesse quella mulattiera ma non avevo la minima paura di perdermi tanta era la voglia di esplorare nuovi territori. Attraversato diagonalmente un ripido pendio mi ritrovai perso in uno scenario fantastico; si aprii ai miei occhi una piccola valle che si snodava serpeggiando a ridosso di un ruscello verso i picchi dei Monti della Laga. Presi una stradella sul pendio destro al lato del ruscello che nel suo corso tortuoso, formava di tanto in tanto delle cascatelle con piccole piscine naturali. Sentii di colpo uno strano crepitio, mi girai di soprassalto e vidi in uno spiazzo nero al lato della strada, una specie di cono piramidale alto più o meno tre metri, tutto ricoperto di terra e muschio con un grande pennacchio di fumo nero sulla cima mentre tutt'intorno c'erano tizzoni neri spezzati e un'enorme quantità di cenere. Ed ecco apparire all'improvviso tra il fumo ed i rami un'enorme gigante, un mostro tutto nero con gli occhi cerchiati di bianco che avanzava con passo pesante verso di me. Il suo sguardò mi bloccò, trattenni il fiato deglutendo e pensai subito: "Lu Mamò!" iniziando a correre a perdifiato verso casa.
Mia madre notò subito la mia pallidezza e la mia agitazione chiedendomi il motivo del mio malessere. In silenzio ascoltò il mio racconto esplodendo in una risata: "Ti rendi conto di quanto può essere ingannevole la tua piccola mente fantasiosa, l'uomo che hai visto dietro le "Macchie" era Pietro Santolini il carbonaio di Colle che ha affittato il bosco di Augusto per fare il carbone di legna.
E così scoprii che quel giorno non avevo incontrato "il mitico Mamò" ma uno degli ultimi carbonai. Persone speciali che sanno ancora parlare con gli alberi e domare il fuoco, sanno capire il vento e rispettare i ritmi delle stagioni e della natura con gesti, movimenti ed espressioni inalterati da secoli, che rivelano un'armonia ed un'antica sapienza tramandata da generazione in generazione, che vive e si rinnova ad ogni rituale di creazione del carbone di legna.
Vittorio Camacci - 5 gennaio 2018
per UT 63 "La bestia" (numero non pubblicato)
Nessun commento:
Posta un commento