A parte il titolo generale poco onomatopeico "Dirò del Rodi - 50°, 1970-2020", l'attuale mostra in Palazzina Azzurra presenta senz'altro spunti di riflessione oltre ai miei pochi ricordi risvegliati da un sicuro oblio. Avevo visto in precedenza, il 25 ottobre 2020, l'apprezzabile sforzo di ricostruzione documentaristica della tragica vicenda del Rodi, 23 dicembre 1970: "Mare e rivolta", organizzata da un nutrito gruppo di operatori culturali gravitante attorno "Re nudo" e il suo instancabile animatore Piergiorgio Cinì, andato in scena al Teatro delle Energie di Grottammare.
Questa mostra, inaugurata il 12 febbraio scorso in Palazzina e voluta dall'Amministrazione, dal titolo "…je sò lu mare e me te magne" (apparentemente più un sottotitolo e peccato che in questo caso, al contrario, furono 'magnate' 10 persone - capisco la citazione ma forse il compianto Alfredo Giammarini si riferiva a eventi meno dolorosi), come detto, fa parte di una serie di eventi dedicati "Dirò del Rodi", una dovuta documentazione dei tragici fatti accaduti, alla memoria dei morti e dell'angoscia provata dalle loro famiglie in qui giorni.
Una città intera si mobilitò subito e si stringe nella rabbia e nella disperazione attorno al mondo della pesca, che all'epoca coinvolgeva migliaia di persone nella nostra San Benedetto. Molte foto presenti ne danno testimonianza.
I volti visti, alcuni anche riconosciuti, danno un brivido per l'immedesimazione che si può provare di fronte a queste vite, annegate proprio in prossimità del nostro porto e alla vigilia di quel Natale 1970.
Sono stati ricostruiti i numerosi articoli di quei giorni, con l'epopea della pesca atlantica vissuta da avventurosi e affamati lavoratori sambenedettesi; con le speranze che nascevano attorno a un lavoro che poteva rappresentare un riscatto da una quasi certa condanna alla povertà; allo sbocco naturale che rappresentava il lavoro principe per una città di mare (per i figli di marinai non esisteva altro che seguire le orme dei padri e dei nonni), con l'abbondanza di offerta che rappresentava una calamita (e non necessariamente una calamità) per moltissimi giovani.
Ma per quanto riguarda il 'visitato' devo rilevare un generale appiattimento dimensionale dei fotogrammi riportati (materiale in gran parte del citato fotografo Giammarini, credo, riscoperto, curato e pubblicato dalla fondazione Libero Bizzarri). E poi: perché ripetere su tutti gli stampati solo il logo (pedissequamente e esageratamente grande) e mai date o autori come didascalie? Mi sarebbe apparso giusto visto che il tutto possa far parte di una catalogazione e non mirato a una vera e propria mostra come avrebbe dettato il luogo. Tutti nello stesso formato (mi è sembrato 50x70). Quando poi riprodurre del materiale per una 'mostra' significa mettere in luce, magari in evidenza gli aspetti rilevanti della vicenda che si vuole ricostruire. Insomma, utile per una pubblicazione corposa, da lettura a domicilio, e non da visitare come si usa nei luoghi dedicati. Per altro non ho trovato che un pieghevole, tascabile, a 3 ante, dove neanche la data della tragedia viene riportata (solo 1970-2020). Al suo interno 'semplicemente', si fa per dire, 68 foto da 3x2 cm circa + una 13,5x6 a fondo pagina (tra l'altro la peggiore come definizione). Forse era meglio una semplice cartolina/invito?
Lo so, posso sembrarvi pignolo, deviato da un eccessivo professionalismo di settore, ma forse il materiale espositivo in questi casi penso vada meglio indirizzato, costruito, pensato per un pubblico che si vuole coinvolgere, sia intellettualmente che emotivamente. Perché le due cose vanno insieme: si apprende con le emozioni quanto e più che con gli occhi.
Visitatela comunque, ne trarrete le vostre valutazioni, ed è ugualmente bene per il rispetto che si deve al passato.
Io ci tornerò per gli audiovisivi, che ho tralasciato per questioni di tempo. Cercherò, chiederò anche del catalogo… se c'è.
PS: La data di inizio della mostra c'è (stata), ma la data di fine no. Il covid-19 s'impone su tutto. Affrettatevi.
18 febbraio 2021 - Francesco Del Zompo
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