Foto Amat |
BALLETTO DI MILANO
direttore artistico Carlo Pesta
VILLA VITALI – FERMO
3 Agosto 2022 h21.15
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“Sopra quest’opera la fatalità sta sospesa; la felicità di essa è corta, fulminea, e non conosce dilazioni. Io invidio a Bizet il coraggio di questa sua sensibilità eccezionale […] di questa sensibilità meridionale, brunita, arsa dal sole…” [Friedrich Nietzsche]
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Sapore di Spagna e arie di America Latina, in questo bel programma del Balletto di Milano.
Aria di libertà, soprattutto: quella di Carmen, indomita creatura dalla felicità corta e fulminea che pagherà morendo; e quella del Tango, fatto di polvere e tempo, spavaldo e malandrino, erudito e sensuale.
Ed è, il tema della libertà, il fil-rouge che unisce le due parti dello spettacolo: è il diritto, rivendicato da Carmen con le sue scelte di vita, di essere sé stessa oltre le convenzioni e i pre-giudizi; è la libertà tanguera, che sfida il benpensantismo della borghesia porteña e dal barrio violento di Buenos Aires decolla verso Parigi e verso New York unendo continenti e culture.
Del balletto Carmen di Roland Petit su musica di Bizet, la coreografia odierna estrae i tratti cruciali, estrapola umori e atmosfere e - sapientemente fusa alle notissime arie dell’opera - pur nella sintesi trasforma i danzatori in figure a tutto tondo: Carmen, Don José, Escamillo, danzano con foga inesorabile verso il destino che li sovrasta, e lo slancio vitale che ne prorompe è barbarico, tanto incoercibile quanto profondo è il sentimento della morte che incombe.
Trascinante energia che si sprigiona dalla capacità interpretativa di ciascun danzatore e fluisce in una coralità accesa e caleidoscopica, trascolorante dalla sensualità alla disperata coscienza della fine. E di un mondo destinato a scomparire ci parla questa storia, in quella che fu la prima opera lirica “verista” (la Cavalleria Rusticana verrà poco più tardi). Che è storia di femminicidio, in fondo, quando ancora non lo si chiamava così, ma è soprattutto storia di una donna nata libera: imperdonabile colpa, non solo ieri.
Un’ideale traiettoria del tango si disegna invece nelle tre coreografie della seconda parte, attraverso i percorsi di una danza e di un genere musicale nei quali si fondono tradizione e innovazione, classico e contemporaneo: divenuti entrambi linguaggio universale, memoria e narrazione, intatto paradigma ancor oggi di passione e nostalgia, inquietudine e speranza.
Il tango degli anni ’20 - in “Decotango” - con le sue stilizzate forme “parigine” (quando il tango diviene troppo presentabile, nel giudizio di J.L.Borges), e poi i duetti rievocanti il tango-milonga delle origini (“orgiastica diavoleria che raccontava storie di coltello”) fluiscono – col secondo elemento del trittico coreografico, “Passioni” – nel grande tango di Piazzolla rivoluzionario genio musicale, ed è il tango nuevo colto e sensuale (“negli accordi ci sono antiche cose / l’altro cortile e la nascosta orditura”); e tocca corde profonde la voce infinita di Gardel, primo cantor di tango, mito e leggenda del tango cantato.
Con i tanghi elettronici di Indris Joner, infine, nella coreografia “In-Transito”, l’alfabeto dei corpi disegna e re-inventa lo spazio fisico in un continuum di movimento d’intensità e velocità crescenti; e in un tutt’uno vertiginoso, aggressivo quasi, con la sofisticata architettura musicale, volutamente scardina il rigore della tradizione e le simmetrie del classico.
Hanno acceso di “luccicanza” il palcoscenico di Villa Vitali, questi danzatori e queste coreografie. E siamo grati a questi interpreti che abbiamo visto giocare ruoli ed evocare situazioni, atmosfere, stati d’animo in continua mutazione, con la naturale luminosa leggerezza che sempre è frutto – né può essere altrimenti - di studio e lavoro, sacrificio e, soprattutto, passione autentica.
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