“…Ma bene ti dico questo: che ora è il tempo della penitenza.”
(Girolamo Savonarola, 1495)
Nel Medioevo di ritorno che ci attende (non che ci fossimo mai allontanati troppo) piacerebbe trovarci almeno figure di un certo spessore, se proprio devono predicarci ogni due per tre ricordati che devi morire (e sì-sì-mo-me-lo-segno): come il grande ferrarese che ai potenti corrotti e ai puzzoni a loro vicini non gliele mandava a dire e guarda infatti la finaccia che fece.
Averlo oggi, un fra’ Girolamo così, con la sua ansia di rinnovamento delle coscienze: colto e incorruttibile, impavido contro i poteri forti, fustigatore della mondanizzazione della Chiesa e profeta della scissione luterana, repubblicano e vagheggiatore di istituzioni in grado di armonizzare la sfera politica e quella morale…
Scomodo, scomodissimo.
Oggi rischiamo di soccombere - noi popolo cosiddetto sovrano - schiantati nel fisico e nell’anima dalle pelose prediche al risparmio, alla sobrietà, alla penitenza quotidiana poiché bui e tempestosi sono i mesi a venire: ma i nostri Savonarola sono mezze calzette al livello basico di alfabetizzazione, dalla statura morale e politica inversamente proporzionale alla supponenza che elargiscono, amplificata da grande stampa e tivù a inginocchiatoi unificati.
Sono gli stessi illustri imbecilli (che siano italioti o eurouniti o transoceanici non fa differenza) che ci hanno cacciati nel tragico guazzabuglio; che nell’incontinente delirio guerrafondaio vaneggiavano di sanzioni che avrebbero spezzato le reni alla Russia in una manciata di giorni o settimane; che dalle paginone dei giornaloni strombazzavano - lo fanno ancora! - di “sanzioni sempre più efficaci” (Draghi); che, migliori tra i migliori, deliravano di “successo completo” (Draghi) degli accordi europei sulle sanzioni…
Oggi predicano e gridano alla penitenza dagli stessi divani dai quali mesi fa gridavano “alle armi alle armi”; oggi sentono il fuoco al culo (mi perdoni Fra’Girolamo) perché finanche i loro privilegi oltre alle nostre anonime vite potrebbero finire spazzati via, vaporizzati a colpi di gas.
Penitenziàgite, è il grido unanime, voi sciagurati che finora avete usato la lavatrice e lo stereo, lasciato accesa la luce in bagno, usato il phon, fatto la doccia calda. Risparmiate, economizzate, soffrite (come se avessimo fatto altro da questo, finora). Su di voi ricade la responsabilità della crisi energetica, del pane che manca, del lavoro perso, della rovina del paese.
Eh? Come dite? La guerra? Fermare la guerra!? Giammai!
Piuttosto si chiudano le scuole e si risparmierà. Che ci vuole.
Così accade che la guerra sparisca dai programmi elettorali, e con essa le armi, e i relativi scandalosi giganteschi finanziamenti. Perché chi non lo sa: la guerra è ovvia, la guerra è necessaria, la guerra difende i valori occidentali qualunque cosa voglia dire.
Che possa cessare non è nei piani, piuttosto si corra ai ripari, un po’ di sobrietà, suvvia: tornare alla pietra focaia sarà educativo, la docce fredde temprano il fisico, e pittoresche processioni con le reliquie del santo - uno qualsiasi – scongiureranno la catastrofe energetica, occupazionale, ambientale che non già la guerra bensì il fato iniquo o chi per lui ci manda in espiazione dei peccata mundi.
E stiamo sereni: avremo pur sempre la Psicopolizia a vigilare la notte e il dì che a nessuno salti l’uzzolo di negare il dogma, inciso in caratteri eleganti sulla facciata del Miniver, Ministero della Verità:
LA GUERRA È PACE
(Qualcuno di tanto in tanto mormorerà Aridàtece Savonarola, ma nel frastuono nessuno potrà sentirlo).
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“… e visto che non ci può essere nessuna vittoria decisiva, non importa che la guerra proceda bene o male. Tutto quello che serve è che ci sia lo stato di guerra. La scissione dell’intelligenza […] che si ottiene molto più facilmente in uno stato di guerra, adesso è quasi universale, e più si sale di rango più diventa marcata”.
(G.Orwell, "1984")
Sara Di Giuseppe - 6 settembre 2022
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