26/10/22

SHAKESPEARE A COLORI

 Romeo and Juliet

Coreografia  Jhon Cranko

 

Musica Sergej Prokofiev 

State Opera Orchestra

 

Teatro Nazionale

Praga

 

18 Ottobre 2022 h19

 

Perché mai vi fu storia più dolorosa

Di questa di Giulietta e del suo Romeo.

(W. Shakespeare, Romeo e Giulietta – V, 3)

 

 

Domina ogni scena di questa coreografia, il colore, prorompe nei costumi e negli arredi, esalta la gioia vitalissima che ne permea la prima parte e precede la tragedia. È una tavolozza rutilante e festosa che disegna gli spazi, enfatizza i moti corali della danza, si fonde col dinamismo orchestrale della partitura di Prokofiev, e musica e danza insieme compongono il poderoso affresco sonoro e visivo che avvolge e trascina.
Ne sembra bandita ogni idea di morte, eppure essa incombe sulla bella Verona, alita nell’aria avvelenata dalle faide cittadine, aleggia irreparabile e struggente quanto più irriducibile è la vita che ferve in ogni cosa e accende i sensi.
E sono i giovani, proprio loro e non i tristi vendicativi adulti, a incontrare la morte uno dopo l’altro: Mercuzio e poi Tebaldo, e Paride, e poi Romeo, infine Giulietta; a restare sono i “vecchi”, chiusi nel proprio odio rancoroso, nelle faide che trasformano la città in una tomba.
(“Ehi, voi uomini, voi bestie, […] / le vostre mani / sanguinose gettino a terra queste armi / temprate per il male…” rampogna inutilmente i Montecchi e i Capuleti, l’irato Principe di Verona).
 
C’è tutto questo nella luminosa coreografia di John Cranko, caleidoscopio di dodici scene racchiuse in tre atti, sempre magnificamente nuova dopo la prima del 1958 con Carla Fracci al Teatro Verde, Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. L’accesa coralità dell’allestimento di Cranko si alterna ai monologhi intimisti,  trascolora nei dialoghi di danza, definisce un vocabolario coreografico del quale i danzatori sono anche attoriali interpreti a tutto tondo. 
 
È con l’avanzare del tragico che, così come il verso shakespeariano cessa di essere giocoso e barocco per farsi realistico e scabro, la danza trasforma anch’essa il suo linguaggio: la coreografia si spoglia di ogni solarità quando l’odio tra le parti chiude ogni altro orizzonte; la natura allora sparisce e il gioco, le maschere, i fiori, la festa lasciano il posto a nudi interni e a fredde geometrie architettoniche, fino al gelo e alla penombra di una cripta.
 
Aderisce con fedeltà all’impianto shakespeariano, questa coreografia che contrappone la morte irragionevole, ingiusta, struggente, alla vita di una comunità rappresentata, dagli strati sociali più alti ai più umili, nella gioiosa sensualità dei suoi riti, nella carnalità delle feste, in una Verona fervente di vita prima che faide e odi di parte la precipitino nel dolore e nel sangue.
 
Di quella prorompente forza vitale l’amore è la luce più vivida ma ne è anche il grande escluso, i due giovani amanti non possono che afferrarne qualche bagliore prima di affacciarsi sulla soglia della tenebra, dove il paradiso è perduto per sempre, e dall’aiuola triste che li stringe lo sguardo si volge “ad un tempo che devono solo temere”.
 
Ed è dunque così vicina a questo nostro tempo, la tragedia immortale che parla, “con un vocabolario classico ma con una sintassi  contemporanea”, di amore e di giovinezza spezzati dall’odio e dalle guerre, dalla sete di potere, dall’insormontabile forza  di abitudini sclerotizzate. Il nero fato di questo giorno / Peserà su altri giorni. Questo è l’inizio / Di un male che altri debbono finire: sono le parole presaghe di Romeo dopo l’uccisione di Mercuzio.
 
Ma danza e musica insieme, e il grandioso affresco narrativo che ne risulta hanno qui, più che in qualunque altro classico, un quasi catartico afflato. E se non c’è consolazione per i troppi Capuleti e Montecchi di oggi e di ieri, se allora come oggi tutti siamo stati puniti come sentenzia il Principe nell’ultimo atto, a noi forse, grazie all’arte e alla grandezza universale di un classico senza tempo, è dato scorgere nella Bellezza il lampo che spezza la solitudine del presente e ricostituisce in parte il tessuto lacerato della vita.

 
Sara Di Giuseppe - 26 ottobre 2022
 


 

24/10/22

Un uomo con la pistola a RIPA

 “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è morto” [Clint Eastwood – “PER UN PUGNO DI DOLLARI”]

 

    È un vigile urbano spaesato, nel senso che non è del paese. Lo mandano in servizio qui la domenica. Il suo Comando sarebbe a San Ginesio (MC), 91 km da qua, che farebbe parte di un CONSORZIO di Comuni scambisti (nel senso che si scambiano i vigili urbani). Tra questi anche Ripatransone.

(cfr. “I pistoleri https://faxivostri.wordpress.com/2022/10/02/i-pistoleri/)

Solo che questo buon uomo, a Ripa porta la pistola. Evidentemente perché è abituato a portarla, nel  suo Comune il Consiglio Comunale ha di sicuro deliberato la dotazione della pistola ai vigili. E probabilmente usa così anche in qualche altro Comune del suddetto Consorzio, quindi lui la sua pistola non la molla. Mai.

Già domenica scorsa 16 ottobre, incontrandolo in paese, gli avevo detto che però a Ripatransone questa norma non esiste: il nostro Consiglio Comunale non ha mai deliberato la dotazione della pistola ai vigili. Quindi i vigili esterni che occasionalmente sono comandati in servizio a Ripa dal Consorzio, non possono, anzi non devono girare armati di pistola né di qualsiasi arma da fuoco. Elementare Watson, no? 

Il buon uomo, un po’ sorpreso, aveva ascoltato e forse capito (anche che non ce l’avevo con lui). Ne avrebbe parlato al suo Comandante.

Non so se l’ha fatto. Perchè stamattina domenica 23 ottobre stessa ora stessa scena (vagamente western): per Corso Emanuele di Ripatransone il nostro buon uomo, sì lui, gira armato di pistola. Sicchè, sempre con buona creanza - seppur con un pelino di impeto - gli  ripeto il ritornello: A RIPA LA PISTOLA NO! Informandolo che scriverò al suo Comandante denunciando la grave infrazione. Buongiorno. 

Però non finisce qui, perché poco dopo intercetto in piazza, guarda caso, proprio i Carabinieri di Ripa: automuniti, che colloquiano col vigile pistolero dal finestrino. Che combinazione, ma la faccio breve: come regolamentare cittadino dico le mie rimostranze al maresciallo a 2 strisce, che mi ascolta… con quella faccia un po’ così quell’espressione un po’ così… e per risposta mi catechizza su regolamenti, leggi, disposizioni prefettizie, regole consortili, ecc. ecc. Tradotto: attento, puoi avere torto, informati meglio (io, mica lui!), forse non sai, forse pensi male… 

E chiude: Ma poi lui, se qui non può portare la pistola, dove la mette?” Ahi, ho ricacciato indietro la risposta che subito m’è salita alla bocca. Meglio così: anche se le possenti campane del Duomo, intervenute d’improvviso con la consueta ferocia dei loro 150 Decibel (oltre la soglia del dolore), avrebbero comunque negato al mio francesismo di giungere alle orecchie del maresciallo, del vigile pistolero e del testimone.
 

PGC - 23 ottobre 2022

23/10/22

RINGIOVANITA!

 

Sissignori, ringiovanita di vent’anni in un sol giorno, è così che mi sento.
 
Macchè lifting, macchè intrugli cosmetici. Solo una banalissima macchina del tempo innescata dal nuovo governo e zac, indietro di vent’anni, a quando sulla scena politica imperversavano i Tajani, i Berlusconi, le di lui amazzoni Bernini, Mariaelisabettacasellativiendalmare, Santaddechè, e i La Rissa (non è un refuso), gli Urso, i Crosetto, i Fitto, le Roccella, i Mantovano e via ministeriando.
 
Che sensazione, signori miei, mai avrei sperato tanto.
 
Che altro se non del genio c’è, poi, nell’aver inaugurato nuovi ministeri - quello “del Sud e del Mare è già un capolavoro, lo dici e senti corroborante odor di salmastro e di barconi che affondano  - e nell’aver cambiato di certi altri il nome –  quello dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare già lo vedi far strage di Mc Donald’s e Kebab - e nomi e funzioni evocano un sano, maschio, vigoroso ritorno ad un passato mascelluto.
 
Pensiamo, fra gli altri, al Ministero della Famiglia e della Natalità, o a quello dell’Istruzione e del Merito che ricorda tanto un certo Giovanni Gentile.
Finalmente - era ora - le donne torneranno a far figli dopo essersi a lungo montate la testa, e un ministero apposito le “aiuterà concretamente a non abortire”, a stare in casa ad accudir la prole mentre il maschio caccerà carni e pelli e legna per il duro inverno senza gas.
Per far fuori divorzio e legge 194 si stanno attrezzando, intanto si lavora sodo e in fretta su teoria gender, unioni gay, unioni civili, eutanasia ecc.
 
Potevamo mai sperare, signori miei, in una così rassicurante impronta di clericalismo sanfedista che al confronto la vecchia cara DC ci appare un covo di rivoluzionari e mangiapreti, il cardinal  Lefebvre un mite servitore della tradizione e Ratzinger col suo camauro d’ermellino bianco un progressista nato?
Se ne farà una ragione Francesco col suo misericordioso umanesimo, se ci riesce.
 
E finalmente, vivaddio, la scuola premierà il merito separando il grano dal loglio: ne stiano lontani quelli che non possono o non vogliono studiare, astenersi perditempo, i campi hanno bisogno di braccia, l’istruzione mica è per tutti.
 
Non sfuggirà il vantaggio, inoltre, di avere figure solidamente competenti nei rispettivi ministeri, per esempio alla Difesa un gigantesco maschio alfa, paccutissimo esponente della lobby delle armi; al Turismo la tenutaria di locali balneari d’alto bordo, alla Giustizia un ex magistrato fancazzista.


Da un lato, dormiremo sonni tranquilli sapendo di poter continuare a vender armi a mezzo mondo come già facciamo, incrementando anzi la nobile missione perché ci sia guerra tutto l’anno e nessun dorma, e innalzando saggiamente le spese di bilancio destinate al settore; dall'altro nessun Bolkestein al mondo potrà più attentare ai filantropici interessi e ai privilegi dell’imprenditoria turistica; dall’altro ancora la Giustizia italiota, forte di tal ministro - che mai, vanta lui stesso, da magistrato s’è trattenuto in ufficio oltre le h14 - e confortata dall’illuminata riforma Cartabia, trionferà splendente  “come fiamma di piropo al sole”.

Neppure un maschio avrebbe potuto tanto. C’è riuscita lei, Lamelona-giorgia-donna-mamma-cristiana, che ora incassa l’ammirazione sperticata dei pennivendoli che fino a ieri la dipingevano come il baubau o l’uomo (ops) nero: e dunque adesso s’innalzi il peana, lei sì che è una tipa tosta, una che mette tutti in riga, una che qui comando io e questa è casa mia.
 
Magari nella foga dell’orgasmo collettivo sfugge ai tapini che delle donne, dei loro diritti e della loro sorte non si parla mai nella casa politica della melona; che nel suo forzuto governo con le palle i ministri donna sono appena 6 su 24 (e che donne, ahinoi…); e che comunque tutta questa gente ci ricaccia indietro d'una ventina d’anni a esser buoni.

Ma è certo una fortuna e una goduria per noi diversamente giovani, tornare a un paio di decenni  fa senza bisogno di chirurgia estetica.


Sara Di Giuseppe - 23 ottobre 2022

 

15/10/22

MEMORIA


[…]

 Il vento continui a scrosciare,

Da palme ed abeti lo strepito

Per sempre desoli, silente.

Il grido dei morti è più forte. 


(G.Ungaretti, Terra, 1942-1946)

 

L’abbiamo corta noi italiani, la memoria, e coloro che sono la nostra memoria vivente man mano scompaiono. Altri per fortuna sono ancora nostri compagni di viaggio: lo è Liliana Segre, prezioso immeritato dono che la nostra democrazia morente ci fa perché ci insegni ancora qualcosa. 

La sua testimonianza di deportata ancora bambina ad Auschwitz, con la sua mano in quella del padre che non rivedrà mai più, è nel magnifico docufilm “MEMORIA” (1997, regista Ruggero Gabbai) dal minuto 29.59, e andrebbe inserita nel piano studi curricolare dalle elementari all’università:

Se non fosse così corta la nostra memoria, se non fossimo un popolo fondamentalmente di destra, intimamente fascista, non avremmo - attraverso il voto e la complicità di un meccanismo elettorale truffaldino - messo la nostra vacillante democrazia nelle mani di una grezza neo-post-quellochevipare-fascista presidente del consiglio prima di diventarlo; e la seconda carica dello stato in quelle di un (ex?)picchiatore missino oscuro come i voti optional che ha preso; e la terza in quelle di un oltranzista esponente del peggior cattolicesimo oscurantista e retrivo ma ancora non scomunicato da Francesco. Né avremmo la maggiora parte delle amministrazioni regionali e locali nelle mani di destre reazionarie e culturalmente arretrate. 

Dunque alla senatrice Segre è toccato proclamare l’elezione del sinistro La Russa, in un’aula tutt’altro che sorda e muta anzi plaudente inciuciante e festante, in quel tempio della democrazia, come lei stessa ha definito, con voce giovane, l’aula del Senato; e ci ha resi partecipi della sua emozione d’essere lì, in un ottobre che le ricorda quello in cui da legge dello Stato le fu impedito di continuare a frequentare la scuola perché ebrea. Tempio della democrazia oggi abitato da clowneschi figuri plasticamente rappresentati dal discorso d’insediamento del neo eletto presidente: nauseante poltiglia di ignoranza storica, superficialità, grottesco buonismo, vergognosa mistificazione.

Agli antipodi c’è Liliana Segre, c’è il suo discorso da gigante contro quello di un nano, in quella che resterà una giornata nerissima: per quelli che si riconoscono in lei, e per lei che non avrebbe dovuto parteciparvi, con un simile esito prestabilito, tra mercati delle vacche e intrallazzi da retrobottega. I temi fondanti del suo discorso – gli stessi con cui da decenni educa (ma invano) con tenacia e passione platee di ogni età – non sarebbero andati perduti se affidati a modalità, sede, circostanza diverse. Lo sono stati invece oggi, nell’aula popolata di fantocci arroganti e ignoranti, incapaci di ascoltare e capire.

Le parole di  La Russa, appena cinque minuti dopo, ne sono state la plateale, sconfortante conferma.

Ma c’è chi preferisce considerare soddisfatto gli ipocriti applausi, il mazzo di fiori esagerato e i bugiardi sorrisi a 32 denti di ceramica, fingendo di non accorgersi che Liliana Segre cercava di sparire prima possibile. 

 
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“…Occorre dunque essere diffidenti con chi cerca di convincerci con strumenti diversi dalla ragione, ossia con i capi carismatici: dobbiamo essere cauti nel delegare ad altri il nostro giudizio e la nostra volontà. […]
Un nuovo fascismo, col suo strascico di intolleranza, di sopraffazione e servitù, può nascere fuori dal nostro paese ed esservi importato, magari in punta di piedi e facendosi chiamare con altri nomi; oppure può scatenarsi dall’interno con violenza tale da sbaragliare tutti i ripari. Allora i consigli di saggezza non  servono più e bisogna trovare la forza di resistere; anche in questo, la memoria di quanto è avvento nel cuore dell’Europa può essere di sostegno e di ammonimento.”

 

       (Primo Levi – Appendice a Se questo è un uomo – Novembre 1976) 


 

Sara Di Giuseppe - 15 Ottobre 2022

 

10/10/22

Marino e la sua "Bianchina familiare"

 

Quell’estate degli anni ’60, nella nostra comitiva c’era Marino con la sua Bianchina familiare bianca. Che fortuna. C’entravamo comodi - oddio comodi.. - anche in 6. Con quello rannicchiato tra il vetro dello sportello di coda e il fondo del bagagliaio, che prendeva la forma “a sogliola” come il piccolo motore FIAT 2 cilindri 500cc - detto appunto “a sogliola” perché posizionato sotto al pianale e raffreddato ad aria - che chissà dove la prendeva, l’aria per respirare.

Dopo la spiaggia del mattino (i bagni a ripetizione, i tuffi, il moscone, la pallavolo in acqua e il calcio a riva, i tamburelli, la “pista” sulla sabbia…), al pomeriggio s’andava per paesi qua intorno: le sagre, le culturali cacce-al-tesoro a Ripa e Montalto, i matinée al Kursaal… In 6 sulla Bianchina, gli altri su Vespe e Lambrette rimediate oppure con l’autostop. Nella “nostra” Bianchina di Marino, quando coi vetri tutti aperti ci s’arrampicava per colline, si stavache è un incanto. Atmosfere da “Topolino amaranto” di Paolo Conte prima di Paolo Conte. Senza saperlo. Anche se non era l’estate del ’46, un litro di benzina non valeva un chilo d’insalata e non c’era da aprire la capote “per guardare il cielo azzurro e alto che sembra di smalto e corre con noi”. E più non se ne vedevano, di “Aprilie”.

Marino che non poteva mancare mai, era il re di tutti, un punto di riferimento. Non solo perché guidava la sua Bianchina con rara perizia, ma perché era Marino. Non solo perché era il più bravo a pallone (un campione, specie in porta) e in ogni altro sport (mentre noi eravamo delle mezze schiappe), ma perché era Marino. Non solo perché con la sua morbida autorevolezza ci metteva tutti d’accordo, ma perché era Marino.

Fu un’estate unica e breve. Poi per tanto tempo ci perdemmo di vista, dimenticandoci. Solo negli ultimi anni, per caso, ripresi ad incontrare Marino sul lungomare di Grottammare, o vicino al Tigre. Sempre in tuta, elastico come in allenamento. Sereno e pensoso. Lo stesso sguardo, la stessa voce senza spigoli, lo stesso affetto - ti ricordi quando… e quando…   Ah, Marino era sempre Marino.

 PGC - 9 ottobre 2022

"MANIFESTI" di Stefano Rovai

  

Potente, il termine che più si addice alla mostra di Stefano Rovai in corso all'Auditorium Sant'Agostino a Civitanova Marche. Potente nell'espressione di concetti, nell’efficacia della comunicazione, potente nel rispetto e nel grande senso civico del suo impegno, potente nell'equilibrio di oltre 140 opere esposte della sua vita professionale. 

Vera e propria esplosione, come dice Andrea Rauch, esplosione di comunicazione e di bellezza. Ho solo da aggiungere... una bella persona il Rovai. 

Enrico Lattanzi
direttore MAGMA 
 
In questo primo gruppo di foto: il primo impatto. Venite a vedere. Free pass, catalogo in mostra, sabato e domenica 16:30 - 20:00. Gli altri giorni su prenotazione comitive e scuole. 
 




 

05/10/22

LA LISTA DELLA SPESA

 ovvero

Ripassare la Costituzione!

 

     “Ascoli ora ha bisogno di voi”: è l’incipit della smaniosa lettera aperta di sindaco Fioravanti ai 7 parlamentari piceni neo-eletti. Non una preghiera ma un’autentica LISTA DELLA SPESA: quello che il Piceno vuole, quello che assolutamente ci serve, quello che loro devono prioritariamente ottenere dal Governo. Sennò che parlamentari siete? Attenti eh, non ci fate pentire di avervi mandati a Roma.

LISTA DELLA SPESA che comprende: “l’arretramento dell’autostrada A14 e/o la terza corsia; la Ferrovia dei 2 Mari (creatura mitologica di cui si favoleggia ab antico); l’ammodernamento della Via Salaria (ma non era meglio quella dei Romani?); la ricostruzione post-sisma per rivitalizzare i borrrghi (e farcirli di turisti) la velocizzazione degli iter del PNRR per il rilancio del territorio piceno” (qualunque cosa voglia dire). Cosucce. Dette con parole paffute.

      Quindi, parlamentari piceni di mare, di terra, dell’aria, lavorate insieme, fate sentire la vostra voce. Mettete da parte le bandiere politiche e le casacche (sic) di partito, lavorate in maniera forte e coesa. Combattete per vincere. Soprattutto “intercettate” i finanziamenti e portateli qua, nel sud delle Marche. Siate furbi. Non fatevi fregare dai colleghi.

Senonchè a Fioravanti gioverebbe un ripassino della nostra Costituzione. La quale, nella sua Parte II – Ordinamento della Repubblica, all’art.67 recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”.
La Nazione, capito Fioravanti? Non le Marche del Sud, la mezza provincia, il paesello, la casa e l’orticello: no, l’Italia tutta e tutti i suoi legittimi e democratici interessi generali.
 Si tratta, pensa un po’, Fioravanti, del sacrosanto principio di rappresentanza nazionale, “espressione della volontà di tutto il popolo”. 
Significa che “il parlamentare non può perseguire interessi di parte”  - di Regioni o di privati - né quelli delle comunità territoriali che li hanno eletti…” (F.Del Giudice - P.Emanuele). 
Si tratta, pensa un po’ Fioravanti, della libertà di pensiero e di azione di ogni parlamentare, il quale “deve sentirsi libero (anche) rispetto a coloro che lo hanno eletto”.
Capito, Fioravanti? Capito anche voi, 7 Samurai all’amatriciana?
Ma la lettera del sindaco ascolano con la Lista della Spesa e l’enfasi con cui chi è eletto a livello nazionale proclama solitamente - non da ora e non solo qui - “difenderò gli interessi del mio territorio”, rivelano un deficit di conoscenza inammissibile in rappresentanti  istituzionali, e il conseguente sostanziale fraintendimento del ruolo e della funzione che chi viene politicamente eletto è chiamato a svolgere.
     O forse c’è anche, al fondo di costoro, il sottile timore che abbia avuto ragione Giorgio Manganelli nello scrivere su Marka: “Ascoli Piceno non esiste”

 

PGC - 4 ottobre 2022

03/10/22

Con gli Sgarbi, Ascoli si apre al resto della Penisola

Prima con Vittorio, adesso con Elisabetta che ne ha preso il testimone, Ascoli si propone come vero centro culturale della provincia. Di Vittorio Sgarbi si è appena chiusa “la ricerca della bellezza” a Palazzo dei Capitani, dopo quasi 4 mesi di apertura (palazzo magnificamente rivoluzionato al suo interno, nei colori e nelle luci, per ospitare la Collezione Cavallini Sgarbi). Ieri, 2 ottobre, sempre in Ascoli, è terminato il primo festival del fumetto “Linus”, curato e diretto dall’editrice e regista Elisabetta Sgarbi. La quattro giorni ha portato in Ascoli famosissimi maestri dell’arte del fumetto assieme a registi, cantanti, scrittori, critici e amanti del settore come: Michele Bernardi, Simone Cristicchi, Marcello Garofalo, Nicola Lagioia, Milo Manara, Lorenzo Mattotti, Toni Servillo, Davide Toffolo, Sandro Veronesi e una decina di altri autori. 

Vi ho partecipato, grazie a mia figlia, soltanto in un’occasione (me ne pento ma spesso è così), ed è stato sabato sera primo ottobre: Sandro Veronesi, Premio Strega 2006 e 2020, ha conversato con Milo Manara, o per meglio dire, lo ha stimolato nel raccontarsi sin da giovane e via via fino all’ultimo lavoro in preparazione “Il nome della rosa”, adattamento a fumetti dell’omonimo romanzo di Umberto Eco. 
 
Devo dire la verità, mi aspettavo un protagonista con tante arie e tanti "io qua, io là". Niente di tutto questo. Milo Manara, classe 1945, al di là del suo successo assolutamente meritato (nel genere dell’erotismo è di un’eleganza ineguagliabile), si è dimostrato umile, addirittura definendosi, nei confronti dei colleghi di chiarissima bravura e fama: “un nano sulle spalle di giganti”. Hugo Pratt, Moebius -alias Jean Giraud-, Guido Crepax e lo stesso e caro conterraneo Andrea Pazienza sono stati da lui presentati con assoluta benevolenza e onestà, ammettendo che in questa arte (perché è così che la si può definire) si ha sempre da imparare e la fantasia, insieme alla mano, la fa da padrona. Insomma, una serata da ascoltare e riascoltare perché chi ama l’arte non può che amare anche queste ‘strisce a fumetti’, fatte in grandissima parte di un’artigianalità cinquecentesca.
 
Ascoli, con questi eventi, si sta guadagnando un pubblico di qualità, proveniente anche da fuori regione. Pensate che oggi cercando sul ‘motore’ internet la frase “Fumetto Ascoli”, vengono fuori pagine e pagine di recensioni che vanno da La Repubblica a Rai Cultura, merito di un battage giornalistico coi fiocchi data la rilevante capicità imprenditoriale di Elisabetta e la sua casa editrice "La nave di Teseo". Nei pochi locali recentemente frequentati in città c’erano sui tavoli copie in abbondanza di brochure del Festival… Organizzazione dispendiosa? Forse, ma se non si investe anche un po’ sul cartaceo, molto cose, anche quelle di qualità, rischiano l’oblio nel rollaggio dei display. 
 
Certamente Elisabetta Sgarbi (organizzatrice assieme all’associazione ascolana Cultural-mente insieme), ha fatto in modo che l’evento “Linus” si sprovincializzasse e prendesse un respiro nazionale già dalla prima edizione. Bravissima anche a contenere i tempi; Elisabetta ha concesso per i ‘saluti istituzionali’ solo un minuto o poco più. Almeno nella serata di sabato è stato così, ed è andato in scena soltanto uno dei previsti… (Il programma ne eiportava quattro. Evidentemente ‘la mano’ non era la stessa).
 
In quanto a noi Sbennesi, e nostri amministratori, abbiamo tutto da imparare e da ri-lanciare, a patto che qualcuno (come scrive il mio amico Giorgio V.) abbia mai lanciato una prima volta. Forse, e neanche poco, dipende da noi cittadini, divisi e spezzettati come siamo, incapaci di interessarci unicamente al bene della città, alla sua crescita culturale abituati a creare sempre più ‘fazioni’ in lotte a volte fratricida… (lotte che nascondono mancanza di idee, di progetti, di volontà, di visione o quasi... Per scarsità di impegno?).
 
 
 

02/10/22

I PISTOLERI

“C’è l’ok per le pistole ai vigili urbani”, annuncia raggiante il quotidiano, e l’ok è quello del Consiglio Comunale di Ascoli Piceno. C’è stata un po’ d’opposizione, in Consiglio, ma i nostri eroi ce l’hanno fatta.
 
La strada adesso è in discesa.
 
Recepito il protocollo ministerial-prefettizio per la “collaborazione delle forze di polizia con le polizie locali” (altri comuni come Pesaro e Grottammare hanno già aderito, San Benedetto ci sta pensando, a Monteprandone le pistole ce l’hanno già da un annetto, clap clap;); chiarito, da parte della capa dei Vigili Urbani di Ascoli, che non si vuole fare gli sceriffi - apperò, guarda che andavamo a immaginare, noi! - e che per legge “di sera se non si è armati non si possono neanche fare multe per divieti di sosta” (lo sapevamo, no? dopo le 22 tutti a parcheggiare in divieto), non resta che armare i vigili.
 
Seguirà adeguato percorso formativo per i fortunati: test psico-fisici con controlli periodici, aggiornamenti balistici, esercitazioni al poligono e via sparacchiando.

“Si tratta di andare incontro ad esigenze che ci sono ormai anche a livello nazionale”, chiosa la capa dei Vigili.

E come no. Vanno in tale direzione anche le illuminate iniziative per la sicurezza adottate dai nostri comuni: come i “Controlli di vicinato”, gruppi di spioni di quartiere (senz’armi per ora) tipo quelli che nella DDR si chiamavano Kundschafter des Friedens, “cittadini della pace” (…dove mai si va ficcare la pace, diremmo, parafrasando Manzoni).
 
Così i nostri quartieri pullulano ora di gialli cartelli col rassicurante logo: l’autorevole uomo di ronda in divisa e cappellone che protegge una famiglia-tipo di quelle estintesi già dal pleistocene superiore.
A Grottammare ce n’è perfino nei pressi del cimitero: dove non ci sarà gran vita, è vero, ma torna comunque utile un’occhiuta sorveglianza tra loculo e loculo.

 

 I pacifici ascolani, intanto, sui cui sonni veglieranno i vigili pistoleri, avranno a loro disposizione corsi gratuiti di addestramento teorico-pratico per imparare a schivare i proiettili vaganti quando ci si trovi sulla traiettoria. Ci si avvarrà all’uopo della consulenza di cittadini comuni chiamati dall’Ucraina.
 
Quei vigili, inoltre, che nella formazione pistolera si saranno collocati per basso punteggio nella categoria somari, disporranno di ambulanze di pronto intervento qualora si sparino sui piedi o sui cabasisi o, come a volte (s)fortunatamente capita tra i cacciatori, si accoppino tra loro.
 
È chiaro che molto c’è ancora da fare, in queste nostre cittadine, per garantire l’ordine e il rispetto delle leggi e della morale comune come succedeva una volta, quando i treni arrivavano in orario e tutto funzionava, signora mia. Per i distributori automatici di olio di ricino si stanno attrezzando.
 
Ma ce la faremo, gli esempi edificanti non mancano in giro per il mondo e le nostre amministrazioni potranno inviare osservatori a studiare esempi virtuosi.
 
Potrebbero per esempio, pescando così a caso, istituire una Polizia Morale e chiamare qui dall’Iran validi addestratori.
I sindaci potranno dire, come Fioravanti ad Ascoli, che si è trattato di una 
deliberazione meramente tecnica”.

 
 

Sara Di Giuseppe - 2 Ottobre 2022