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Il vento continui a scrosciare,
Da palme ed abeti lo strepito
Per sempre desoli, silente.
Il grido dei morti è più forte.
(G.Ungaretti, Terra, 1942-1946)
L’abbiamo corta noi italiani, la memoria, e coloro che sono la nostra memoria vivente man mano scompaiono. Altri per fortuna sono ancora nostri compagni di viaggio: lo è Liliana Segre, prezioso immeritato dono che la nostra democrazia morente ci fa perché ci insegni ancora qualcosa.
La sua testimonianza di deportata ancora bambina ad Auschwitz, con la sua mano in quella del padre che non rivedrà mai più, è nel magnifico docufilm “MEMORIA” (1997, regista Ruggero Gabbai) dal minuto 29.59, e andrebbe inserita nel piano studi curricolare dalle elementari all’università:
Se non fosse così corta la nostra memoria, se non fossimo un popolo fondamentalmente di destra, intimamente fascista, non avremmo - attraverso il voto e la complicità di un meccanismo elettorale truffaldino - messo la nostra vacillante democrazia nelle mani di una grezza neo-post-quellochevipare-fascista presidente del consiglio prima di diventarlo; e la seconda carica dello stato in quelle di un (ex?)picchiatore missino oscuro come i voti optional che ha preso; e la terza in quelle di un oltranzista esponente del peggior cattolicesimo oscurantista e retrivo ma ancora non scomunicato da Francesco. Né avremmo la maggiora parte delle amministrazioni regionali e locali nelle mani di destre reazionarie e culturalmente arretrate.
Dunque alla senatrice Segre è toccato proclamare l’elezione del sinistro La Russa, in un’aula tutt’altro che sorda e muta anzi plaudente inciuciante e festante, in quel tempio della democrazia, come lei stessa ha definito, con voce giovane, l’aula del Senato; e ci ha resi partecipi della sua emozione d’essere lì, in un ottobre che le ricorda quello in cui da legge dello Stato le fu impedito di continuare a frequentare la scuola perché ebrea. Tempio della democrazia oggi abitato da clowneschi figuri plasticamente rappresentati dal discorso d’insediamento del neo eletto presidente: nauseante poltiglia di ignoranza storica, superficialità, grottesco buonismo, vergognosa mistificazione.
Agli antipodi c’è Liliana Segre, c’è il suo discorso da gigante contro quello di un nano, in quella che resterà una giornata nerissima: per quelli che si riconoscono in lei, e per lei che non avrebbe dovuto parteciparvi, con un simile esito prestabilito, tra mercati delle vacche e intrallazzi da retrobottega. I temi fondanti del suo discorso – gli stessi con cui da decenni educa (ma invano) con tenacia e passione platee di ogni età – non sarebbero andati perduti se affidati a modalità, sede, circostanza diverse. Lo sono stati invece oggi, nell’aula popolata di fantocci arroganti e ignoranti, incapaci di ascoltare e capire.
Le parole di La Russa, appena cinque minuti dopo, ne sono state la plateale, sconfortante conferma.
Ma c’è chi preferisce considerare soddisfatto gli ipocriti applausi, il mazzo di fiori esagerato e i bugiardi sorrisi a 32 denti di ceramica, fingendo di non accorgersi che Liliana Segre cercava di sparire prima possibile.
(Primo Levi – Appendice a Se questo è un uomo – Novembre 1976)
Sara Di Giuseppe - 15 Ottobre 2022
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