27/02/23

Le mongolfiere non sono palloni

 “A piedi nudi e con Testa ai sogni”

Pietro Verna, voce e chitarra    Francesco Galizia, fisarmonica e sax soprano

PUB MEDOC – San Benedetto Tr.    19.2.’23  h22

IN ART - Rassegna letteraria e musicale  [Ass.culturale “Rinascenza”]    29 gennaio – 14 aprile 2023

 

  Foto Annalisa Frontalini

Quando Pietro Verna canta “Le traiettorie delle mongolfiere” di Gianmaria Testa, mi torna in mente la tenera prefazione che il nostro Paolo De Bernardin scrisse per il CD “Il valzer di un giorno”: Canzoni in un taschino, voli di mongolfiere e transatlantici di carta, lampi negli occhi e corse sui fiumi della vita con aeroplani a vela. 

Era tanti anni fa, quando avevamo il tempo e la passione di ascoltare la radio e Paolo portava Gianmaria nelle nostre case ad una certa ora di sera, spesso puntuale come un treno. Perchè Gianmaria di treni s’intendeva, e di stazioni, e di donne nelle stazioni, che c’è sempre qualcuno che le aspetta. Erano canzoni piccole e dolci, da poter tenere in un taschino “dalla parte del cuore”, per conoscerle lentamente.

      Infatti stasera le ri-conosciamo bene, perché Pietro Verna le sa interpretare nel profondo, senza stravolgerle, col fido Francesco Galizia alla fisarmonica o al sax: e sono esattamente, le loro, quelle atmosfere che Erri De Luca descrive parlando della voce di GianMaria, voce “che s’arrampica a un balcone”. Non so quanti altri potrebbero. E’ che a Pietro Verna viene istintivo restare nelle scie delle mongolfiere di 

Testa - magari a quote diverse - nei propri viaggi musicali dentro i colori silenziosi di altre mongolfiere amiche. Nei cieli di Annecy o delle Langhe, o in Cappadocia, “la sua Turchia”.

“Carne e poesia” – Noi che abbiamo trucchi nascosti… siamo uomini e qualcuno che cade;  “Nereo” (il clochard, un accessorio da marciapiede) - un sogno, un cane, i suoi libri al guinzaglio; “Bologna e il mare” (eh sì, da Bologna… fredda come una luna d’inverno… il mare davvero lo vedi, se sei in mongolfiera)… Sarà che Pietro non fa l’ingegnere o il commercialista, il cantante rap di Sanremo o il politico affarista, è un educatore vero di professione. Il suo ambiente di lavoro è tra “Abili diversi”: tra cuori offesi, tra chi ha sogni larghi e giorni stretti, smarrimenti e controcanti, radioline accese e passaporti per nuovi arcobaleni.

Così si incrociano in continuazione, le mongolfiere di Gianmaria e Pietro. Mongolfiere, non pallidi palloni-spia cinesi da buttar giù a cannonate, nè palloni umani sempre gonfiati e a portata di mano, pericolosi e resistenti.

     E ancora tracce di Testa nel finale, un po’ alla Capossela: soluzioni sartoriali di musica raffinata, la costruzione degli accompagnamenti ritmati alla chitarra, i contrappunti ben pensati alla fisarmonica o al sax contralto evocano nei ricordi le calme ansie di Gianmaria, lasciano tra noi scie di pensieri e di commozione color verde menta. Tra mongolfiere oggi solo immaginarie, chi le trova più. Mica sono palloni.
PGC - 26 febbraio 2023

16/02/23

LA CASA ROSA [Villa Cicchi]

         Moderna ma bella, molto tempo fa c’era quasi solo lei nella piana campagna in via d’estinzione. Noi la guardavamo ammirati, quando per andare al mare dalla zona dei carrozzieri di via Sabotino - per accorciare - le passavamo vicino camminando scalzi con passi da gatto, per i viottoli che si formavano da soli tra i campi coltivati. Alberi di pere, albicocche, pesche, pure di fichi e di ciliegie, filari d’uva bianca e nera, piante architettoniche di pomodori, verdure basse. Ci s’infangava con allegria nella ragnatela di canalette di terra per l’irrigazione, dove l’acqua di pozzo apparentemente senza pendenza scorreva pigra o quasi in salita, ma il contadino che con due colpetti di zappa le costruiva era meglio di un ingegnere.

        Tra le poche case di quelle parti, brutte in confronto, la casa rosa spiccava. Stile vagamente modernista-funzionalista secondo il principio dell’ortogonalità, un po’ Villa Müller di Praga (1930) di Adolf Loos. Ma a noi ignorantoni sembrava più un castello futurista: la sua forma geometrica disegnata a riga e squadra (e niente tetto di coppi), le finestre alte, ariose e con le serrandine, i balconi larghi che giravano nello spazio, il giardino schematico e per noi insolito (senza frutti da rubare). Niente ghirigori estetici, proprio un villino morigerato. Ma ci intrigava soprattutto quel suo color rosa coraggioso e gentile, quando le nostre case-dalle-finestre-strette, mal intonacate a toppe, erano normalmente color grigio-cemento [papà diceva: costa tanto pitturarla, fatto il tetto si vedrà…].

Era riuscita a rimaner viva ed integra per più di 60 anni, la “nostra” casa rosa, sempre signorile ed elegante. Mentre intorno, divorando l’intera campagna, l’arrogante miseria progettistica dei palazzinari del tempo produceva il “quartiere non pensante” che ci ritroviamo, fatto di orridi alveari verticali per migliaia di umani senz’ali, con balconcini-ripostiglio bonsai e fiori carcerati morti stecchiti nelle fioriere compresi nel prezzo a metro quadro. Edifici spazzatura, diremmo oggi. Infatti adesso li vanno impacchettando di corsa come per una titanica raccolta dell’umido, ma è manutenzione-riqualificazione alla 110ª potenza, bellezza! 

 La casa rosa aveva resistito senza invecchiare (come Villa Müller di Praga), pur accerchiata come accade in Cina a quelle case dalla fine segnata che restano dritte su un rimasuglio di terreno sfidando i branchi di famelici bulldozer che scavano intorno e aspettano coi motori accesi.

Ma alla fine anche lei ha ceduto. Venduta, spogliata e subito abbattuta con velocità elettrodomestica. Al suo posto presto sorgerà un’altra torre-alveare multipiano come quelle vicine ora impacchettate, ma assurdamente attraente per i cacciatori di status symbol: nervi d’acciaio e tutta bianca (neanche rosa), con garages interrati per SUV incorporati, giardino (simbolico) e spettacolare attico padronale-vista-qualcosa.

Non ha avuto la fortuna della Villa Müller che, passata anch’essa di proprietà, è stata intelligentemente acquistata dal Comune di Praga, restaurata dal Ministero della Cultura (fin negli arredi) e trasformata in frequentatissimo Museo. 

 

       E’ che da queste parti razzolano amministratori pubblici ignoranti e inconsapevoli, pure “sorvegliati” da  Soprintendenze distratte o cieche. Comandano i soldi. C’è infantilismo consumistico. Nessuno che pensi controvento, cioè dalla parte giusta.

 

       Né tra noi tapini scontenti e incazzati si trovano più personaggi popolari ma lungimiranti, disinteressati e di grande spirito civico, come l’amico Batti’ che – con un manipolo di “garibaldini” – nella vicinissima via Formentini riuscì prima a difendere quell’arido “spazio vuoto” e a cacciare le gru che già ne stavano facendo una ghiotta area fabbricabile - guai lasciare uno “spazio vuoto” libero - poi a preservarlo e a creare le condizioni per farlo felicemente vivere dall’intero quartiere fino ad oggi. Era “Art for Rebellion”? Sì.

 

       Purtroppo invece, noi non usciremo più dalla “squallida morsa di cemento e infelicità” (T.Montanari).

 

PGC - 15 febbraio 2023

09/02/23

PALLONI (S)GONFIATI


… E allo stesso tempo la consapevolezza di essere in guerra, e quindi in pericolo, vede nella concentrazione di tutto il potere nelle mani di una ristretta casta una normale e inevitabile condizione per la sopravvivenza.
   (G.Orwell, “1984)

 
Ci sono realtà che si fanno naturalmente metafora: come, incerta fra surreale e grottesca, la vicenda del pallone-spia cinese (anzi due, anzi quattro…) in volo sulle nostre teste anzi su quelle americane, vaporizzato poi come in un’orwelliana distopia. Metafora di un’umanità che ha perduto cielo e terra: palcoscenici, quello e questa, per giochi di potere che al tragico uniscono il grottesco; scene su cui si recita a soggetto lo scadente spettacolo dei potenti che litigano e frignano - non ci gioco più, me possino ceca’ se vengo ancora a trovarti - come ragazzotti scemi in sala giochi.
 
E se dai palloni in cielo, gonfiati-gonfiabili-sgonfiati-abbattuti-polverizzati, riportiamo lo sguardo a terra - ben fornita anch’essa di palloni - ecco ogni sorta di “sistemi d’arma” a spasso per l’Europa che neanche ne I cannoni di Navarone
Carri armati Abrams, carri armati Leopard, carri Challenger, missili Patriot, missili Samp-T e via sferragliando; a cui presto si aggiungeranno gli aerei Caccia F-35 e F-16, se il presidente ucraino la spunta perché lui è come Virna Lisi, con quella bocca può dire ciò che vuole.
 
Ma è tutto a fin di bene, eh! sono solo armi da difesa, e noi a pensar male, guarda tu! Lo ha detto l’androide Crosetto, e lui sì che se ne intende, esemplare gigante in estinzione di maschio alfa in sembianze quasi antropomorfe, vallo a contraddire.
 
Ci si sente un po’ idioti, ammettiamolo, nello star a guardare pochi scellerati giocare a spartirsi il mondo, le tecnologie, le materie prime; nel lasciarli fare senza muovere muscolo salvo brontolare perché il muro contro il quale stiamo per schiantarci si avvicina a ogni passo; nell’assistere alle guerre fredde di ritorno e a quelle calde mai finite perché giocare ai soldatini è sempre un paccutissimo affare; nell’ingoiare senza un fiato le esibizioni muscolari dei governi ad ogni latitudine; nel trovare “normale”, invece che inquietante, l’elefantiaco muscolar militaresco e, va da sè, ridicolo apparato di rappresentanza con cui la Germania, per fare solo un esempio, accoglie ogni capo di stato in visita (compresa la Melona-Giorgia-Mamma-Cristiana-Italiana); nel tributare standing ovation sul suolo patrio a un presidente-firma-facile che parla di pace nel mondo - come una qualsiasi missitalia dal secolo scorso in qua - mentre la Repubblica che presiede ci trascina a rotta di collo nella guerra in spregio della propria stessa Costituzione e approva stanziamenti dissennati per armi e ancora armi e ancora armi, e più ne approvano più i palloni si gonfiano, vedi Crosetto. 

Si gonfiano le industrie armaiole ammericane ed europee ed italiote, le borse schizzano alte come fuochi d’artificio, le linee di produzione faticano a soddisfare le richieste. Rheinmetall, General Dynamics, Lockheed Martin, Raytheon, Bae Systems brindano e festeggiano come matti. Evviva evviva.
 
     [Ma c’è poi quest’altra realtà, metafora tragica del basso stato e frale che ci è dato in sorte. Ed è questa terra che sussulta e si sposta e si sfascia e si sbriciola e annienta povere vite - perché, verghianamente, all’aria ci vanno i cenci - dove più il potere e il malaffare dei potenti hanno steso dita adunche e speculato, condonato tombalmente, abusato: come nel paese dell'Erdogan oggi impudente “mediatore di pace”, da sempre pallone anche lui].
 
È quando l’ingranaggio salta, che mostra la grottesca inconsistenza di palloni-spia, di sistemi d’arma, di parate militari, di trionfi militaristi, di deliri d’onnipotenza. Si fa beffe in un amen, nostra madre Terra, della farneticante superbia di palloni gonfiati, del pettoruto orgoglio di nazioni che un’onda / di mar commosso, un fiato /D’aura maligna, un sotterraneo crollo / Distrugge sì, che avanza / A gran pena di lor la rimembranza. *
 
 
*G.Leopardi, “La Ginestra o Il fiore del deserto”, 1836.

 

Sara Di Giuseppe - 9 febbraio 2023

04/02/23

BAR SAMBA... Olé

San Benedetto Tr.

Sotto la piazza dell'antico torrione del paese alto, per "proteggere" l'ingresso di un casuale ritrovamento, hanno rizzato questo orrido gazebo (da bar). Autorizzato dalla Soprintendenza, oh yes...
Non è tutto un fotomontaggio. 
 
Cordiali saluti.
Pier Giorgio Camaioni