22/04/23

I SOMMERSI E GLI SCHIFANI

Le parole non sono mai neutre. Alcune non puoi proprio usarle, in certi contesti. Se stai parlando di migranti in cerca di salvezza e di asilo, centinaia dei quali muoiono affogati nel mare italiano prima di toccare terra - a volte perché chi doveva non li ha soccorsi - non puoi dire “Siamo sommersi dai migranti ”: perché i sommersi sono loro. È facile facile, è terza elementare.

E non puoi dirlo se presiedi una Regione (ahilei). Ma Schifani l’ha detto, da presidente di Sicilia: pur sapendo che è falso, perché non temiamo rivali nell’inventarci il nemico che non c’è e i barbari alle porte dell’impero per nascondere inettitudine politica, disumanità, malcostume, profonda e razzista anima fascista. 

 

E magari fosse solo, lo Schifani, in questo tiro d’imbecillismo al piattello sui temi cruciali, con preferenza spiccata per quello dei migranti.

 

Non c’è che l’imbarazzo della scelta: dalle Regioni al Governo è un corri corri a chi ne dice di peggio, senza conoscere l’italiano, senza che alle parole corrisponda un cervello, godendo del plauso dei pennivendoli di regime e variegata servitù. E tradendo, nelle scombicchierate frasi in libertà, una disumanante e retriva visione del reale, della storia (che non conoscono), dell’uomo.

 

Venghino signori, prendano posto, nel circo degli orrori ne abbiamo di ogni: c’è il ministro Piantedosi che sul tema ha già dato e dal quale attendiamo nuovi spettacoli in cartellone; c’è il Lollò cognato d’Italia e ministro che se ne esce con la sostituzione etnica, poi si scopre che ha fatto male i compiti e s’è scordato o non ha mai saputo il significato storico dell’espressione (e gli va spiegato che, appunto, le parole non sono neutre); poi c’è la cognata Fratella-di-taglia e capa del Governo (quanto a nepotismo, i papi rinascimentali erano mammole al confronto) che (s)parla di lavoro da dare alle donne made in Italy invece che ai migranti (tanto quando parli di schiavi, donne o migranti, mica stai a bada’ ar capello, specie se la platea è quella che è); poi c’è l’ex parlamentare e giornalista ora direttore del Secolo d’Italia - giornale progressista quant’altri mai - Italo Bocchino (un nome un destino) che nel salotto della Gruber non si contiene e se ne esce con un (testuale) “la Grecia li respinge a calci nel sedere” (i migranti che tentano lo sbarco, e chi sennò...): quando si dice l’ésprit de finesse. Che, finesse a parte, illumina a giorno il retropensiero.

 

Il florilegio riempirebbe volumi. Ma anche così ce n’è abbastanza perché il dubbio prorompa fragoroso: questa gente si ascolta, quando parla?

Lecito dubitarne. Ciò che non è in dubbio ahinoi è che la maggioranza di questi figuri è parte di un governo, occupa o ha occupato scranni parlamentari, ha prestato giuramento sulla Costituzione.

 

Gli volteggia intorno, naturalmente, il parterre de roi di quelli che - pennivendoli e politici, pensabene e bella gente, servitorelli e fascistume assortito - si stracciano le vesti non per lo stupro della Costituzione perpetrato quotidianamente da questo manipolo di impresentabili, ma per chi con la satira sbertuccia e stana il marciume. Ed è un coro gallinaceo di: questa satira fa schifo, questa satira è offensiva, questa satira non fa ridere...  

E mentre gridano rabbiosi e si fanno scoppiare le carotidi, confondono la satira con la barzelletta, e a qualcuno gliela devi perfino spiegare…

 

Allora stendi un velo pietoso, non ti resta che sperare in un meteorite in caduta libera, e intanto vagheggi che Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, insomma Sandro Botticelli, resusciti in gran forma e prenda a randellate la ministra Santaddechè e con lei i geni del marketing tafazziano modellato sui peggio stereotipi italici, che gli hanno stuprato la Venere e l’hanno vestita da marinaretta.  Almeno questo.


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Che aspettiamo, raccolti nella piazza?

               Oggi arrivano i barbari.

Perché mai tanta inerzia nel Senato?

E perché i senatori siedono e non fan leggi?

              Oggi arrivano i barbari. 

              Che leggi devono fare i senatori?

              Quando verranno le faranno i barbari.

 

                                       […]

              

              S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.

              Taluni sono giunti dai confini,

              han detto che di barbari non ce ne sono più.

E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?

Era una soluzione, quella gente.

 

( Konstantinos Kavavis, Aspettando i barbari )

 

 

Sara Di Giuseppe - 22 aprile 2023

 


DAI MITI AI METEORITI

“Miti e Meteoriti”

CONEGLIANO & MORIAGO DELLA BATTAGLIA (TV) – Aprile 2023 (ultimi avvistamenti)

 Stavano arrivando, i meteoriti, e non me ne curavo. Me lo dicevano da 40 anni, quei miei 3 aerodinamici uccelli grigi dagli occhi di fuoco e quegli altri in formazione ad ala. Preludi di meteoriti cadenti che hanno impiegato 40 anni ad arrivare [poco, per loro è un attimo]. E con quale precisione: gli uccellacci e uccellini su nuvolosi cieli neri ce l’ho a 4 metri da dove scrivo, i meteoriti invece atterrano intorno a Treviso, 400 km da qua [un’inezia per chi viaggia tanto].

Meteoriti “senzienti” (qualunque cosa voglia dire), dai frammenti “austeri” come nere mini-piramidi d’Egitto piegate dal vento ma coi motori accesi, pronti a decollare di nuovo nello spazio. Meteoriti di innocua terracotta dipinta ma più allarmanti di quelli veri (proprio come mi segnalavano gli uccelli): perché non essendo - banalmente - “sassi di altri mondi”, perforano l’immaginario, seducono il  pensiero, irradiano infinita energia artistica invece della normale eppur stupefacente energia cosmica.

P.D.A.  Sospese onde del mito in un gioco di quiete (particolare), 2021

G,.R.  Frammento austero di meteorite - 2015

Succede come con i miti della Grecia classica: se non spenti, almeno esausti - ai nostri occhi - nelle loro marmoree immobilità. Solo se li investisse un energico vento rigeneratore tornerebbero, “rivitalizzati”, ad attrarci. 

E finalmente eccolo, il vento salvifico dei meteoriti amici, soffiare sulle sorprendenti evocative sculture, dall' avanguardistica leggerezza come creature di Chagall, fatte di legni e vetroresine, di terra sabbia e specchi. Fluttuano allora come angeli nello spazio, le creazioni di De Angelis, anziché nell’aria morta dei musei, né hanno bisogno di didascalie pompose e piedistalli invadenti. Potrebbero apparire libere e sensuali ovunque: nel traffico e nel deserto, nei boschi e sui Monti di Mola, a Dakar come a Chicago. Opere avvolgenti e vive da teatro, opere silenziose con musiche incorporate, opere sentimentali e commoventi.

Miti e Meteoriti volano bene insieme. 

Mi piace dirlo senza la criptica irrilevante riverenza dei critici d’arte.

 

PGC - 21 aprile 2023

 


 

 


 

13/04/23

SER BERLUSCHELLO

 

Ser Cepparello […] essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto.

(G.Boccaccio, Decameron I, Incipit alla Novella prima )

 

Se in Italia avessimo un giornalismo meno servo, ci verrebbe risparmiata l’empia farsa della beatificazione in vita – ora che è toccato dalla malattia – del personaggio che più ha intossicato, del Belpaese, non la politica soltanto ma il costume, l’etica pubblica, la cultura, la morale, deturpandone per sempre il volto.

 

Invece accade che la grave malattia del pregiudicato Berlusconi sdogani magicamente ogni malefatta del sullodato, ed ecco che impotenti subiamo il diluvio di buonismo solidale da giornali e tivù, le dirette-fiume, il cronista avvitato alla postazione ospedaliera (nutrito per flebo negli intervalli), i dettagli del decorso comprensivi di numero di globuli bianchi e rossi, aspetto delle urine e livelli di transaminasi dei quali - tralasciando la grossolana violazione della privacy - non ci cale una benemerita cippa.

 

Ma il peggio è che la narrazione giornalistica e telesalottiera è un’agiografia in vita di Berlusconi, dalla quale le parole mafia, frode fiscale, processi, condanne, corruzione giudiziaria, mazzette e vagonate di quisquilie equipollenti sono letteralmente evaporate.

 

  È allora che il pensiero corre alla novella del grande Boccaccio - di ambientazione mercantile, quando si dice il caso - nella quale un sinistro e poco raccomandabile Ser Cepparello da Prato (detto Ciappelletto "per ciò che piccolo di persona era e molto assettatuzzo) - manigoldo come pochi e astuto altrettanto - gravemente malato e alla fine dei suoi giorni, inscena una clamorosa ultima beffa.  

E, furbescamente richiesta una confessione in extremis e manipolando, in quella, la narrazione dei suoi “peccati”, farà sì da apparire al vecchio e candido  frate (“un frate antico di santa e di buona vita) come un’anima pura e angelica quanto quella di un bimbo; l’ingenuità del frate e la credulità popolare lo proclameranno santo e come tale sarà venerato post mortem - “San Ciappelletto”, appunto - con tanto di processioni e cerimonie religiose e narrazione di miracoli.

 

Tale è l’analogia fra le due storie – la medievale e l’attuale – da insinuare finanche il dubbio che una bufala sia anche stavolta la malattia del nostro - prossimo d’altronde a risorgere, Gianni Letta dixit - e l’inverecondo circo un’astuta operazione mediatica per ridare lustro a un vecchio malvissuto che dell’Italia è stato la rovina, né più né meno. Certo è fantasia.

 

Realismo è invece prevedere che la santificazione, già operante in vita, sarà ufficiale quando il ser Berluschello de noantri trapasserà come è destino di tutti noi: la stampa, la folla, i fan e i detrattori, gli opinionisti da divano, i salotti tivù, il sistema dell’informazione tutto e il circo mediatico lo faranno padre della patria e santo subito.

 

Siamo un fenomeno antropologico da studiare attentamente, noi italici, capaci di santificare in vita e in morte personaggi che qualsiasi paese normale ospiterebbe lungamente nelle patrie galere (Ser Berluschello non è l’unico né il primo). Se siamo i discendenti della virtus romana, e di Enea e di Romolo, di Cincinnato, di Cornelia e dei Gracchi, qualcosa di grave ci è successo, se abbiamo derazzato così tanto.

 

Più facile, perfino elementare, andare alle ragioni del servilismo dominante nel mondo giornalistico e dell’informazione in genere (con eccezioni che si contano sulle dita di mezza mano). 

Del quale così pensava e scriveva il nostro Andrea Camilleri

 

Pirchì uno come Ragonese (…) e come lui tanti autri, cchiù importanti, che scrivivano supra ai giornali nazionali e comparivano nelle televisioni cchiù seguite, facivano il loro misteri in questo modo?[…]

Non c’era che ‘na risposta: pirchì avivano l’anima del servo. Erano gli entusiasti volontari del servilismo, cadivano ‘n ginocchio davanti al Potiri, quali che era. Non ci potivano fari nenti: erano nasciuti accussì.

 

(A.Camilleri, “Una voce di notte”).

 

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"Così dunque visse e morì ser Cepparello da Prato e santo divenne come avete udito. Il quale negar non voglio esser possibile lui esser beato nella presenza di Dio; (…) ma per ciò che questo n’è occulto (…) dico costui più tosto dovere essere nelle mani del diavolo in perdizione che in Paradiso."

 

(G.Boccaccio, Decameron, Giornata I, Novella I)

 

Sara Di Giuseppe - 12 aprile 2023


11/04/23

I GIORNI DELL’IRLANDA

“Nomadic Piano Journey”
Antony O’Breskey (pianoforte e voce) & Aurelio Boscaini (voce e chitarra gitana) in concerto
San Benedetto Tr. – PUB MEDOC 2 Aprile 2023  h22 [RINASCENZA/In Art – V Rassegna Letteraria e Musicale]

Foto di Annalisa Frontalini

         Dopo 6 anni torna da noi proprio nei giorni degli storici “accordi del Venerdì Santo” di Belfast tra i governi di Regno Unito e Irlanda, nel 25° anniversario. Anche se artisticamente Antóni O’Breskey non ha mai sottilizzato, penso, fra “le due Irlande”, per lui sempre romanticamente unite e in pace attraverso la musica.

E nonostante il tempo trascorso, Antóni è ogni volta come nuovo nel suo aspetto dal gusto vintage. 

Sarà che stasera è ancor più a suo agio, in questo Medoc così simile a un pub irlandese, coi suoi colori scuri, i legni consumati che creano nordiche atmosfere, il vissuto pianoforte d’ordinanza che odora di birra e tabacco, il pubblico ai tavoli seduto alla come viene, altro che incapsulati in rosse poltroncine coi numeri. [Dice, che quando tiene concerti nei teatri è in tensione fin quando non riesce a “trasformarli” in taverne o in pub…  - ma anche viceversa, ammette -].

         Uno sguardo d’intesa alla tastiera e ai martelletti a vista - come per dire patti chiari eh! - e via subito con quella sua musica perfettamente imperfetta (che 6 anni fa ci disorientò, all’inizio) da paesaggi sonori imponenti e tranquilli e orizzonti non banali. Musica ripetitiva-ossessiva senza accelerazioni ma dalla trama intrigante, che lega boschi labirintici e brughiere, prati smeraldo e rocce vulcaniche foderate di muschi, fin giù alle baie del mare scurissimo. Sulla tastiera: di qua, note in sequenza penetranti quasi psichiatriche, di là il tumulto atmosferico dei bassi. Senza pause nè silenzi. 

Suoni forti e combattenti, che mai producono rumore o chiasso bensì riempiono, abbracciano, consolano. Non musica accademica, o ancor peggio commerciale, da vetrina, ma musica viva-che-racconta-la-vita senza bisogno di parole e di canto (solo qualche energico grido ben assestato giusto per rimetterti in strada col pensiero). Musica in centrifuga: balcanica, spagnoleggiante, country, epic quasi gospel, tarantolata, blues… con tracce di Bach, di pop e di jazz, alla O’Breskey si capisce. Il tutto in salsa celtica. Naturale che parti per Irlanda senza andarci (o “nel Galles, che è quasi uguale”). Non capisco di cinema, ma sarebbe (o è) anche stupefacente musica da film (da oscurare gli attori…). Anche nei CD - dove Antóni si sceglie musicisti bravi e matti come lui - è più il suo riconoscibilissimo pianoforte a produrre e guidare emozioni. 

         Sorseggiando birra rossa (d’Irlanda, suppongo) Antóni - quando gli va - ogni tanto si alza dal piano e intrattiene a schema libero, racconta, dialoga, sorprende, inventa... Parole a regime torrentizio, slegate, sospese, sincopate, libere in arpeggio, intraducibili. Parla come suona, suona come parla, jazz “allargato” alla parola. È in uno di questi estemporanei intermezzi che, col suo comunicare un po’ enigmatico, preannuncia quella che per me, per noi, forse anche per lui, è la sua più incredibile sbalorditiva composizione: Buenos Aires. [se non l’avesse suonata non l’avrei lasciato andar via]. 

Melodia improbabile, dolcissima - un 3/4 sospeso - facile solo all’apparenza, che di colpo s’inerpica temeraria - una volta soltanto - su quella nota solitaria e impossibile che non t’aspetti, ad innalzar lo spirito, il pensiero, il sogno, il mistero. Ma la storia-quasi-leggenda che evoca e a cui si ispira - una figlia persa e ritrovata dopo 17 anni a Buenos Aires, esattamente come il nonno, che ritrovò anche lui la figlia dopo 17 anni, e pure a Buenos Aires! - non poteva che sprigionare questa strana lirica (senza testo) spaesante e mistica, con radiazioni di poesia, di stupore, di letizia.

 

         Ancora musica corroborante da guardare attraverso una Guinness Black Lager, poi la svolta inattesa: O’Breskey scruta e chiama dal pubblico un nome, vieni qui, prendi la chitarra, accompagnami come sai, lavora anche tu… e quello che s’alza quasi recalcitrante ma ubbidiente, che ci mette un po’ a sedersi (più dietro che di lato) armeggiando col capotasto che non trova, che comincia timido in sordina, la sua acusticanon sembra una Martin… Ma lui sì! [Sapremo dopo che è Aurelio Boscaini virtuoso chitarrista di flamenco, grande amico di O’Breskey, chissà come trascinato da lui quaggiù, non poteva dirgli di no]

         Un personaggione: perché suona accarezzando le corde, per estrarne l’energica sonorità andalusa, perché canta con voce grandiosa, che per istinto ti giri credendo arrivi da chissà dove tanto è speciale, possente, calda, vibrante. Note, ritmo, voce, canto, (ballo), la “filosofia” della musica flamenca eccitante e sensuale che dovremmo ascoltare di più e goderla, e approfondirla, e studiarla.

 E’ tardi, siamo tutti stanchi, si chiude. Quando Aurelio Boscaini tornerà al Medoc, spero presto, racconterò “I GIORNI DEL FLAMENCO”. Senza aspettare anniversari irlandesi.

 

PGC - 9 aprile 2023


 

 

04/04/23

LA STUPIDITÀ DEI VANDALI


 

RIPATRANSONE. Si diceva che la stupidità produce esiti grotteschi quando abita le stanze dei decisori. [https://faxivostri.wordpress.com/2023/03/08/stupidario-comunale/].

Non è sempre vero: più spesso produce vandalici scempi ambientali, come in questi giorni.

Tanto quelli - alberi, paesaggio, ambiente tutto - non possono ribellarsi né difendersi. Dovrebbero farlo i cittadini, ma loro dormono o pregano, ci sono le processioni, in fondo è Pasqua signora mia. 

Accade così che su un tratto della SP Cuprense proprio all’ingresso di Ripatransone per un tratto di circa 300-400 mt. debbano essere impiantati i pali della nuova illuminazione. 

Detto fatto. Il tratto in questione viene brutalmente vandalizzato dai lavori: una trentina almeno gli alberi abbattuti, sanissimi, e di questi almeno 20 grandi di alto fusto (malamente segati, in diversi casi quasi “strappati” più che segati, v.foto); l’intera scarpata - rigogliosa di vegetazione e lasciata colpevolmente incolta - totalmente devastata, sventrata.

  

Lavori eseguiti con sconcertante imperizia; organizzati nel peggiore dei modi (traffico bloccato, detriti, polverone, pericoli per transito pedonale e veicolare); progettati da improvvisatori ignari o incuranti della possibilità di collocare i pali sul lato opposto della strada, dove quasi nessun albero avrebbe dovuto essere sacrificato per i “pozzetti”; ignari o incuranti del rischio concreto che quel tratto, così sventrato, comporterà per la stabilità idrogeologica della ripida scarpata. In compenso resteranno a vista gli orridi muraglioni di cemento a prova di atomica delle “moderne” case soprastanti. 

 

Diranno – e pare già di sentirli, i geni comunali – che gli alberi erano malati, ed è falso; che erano secchi, ed è falso (c’era più verde lì che in tutta Ripa): i tronchi tagliati sono lì a dimostrare che di alberi perfettamente sani si trattava; diranno che quella scarpata andava bonificata: certo, e sventrandola si fa prima, vuoi mettere.

Ovvio che burocraticamene tutto sarà in regola, come ti sbagli: firme e controfirme, timbri, autorizzazioni, pareri di Soprintendenze e Carabinieri Forestali e papaveri assortiti… Mica fanno le cose abusivamente, questi…

E i lavori sono appena all’inizio, figuriamoci quando tutto sarà finito…

Quanto a cittadini, stampa, Forestale, pensabene e bellagente, nel pacificante grembo delle ritualità pasquali nessuno che muova muscolo né sopracciglio di fronte al paese devastato; nessuno che gridi contro la nefasta imperizia e colpevole negligenza di chi quel territorio dovrebbe proteggere come un bene prezioso irrinunciabile; nessuno che alzi un dito contro i responsabili degli scempi: ci sono le elezioni, bellezza, e ognuno ha qualcosa da guadagnare dal silenzio. Dell’ambiente chissenefrega. Anzi senza un sussulto li voteranno ancora, e plaudono fin d’ora alle “belle liste” (sic) dei candidati. Vecchi e nuovi. 

 

Che tristezza.

 

Sara Di Giuseppe - 3 aprile 2023