Ser Cepparello […] essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto.
(G.Boccaccio, Decameron I, Incipit alla Novella prima )
Se in Italia avessimo un giornalismo meno servo, ci verrebbe risparmiata l’empia farsa della beatificazione in vita – ora che è toccato dalla malattia – del personaggio che più ha intossicato, del Belpaese, non la politica soltanto ma il costume, l’etica pubblica, la cultura, la morale, deturpandone per sempre il volto.
Invece accade che la grave malattia del pregiudicato Berlusconi sdogani magicamente ogni malefatta del sullodato, ed ecco che impotenti subiamo il diluvio di buonismo solidale da giornali e tivù, le dirette-fiume, il cronista avvitato alla postazione ospedaliera (nutrito per flebo negli intervalli), i dettagli del decorso comprensivi di numero di globuli bianchi e rossi, aspetto delle urine e livelli di transaminasi dei quali - tralasciando la grossolana violazione della privacy - non ci cale una benemerita cippa.
Ma il peggio è che la narrazione giornalistica e telesalottiera è un’agiografia in vita di Berlusconi, dalla quale le parole mafia, frode fiscale, processi, condanne, corruzione giudiziaria, mazzette e vagonate di quisquilie equipollenti sono letteralmente evaporate.
È allora che il pensiero corre alla novella del grande Boccaccio - di ambientazione mercantile, quando si dice il caso - nella quale un sinistro e poco raccomandabile Ser Cepparello da Prato (detto Ciappelletto "per ciò che piccolo di persona era e molto assettatuzzo" ) - manigoldo come pochi e astuto altrettanto - gravemente malato e alla fine dei suoi giorni, inscena una clamorosa ultima beffa.
E, furbescamente richiesta una confessione in extremis e manipolando, in quella, la narrazione dei suoi “peccati”, farà sì da apparire al vecchio e candido frate (“un frate antico di santa e di buona vita”) come un’anima pura e angelica quanto quella di un bimbo; l’ingenuità del frate e la credulità popolare lo proclameranno santo e come tale sarà venerato post mortem - “San Ciappelletto”, appunto - con tanto di processioni e cerimonie religiose e narrazione di miracoli.
Tale è l’analogia fra le due storie – la medievale e l’attuale – da insinuare finanche il dubbio che una bufala sia anche stavolta la malattia del nostro - prossimo d’altronde a risorgere, Gianni Letta dixit - e l’inverecondo circo un’astuta operazione mediatica per ridare lustro a un vecchio malvissuto che dell’Italia è stato la rovina, né più né meno. Certo è fantasia.
Realismo è invece prevedere che la santificazione, già operante in vita, sarà ufficiale quando il ser Berluschello de noantri trapasserà come è destino di tutti noi: la stampa, la folla, i fan e i detrattori, gli opinionisti da divano, i salotti tivù, il sistema dell’informazione tutto e il circo mediatico lo faranno padre della patria e santo subito.
Siamo un fenomeno antropologico da studiare attentamente, noi italici, capaci di santificare in vita e in morte personaggi che qualsiasi paese normale ospiterebbe lungamente nelle patrie galere (Ser Berluschello non è l’unico né il primo). Se siamo i discendenti della virtus romana, e di Enea e di Romolo, di Cincinnato, di Cornelia e dei Gracchi, qualcosa di grave ci è successo, se abbiamo derazzato così tanto.
Più facile, perfino elementare, andare alle ragioni del servilismo dominante nel mondo giornalistico e dell’informazione in genere (con eccezioni che si contano sulle dita di mezza mano).
Del quale così pensava e scriveva il nostro Andrea Camilleri:
Pirchì uno come Ragonese (…) e come lui tanti autri, cchiù importanti, che scrivivano supra ai giornali nazionali e comparivano nelle televisioni cchiù seguite, facivano il loro misteri in questo modo?[…]
Non c’era che ‘na risposta: pirchì avivano l’anima del servo. Erano gli entusiasti volontari del servilismo, cadivano ‘n ginocchio davanti al Potiri, quali che era. Non ci potivano fari nenti: erano nasciuti accussì.
(A.Camilleri, “Una voce di notte”).
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"Così dunque visse e morì ser Cepparello da Prato e santo divenne come avete udito. Il quale negar non voglio esser possibile lui esser beato nella presenza di Dio; (…) ma per ciò che questo n’è occulto (…) dico costui più tosto dovere essere nelle mani del diavolo in perdizione che in Paradiso."
(G.Boccaccio, Decameron, Giornata I, Novella I)
Sara Di Giuseppe - 12 aprile 2023
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