“… e visto che non ci può essere nessuna vittoria decisiva, non importa che la guerra proceda bene o male. Tutto quello che serve è che ci sia lo stato di guerra”
(G. Orwell, “1984”)
Deve piacere tanto quel "Con il naso all'insù" da temino delle elementari, per esserselo copiato golosamente fra loro, giornaloni e media, nei giorni gloriosi della Festa della Repubblica e dell'italica parata con annessi sfrecciamenti-di-Frecce. Tricolori, s’intende, niente Sioux e Toro Seduto. Eccoli dunque, i nostri governanti alla parata col naso all’insù per lunghi minuti, perché l’orgoglio patrio val bene una cervicale.
Nasi all’insù anche le folle convenute la domenica successiva per gli eroi sfreccianti sui nostri cieli medio-adriatici; e anche i papà e le mamme accorsi coi pargoli alle educative simulazioni di volo su simil-cabine di F35 in piazza - San Benedetto del Tronto - per la gioia italianissima di grandi e piccini. [Per la stampa locale le folle plaudenti stavano anzi "col naso all’insù fin dal sabato" (sic). Sai che torcicollo.]
Dunque ci voleva proprio la sempiterna parata del 2 giugno lungo i romanissimi Fori Imperiali: a stento si frena la commozione, volano in alto i cuori allo sfilar dei servizi civili ma ancor più in alto volano la Grande Fratella con ‘Gnazio-Benito e l’armigero Crosetto al comparir delle cazzutissime Forze Armate - al passo, di corsa, a cavallo, su cingoli e su ruote - tirate a lucido, petto in fuori e cipiglio da Incredibile Hulk.
E pazienza se qualche reparto non controlla l’impulso primordiale e gli scappa il saluto romano col grido “Decima!”, che un brivido te lo dà e non è d’entusiasmo.
Ci voleva, per convincere anche i duri di comprendonio che siamo una Repubblica democratica fondata sulle armi. Non che avessimo dubbi. Quelli eventuali e residui ce li tolgono le acrobazie semantiche di governanti, grande stampa e fanfara mediatica embedded per ammantare di amor di patria (altrui) la propaganda bellicista; i linguistici salti carpiati per far diventare il nostro servaggio all’Alleanza Atlantica un oraziano dulce et decorum est pro patria mori, e l’aumento scellerato degli investimenti in armi “interventi per il sociale” (disse Crosetto restando serio): tutto ciò mentre si smantella il welfare e il Parlamento Europeo vota l’ASAP che incrementerà l'industria bellica (munizioni e missili) coi fondi del PNRR e del Fondo sociale europeo e del Fondo coesione. Lo si fa per la pace, va da sé, non per la guerra.
Perché la guerra è pace, dicono i Grandi Fratelli. È ciò che accade quando la Neolingua sovverte la storia e mistifica il presente, e ha il sopravvento su verità, pudore, trasparenza, democrazia.
Esemplare in tal senso il discorso del 2 giugno di Mattarella, il presidente firma-tutto/firma-facile, il più inopportunamente osannato tra i presidenti degli ultimi decenni.
Manuale di contorsionismo argomentativo in salsa retorica, il discorso ricorda i 75 anni della Carta Costituzionale e dimentica che in spregio a quella - che ripudia la guerra - siamo al settimo decreto governativo - che scavalca il Parlamento - per l’invio di ulteriori e più aggressive armi all’Ucraina; e straparla, il discorso, di “sentieri di dialogo per raggiungere la pace” [coerentemente rappresentati dall’imponente invio di armi e dal lievitare degli stanziamenti per la (cosiddetta) Difesa].
Intanto le imprese belliche nostre e del nostro tempo dimostrano che “la causa della pace e della libertà dei popoli” - che per il discorso presidenziale dobbiamo avere a cuore - è solo quella dei popoli che noi e i partners europei e atlantici troviamo vantaggioso aiutare; che i “sentieri di dialogo” sono al momento autostrade percorse da carri armati; che i fiumi di sangue, le immani distruzioni, l’inutile strage da ognuna delle parti sono il sipario strappato sul nostro essere ancora, dopo milioni di anni, “quello della pietra e della fionda”, ma con più tecnologia e avidità e astuzia.
E la festa della nostra bella e giovanissima 75enne Repubblica, da gioiosa che dovrebbe essere, ci appare oggi - più apertamente e con più desolazione di ieri - una cupa e forzuta parata di armi da guerra e di mezzi di offesa.
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