Non abbiamo bisogno di economisti che ci macellano, abbiamo bisogno degli aedi che ci ricompongono.
(M.Macario, Festival Ferré 2012)
Una ventata d’aria fresca, questo Revival Ferré con i Têtes de bois in trio: concerto senza politici, autorità, sindaci, amministratori, stampa embedded, posti riservati e bella gente. Che d’altra parte quasi mai ci furono, ai gloriosi Festival dedicati a Léo: neppure quando, a interpretare e rendere omaggio a quel grande, arrivavano a San Benedetto personaggi come Juliette Gréco, George Moustaki, Jane Birkin, Gino Paoli, Paolo Fresu, Dee Dee Bridgewater, Nanni Svampa, Gianmaria Testa, Francesco Guccini e tanti altri…
(Ci furono tempi di leggenda / ma sono passati)
Rispondevano prontamente all’invito irresistibile di Pino Gennari: Pinox, inossidabile geniale folletto che nelle aule scolastiche per decenni innamorò di Léo legioni di studenti. Instancabile ancor oggi a differenza di noi che vorremmo la sua stessa voglia di correre e ancora sognare.
Un “tête de bois” anche lui, oggi come allora; legno di quelli pregiati, di quelli con cui fanno violini e chitarre e pianoforti e più invecchiano più crescono di valore.
Così i Têtes de bois, provvisoriamente in trio, diventano quattro con lui, cinque con Carmine Torchia e il “suo” Ferré che ti arriva al cuore come una freccia degli Arapaho: e a noi 4 gatti in ascolto pare d’essere sui tetti di Parigi, col cuore ancora giovane come gatti proletari in amore.
Non si può essere seri a diciassette anni - cantava Ferré - e noi, diciassettenni di secoli fa, lo siamo di nuovo oggi, dimentichiamo d’esser seri e ci abbandoniamo alla sera: alla voce di Andrea, alla tromba di Luca, alle tastiere di Angelo, scopriamo un po’ di cielo in mezzo a qualche ramo, ritroviamo il mare a due passi dalle stelle.
E siamo perfino degli Anarchistes anche noi, con la malinconia per compagna di danza: perché stasera la voce di Andrea ricompone per noi il Léo dalla voce scoscesa e dai pensieri urticanti, il Léo della rivolta e dell’amore, il Léo poeta della musica e musicista della parola.
D’altronde non ti capita quella cosa teatrale che è morire un 14 luglio come ha fatto Léo, se non sei un anarchiste nell’anima; se non sei un visionario Don Chisciotte e il tuo cuore “ha un peso rispettabile”; se non hai sventolato canzoni e poesia come bandiere, gridato versi in faccia ai potenti dalla voce vociante e dai rimorsi assenti; se non hai travolto convenzioni e generi, se non hai giocato con Baudelaire e Rimbaud, se non sei stato albatro e battello ebbro; se non hai amato infaticabilmente la vita e l’amore e ricomposto in quest’armonia - dentro di te e per noi - le lacerazioni della condizione umana.
Da quel tempo “saggio e lontano” la musica di Léo è tornata stasera in riva al mare, con la risacca e i gabbiani: extra e giovanissima sempre, come questi suoi impareggiabili interpreti che la reinventano e la riconsegnano nuova, e l’intensità e il brivido sono gli stessi di un tempo. E ci pare che sia qui, Léo, a sussurrarci che Ogni barca ha il suo timone / Che la riconduce al porto / Dal cielo che ne è prigione.
=================
[…]
Prima di cedere le armi
Prima che la morte mi disarmi
Tal giorno tal ora in tale anno
Senza denaro senza carta senza notaio
È ben magro l’inventario
Di quel che ho messo da parte
Ma io lo lascio a te come una canzone tenera
Con la tua fantasia che saprà fare meglio
E la mia voce persa che potrai risentire
Per calare la tela se vorrai farlo,
Se vorrai farlo
[Léo Ferré, Il Testamento, trad. Giuseppe Gennari]
Nessun commento:
Posta un commento