31/10/23
7 PERLE DEL PORTO DI SAN BENEDETTO
30/10/23
Succede a Ripa
[ Rigenerazione di uno spazio triste e mostra Domenico Sfirro/Architetti 1998-2023 ]
Minimalismo ponderato, geometrie sperimentali, modernità militante, evoluzioni sostenibili, spazi in rotazione (non solo dei 33 quadri), cromatismi in ascolto, sterzate culturali, tende di colori, disegni rigorosi, trasfigurazioni europee, panorami di emozioni, impalcature di sogni, sintesi accelerate (o rallentate), soluzioni sartoriali, dialoghi tra storia e design, paesaggi morigerati, atmosfere potenti ma di pace, architetture capaci di critica e pensiero, spazi ingentiliti, atmosfere retrofuturiste, levigatezza di dettagli, giochi di scale, case che respirano con cieli in molte stanze. L’architettura come impegno civico. (c’è pure un po’ di jazz…)
Un’impresa stimabile, in questi tempi bassi di Ripa.
Però quell’antica piazza davanti segata a morte dal ferro inox del 43°parallelo, offesa dal ferro carcerario delle serrande, ammantata dal ferro multicolor delle auto, paralizzata dalla ferrosa rampa marron… Cari Sfirro/Architetti pensateci voi, please.
PGC - 29 ottobre 2023
27/10/23
“Il dondolo di Frank” - zapping consapevole
Rifletto, mugugno, sorrido… quindi sono vivo, e per s-fortuna, a seconda del punto di vista.
22/10/23
Ma come facevano gli antichi senza il sax
Jerome Sabbagh SAX Danny Grisset PIANO Joe Martin DOUBLE BASS Kayvon Gordon DRUMS
COTTON LAB – Ascoli Piceno 13 ottobre 2023 h 21.00
Mi sembra proprio che ci voleva, stasera, la “voce” di questo attrezzo nato in Belgio, per raccontare la N.Y. che poco si conosce: quella normale, non la rutilante, compiaciuta e di moda. La “città che non dorme mai”…ma anche sì. Ci voleva questo tubo grassotto ricurvo a proboscide come i paraurti cromati delle gigantesche auto americane d’epoca, per scoprire la parte segreta della sua anima persa nell’eccitazione del successo. Ci voleva quest’invenzione da una landa di Belgio tutto Plat Pays alla Brel - è piatta pure N.Y. - per costruire questo suono ferroso morbido e roco (“non bello” dice qualcuno) di mare scuro impastato di nebbia che si muove anche di notte; dai vibrati sospettosi e un po’ paurosi, dai soffi strozzati di locomotiva a vapore, dalle caute esitazioni da meditazione, dai tratti gotici poco rampanti, dai silenzi improvvisi talvolta rasserenanti, dai fraseggi angusti ma luccicanti, dagli azzardati precipizi sonori, dalle impennate nevrotiche. Un suono fisico, senza trucchi, accordato d’istinto, vestito di un’estetica metalmeccanica contro-design. E’ il jazz di N.Y. bellezza. Geometrico e ipnotico. Arduo. Intraducibile. Caldo che non te ne accorgi. Che “parla” con il sax, la cui campana ti cerca, ti guarda, e giuro che suonando ti “parla” come l’obiettivo parlante di una macchina fotografica. Allora mi chiedo: quando il sax non c’era, i musicisti alle prese coi soliti strumenti - legni, fiati & company - comandati dal più europeo di loro il pianoforte, sentivano la mancanza del sax (che non era stato ancora inventato)? Sarebbe stata diversa la grande musica lungo quei 3-4 secoli, se tra gli autori e nelle orchestre fosse comparsa la famigliola dei sax a “disturbare”? Comunque, all’arrivo del jazz il sax stava lì, c’era e si fece spazio. Lo accolsero pure benevoli, nessuno gli fece la guerra. Tanto meno N.Y.
A sentirli stasera, è evidente che non solo tutto il quartetto - oltre Jerome Sabbagh - è di casa a N.Y. ma che sanno anche virare in jazz atmosfere diverse e vintage (come nell’ultimo disco). Il pezzo d’apertura (o il secondo?) è un po’ una fiaba, suoni lenti di ruscello, piccoli rumori, accordi ribattuti, brevi strade parallele a due mani sul piano (col rullante inclinato forse dal vento), il sax che racconta… poi un pezzo vulcanico, un’eruzione violenta, l’incandescenza di una strada coi numeri di Manhattan… un delicato blues anni ’50 carico di pensieri come un Teatro Invisibile… un brano felpato fino a quando tocca al contrabbasso a parlare di sé e il sax che parla, parla, parla… un’aria un po’ all’italiana, alla Bruno Martino cos’hai trovato in lui… Labili ricordi delle bianche orchestrine dei caffè eleganti romani di Via del Corso degli anni ’60 (e io dietro in piedi a guardare). Nella seconda parte ci sarà anche un Duke Ellington rivisitato in chiave free jazz. E tracce di classica, di samba, di altri ritmi imprevedibili, in continue tessiture di jazz. Non so voi, il sax di J. Sabbagh a tratti mi evoca perfino qualcosa di Tom Waits, statunitense la cui famiglia d’origine era “quasi” belga…
PGC - 21 ottobre 2023
19/10/23
DIO, SAN PIETRO E NANNINELLA
29° INCONTRO NAZIONALE DEI TEATRI INVISIBILI
Laboratorio Teatrale Re Nudo
“INCANTO DI PAROLE”
Voci recitanti
Piergiorgio Cinì – Pierluigi Tortora
15 Ottobre 2023
Teatro dell’Olmo – San Benedetto del Tronto
“Ma com’è che si dice,
caro quel mio Pierino,
che la Terra è infelice?
(Salvatore Di Giacomo, Lassammo fa’ Dio)
È una festa della parola e della poesia, questa conclusione del 29° Incontro Nazionale dei Teatri Invisibili: appuntamento annuale che non delude mai ed è di per sé un monumento alla resilienza contro indifferenze e sordità assortite.
Due soli gli interpreti, Piergiorgio Cinì e Pierluigi Tortora, e l'intensa fisarmonica di Sergio Capoferri come cornice ora popolare e scanzonata, ora classica e drammatica.
E già loro sono un'intera compagnia teatrale; ma pure il palco che non c’è, nel piccolo affettuoso Teatro dell’Olmo, è strapieno: di personaggi immaginari e poetici; di figure reali che hanno attraversato il tempo e lasciato l’orma per sempre; di poeti e di scrittori che dell’anima umana hanno estratto il comico e il tragico, lo sberleffo e il pianto e il dolore eterno dell’uomo.
Festa itinerante, quella di oggi, nel tempo della storia e nello spazio della poesia; e nella geografia, anche linguistica, d'Italia.
Intanto è pieno di napoletani, stasera. Di quelli veraci di una volta, però, perché a Napoli oggi puoi andare solo attraverso la poesia e lì lo trovi ancora, quel sapore eduardiano e quell’aura di mito antico che malgoverni, malaffare, camorre, arraffo, turismo-tritatutto e tanto altro hanno fagocitato ed esistono ormai solo nella retorica qualunquista e benpensantista di cui siamo maestri.
Ed ecco uscire, dal poemetto-quasi-epico di Salvatore Di Giacomo Lassamme fa’ Dio, un sorprendente San Pietro santo napulitano, proprio lui nientepopodimeno, il capo guardapurtone del Paradiso: suo è il compito ingrato di informare domineddio - sceso sulla Terra per concedersi un po’ di vita dato che è Pasqua e prendersi una limonata in Piazza Dante - che quaggiù non è tutto ‘sto gran paradiso che sembra a Lui (che come si sa vive fuori dal mondo come tutti i governanti).
E conciosiacosaché domineddio prende atto, volgendo lo sguardo alle miserie che Pierino gli mostra, che la situazione di quegli umani è davvero afflittiva, gli viene la genialata di portarseli tutti in Paradiso. Una goduria per tutti i poveretti, salvo per la guastafeste che, va da sé, è una donna e pure pezzente. Perché a questa Nanninella le salta l'uzzolo di volersene tornare sulla Terra per stare col figlioletto e al paradiso preferisce la vita benché misera e l'amore, quello del figlio - E chella, / comme fosse mpazzuta, / cammenava, curreva, / nciampecava e cadeva, / e s’alzava… E fuieva… / Chiammatela! Addò va?!…
E il provvidenzialistico “lassammo fa' Dio” non vale per lei che la vita vuol scegliersela da sé, ed esser lei la Provvidenza di sé stessa. Lo capisce perfino Lui: – Zitto… – dicette ‘o Padre Eterno / Lass’ ‘a fa… lassa ‘a fa..’.
Ed è ancora un molto napoletano Paradiso in versi endecasillabi quello di De Pretore Vincenzo, del grande Eduardo.
Un Paradiso che un mariuolo dedito al furto proprio non vuole accoglierlo - perché è sempre mariuolo e doppo morto resta segnalato – nonostante il povero Vicienzo si sia scrupolosamente raccomandato in vita a San Gennaro che come santo è di quelli che contano assai.
Ma di fronte all’intero Gotha paradisiaco che per protesta, causa danno d’immagine che ne verrebbe per il respingimento, minaccia a catena di andarsene – comincia San Giuseppe che il più vecchio dopo Dio, e poi Maria che è la moglie, e Gesù Cristo che è il figlio, e sant’Anna che è la cognata e giù giù di parentela in parentela (un trionfo di nepotismo, il paradiso) - il Padreterno allarmato (Si o veramente ascite, o ve ne jate, / ‘o Paraviso nun ‘o pozzo fa), dopo opportuno interrogatorio al sunnominato Vicienzo, decide che Chistu napulitano resta ccà.
Ed è così che De Pretore Vincenzo, sparato a morte durante un furtarello, dopo aver sognato il Paradiso mentre sta per spirare, chiude gli occhi per sempre dopo una vita da emarginato e forse in paradiso ci va veramente.
Da Napoli a Roma, ed è una Roma incazzata questa di Trilussa che affida l’invettiva contro la guerra e l’abominio di quella da poco scoppiata – vedesse le altre… - ad una Ninna nanna della guerra (ottobre 1914) affilata come una lama… Ninna nanna, tu nun senti li sospiri e li lamenti de la gente che se scanna per un matto che commanna […] o a vantaggio de la fede per un dio che nun se vede ma che serve da riparo ar Sovrano macellaro…
Ma in questo magico Teatro dell’Olmo succede pure che dopo Napoli e Roma si finisca dritti in Sicilia: Chistu unn’è me figghiu - Questo non è mio figlio - è il grido di Felicia Impastato, mamma di Peppino, ucciso dalla mafia a Cinisi provincia di Palermo.
Sciabolano il buio della sala i versi di Felicia, detti in siciliano e in italiano: perché quarantacinque anni dopo le ossa di Peppino e il grido della madre non hanno cessato di reclamare giustizia e Questa bara piena / di brandelli di carne / non è di Peppino. / Qui dentro ci sono / tutti i figli / non nati / di un'altra Sicilia.
Riprendiamo fiato dopo i brividi, e Il pornosabato del Cinema Splendor (1987) di Stefano Benni non è solo risata liberatoria ma anche imperdibile performance degli interpreti: il testo si anima, prende vita dai leggii, le macchiette evocate sembrano materializzarsi sulla scena, e il partenopeo e il romanesco e il siculo lasciano il posto all’emiliano arguto e dissacrante.
È quanto ci serve per diradare le ombre, la narrazione di come qualmente il paese di Sompazzo venga sconvolto dall’apertura del primo cinema della sua storia, e nella programmazione di suddetto cinema venga inserito anche un film a luci rosse, e questo rivoluzioni codici morali e relazioni famigliari; e di come infine un involontario scambio di bobine faccia sì che al posto del secondo tempo del film a luci rosse, quel fatidico sabato venga proiettato l’arrivo di Coppi al Giro d’Italia… e di come, nelle cronache del giorno dopo, l’accaduto venga così commentato: "Coppi è bestiale. Pensa, nel primo tempo scopa per un'ora di fila, poi salta in bicicletta e vince" .
Non meno pittoresco in chiusura, dallo scoppiettante scritto di Chiara Bellabarba, il battibecco spettegolante (in chiesa! Ora pro nobbi!) di due tostissime comari marchigiane.
Impossibile lasciarli andare, i nostri due pirotecnici interpreti, senza chieder loro ancora una perla: ed è l’ironia disincantata e saggia del De Curtis per tutti Totò, che ci congeda col suo 'A livella e quell'indimenticabile finale: Sti pagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive / nui simmo serie… appartenimmo à morte!
13/10/23
L'ira funesta
Guardando la mia vecchia serigrafia di Ugo Nespolo e leggendo oggi l'articolo di Barbara Spinelli, se la Riserva è quella Striscia chiusa come un campo di concentramento e i Cow-Boys che la circondano con le pistole hanno anche l'arma nucleare (con quello Stato-canaglia vicino che la vuole pure lui), mi pare che oggi servirebbe un pensiero più alto che contabile, più allargato, e dall'IRA FUNESTA sotto controllo.
VIBRAZIONI & VIBRAZIONI
"Beyond Vibrations"
Coreografie:
Krzyzstof Pastor - Hans van Manen – Marco Goecke
Moving Rooms – Frank Bridge Variations – Fly Paper Bird
Musiche:
A.Schnittke - H.Górecki - B.Britten - G.Mahler
2nd première: 6 ottobre 2023 h19
Praga - Teatro Nazionale
Provengono da paesi diversi - Germania, Polonia, Paesi Bassi - e rappresentano tre diverse generazioni, i coreografi Hans van Manen, Krzysztof Pastor, Marco Goecke. Li accomunano le rispettive esperienze in Olanda, che della danza contemporanea è la culla; e le vibrazioni, naturalmente: quelle che la tensione degli strumenti crea nella musica, e quelle generate dal corpo che danza (Il corpo umano è paragonabile ad uno strumento a corda, con l’energia che si diffonde dal suo centro solido al resto di esso).
Nasce da qui il trittico “Beyond Vibration”, superlativo amalgama tra il raffinato, moderno linguaggio di movimento della Scuola Olandese e l’arazzo musicale delle composizioni di Schnittke, Górecki, Britten e Mahler.
L’assenza di un tessuto narrativo è a tutto vantaggio della potente energia evocatrice in ciascuna delle tre creazioni, così come dell’estetica quasi classicheggiante per equilibrio espressivo ma in grado al tempo stesso di trascolorare nel dramma o nella vibrazione sensuale.
Così, nell’impianto delle Moving Rooms di Pastor è il design dell’illuminazione a giocare un ruolo fondamentale: la luce materializza inattese geometrie, e lo spazio quasi onirico ne è ora dilatato ora ristretto fino alla claustrofobia, ora avvertito come intimo e sensuale. La danza lo colma e lo percorre, metafora delle forme entro le quali agisce il nostro quotidiano, in costante connessione con l'intensità perfino tagliente del tessuto musicale (il Concerto Grosso n. 1 di Schnittke e il Concerto per clavicembalo e orchestra d'archi di Górecki).
Si muove su un piano di sensuale vitalismo invece la coreografia di van Manen: le sue “Frank Bridge Variations”, modellate e intimamente connesse alle “Variazioni” di Britten, Op.10, esplorano vibrazioni intrise di energia e seduzione, attrazione e popolaresca vitalità; ne nasce un affresco di sapiente naturalezza, e la nudità della scena restituisce intera alla danza la capacità – la stessa che ha la poesia - di reinventare il reale e le sue dinamiche .
Ed è un volo - nella terza e ultima coreografia - quello evocato da Goecke in Fly, paper byrd: la Sinfonia n.5 di Mahler presta ali al sogno così come fanno versi di Ingeborg Bachmann, sussurrati durante la danza, da quel suo My Bird – Qualunque cosa accada: conosci il tuo momento, uccello mio…-
Quasi mitologica metamorfosi, questa che sul palco rende il moto dei danzatori simile a quello degli uccelli, le vibrazioni umane vicine a quelle animali: e degli umani come degli uccelli è quella vibrazione che dagli archi della sinfonia di Mahler passa ai danzatori e che il moto della danza sembra spingere verso il confine tra realtà e sogno.
Perché "non gli umani soltanto, anche gli animali tremano": e ci sembra improvvisamente di saperlo da sempre, mentre l’uccello del titolo prende vita dal fondo del palco, che “dopo tutto, gli esseri umani non sono altro che energia vibrante”.
Qualunque cosa accada: conosci il tuo momento,
uccello mio, indossa il tuo velo
e vola attraverso la mia nebbia.
[I.Bachmann - My bird]
Nota a margine: energia forse non vibrante ma di certo intelligente è quella che fa iniziare - e terminare - uno spettacolo come questo, di due ore e con ben due intervalli, con puntualità cronometrica alle ore esatte indicate nel programma; frutto di civiltà nella gestione (poltrone riservate e autorità attese sono fenomeni sconosciuti; assenti nella lingua anche i vocaboli di riferimento) e di radicata educazione allo spettacolo che rende naturale, da parte del pubblico, la puntualità nell’arrivo e del tuttodel tutto inconcepibile il suo contrario.
[https://www.youtube.com/watch?v=l6wWoWSm8l8]
Sara Di Giuseppe, 12 ottobre 2023
11/10/23
Kundschafter des Friedens
“…È stato sottoscritto dal Prefetto di Ascoli Piceno e dai sindaci di San Benedetto, Grottammare e Cupra Marittima
l’atto di rinnovo del Protocollo d’intesa per il Controllo di vicinato”
[stampa locale del 6 ottobre ‘23]
==============
Si chiamavano Kundschafter des Friedens, Cittadini della pace (“Dove mai si va a ficcare la pace ”) i benemeriti cittadini che nella DDR del secolo scorso collaboravano con la truce STASI, la principale polizia segreta della Germania Est, facendo gli spioni per il governo a danno del vicino, dell’amico, del collega, del gatto di casa, dello ziodamerica, di nonna Abelarda ecc.
Gli spioni odierni e nostrani si chiamano, in modo comico e sinistro, “Gruppi di vicinato”.
Cambiati tempi e luoghi, la sostanza non è poi così diversa, se “il coinvolgimento dei cittadini nelle attività di osservazione della propria zona di residenza mediante la costituzione di una rete di osservatori (Gruppi di Vicinato) consentirà alla Forze dell’ordine e alle Polizie locali di godere [godere?] di un più ampio quadro informativo per prevenire la commissione di illeciti”.
Così recita il protocollo d’intesa appena rinnovato dopo quello stipulato nel 2019.
La Creatura, partorita dai fulgidi crani del MININTERN italiota come Atena dal cranio di Zeus, amorevolmente cullata e nutrita dalle Prefettured’ogni dove, gioia e vanto delle medesime, celebra il suo quarto anno di vita nel Piceno e ne rinnova gli accordi: la stampa velina e strombazza senza un dubbio o un plissé; gode l’autorità prefettizia ascolana orgogliosa di cotal successo; si uniscono a coorte nell’orgasmo celebratorio i sindaci, le amministrazioni locali, le polizie e tutto il cucuzzaro equipollente.
Ne gioiscono i cittadini, consapevoli che chi veglia sulla sicurezza del loro orticello fa sul serio, me cojoni. Pensate: da una parte i Gruppi di Spioni- insomma, di Vicinato - pronti a riferire a Polizie e Forze dell’ordine comportamenti e attitudini dei propri vicini ritenuti sospetti o sconvenienti o non allineati o addirittura forieri di attività criminose; dall’altra i Vigili Pistoleri - di Monti Azzurri o di altra gamma cromatica disponibile, tranne il rosa che è per femminucce - divenuti anche loro presenza costante tra noi come Babbo Natale davanti al supermercato a dicembre, i pistoloni penzolanti come i cowboy negli spaghetti-western di Sergio Leone.
Chi di noi non si sentirebbe perfettamente protetto come una creatura nel materno liquido amniotico?
Giunti al traguardo luminoso del quarto anno, sarà anzi doveroso e opportuno che gli occhiuti custodi della sicurezza del vicinato vengano dotati di strumenti adeguati.
Per cominciare, divise possibilmente spettacolari, atte a suscitare reverente ammirazione e salutare soggezione nell’uomo della strada; per un più di autorevolezza, forzuti veicoli tipo pick up da guerra iraqena con possibilità di carico estesa a mitragliette e simili.
Così equipaggiati potrebbero perfino, quando occorra, unirsi alle squadracce del territorio che sparano ai cinghiali: qualche fuciletto a tappo sarà utile per fare rodaggio in vista di più impegnative performances.
Li si fornisca altresì di distintivi e stendardo, né si trascuri di dotarli di un proprio inno dal contenuto edificante da intonare con fierezza nei pubblici consessi.
La sicurezza dei cittadini sarà così custodita su ogni fronte: che siano i cinghiali, i feroci migranti da sbarco, il vicino scostumato o quello dalla presunta dubbia moralità, il terrorista in sonno camuffato da Peter Pan.
Finalmente militarizzati, pronti a vender cara la pelle come il governo fratelloditaglia vuole e come dio-patria-famiglia dispone, sapremo di aver fatto un ulteriore, grande passo verso la civiltà. Uccidentali siamo (cpr. Bergonzoni) e lo saremo sempre di più. Amen.
========
“Dopo di che non parve strano che, il giorno seguente, i maiali che sovrintendevano al lavoro nella Fattoria reggessero tutti una frusta nella zampa”
(G.Orwell - La Fattoria degli animali, 1945)
Sara Di Giuseppe - 10 ottobre 2023