Giovanni Silvagni, “Eteocle e Polinice”
29° Incontro Nazionale dei TEATRI INVISIBILI direzione artistica Laboratorio Teatrale Re Nudo 7 contro Tebe da Eschilo I Sacchi di Sabbia
Grottammare – Teatro delle Energie 30 Settembre 2023
Prendi I Sacchi di Sabbia, mettili non vicino alla finestra ma su un palcoscenico, e hai una tragedia. E CHE TRAGEDIA! Modernissimo Eschilo di quasi 2.500 anni fa: perché i classici è questo che fanno, non smettono di parlarci di noi, e dell’uomo, e dell’umana follia. Se solo li avessimo mai ascoltati… Puoi perfino re-inventarli in chiave comica, e farlo con genialità e misura come accade qui stasera, e in perfetta operazione meta-teatrale materializzare sulla scena un allampanato Eschilo in total black; accusarlo - per bocca dell'austera corifea - di noioso maschilismo per quel suo piagnisteo sempre affidato alle donne come se queste nient’altro sapessero fare che piangere e lamentarsi; per quel suo Eteocle maschilista come pochi che sulle donne - Non ha peso la donna, non deve - ne pensa e ne dice di ogni. Puoi perfino affidare il piagnisteo del Coro al pittoresco partenopeo di due prefiche in nero [gli impagabili interpreti uomini en travesti] che si trasformeranno poi nei due gemelli: proprio loro, Eteocle e Polinice, destinati a farsi fuori vicendevolmente in duello perché la maledizione del padre Edipo e lo spietato destino degli infelici Labdacidi si compia. Puoi fare tutto questo, smontare il tragico anche nel linguaggio, puoi comicamente infilarvi anacronismi e paradossi, e il senso della tragedia eschilea non sarà meno pregnante: arriva anzi dritto alla testa del pubblico giovane un po’ spaesato, di quello adulto che le cose già le sa e forse ancora ci spera, di quello diversamente giovane che ormai non ci spera… Perché il tema è pur sempre la guerra, attività prediletta dall’umana specie dalle caverne in qua - meglio se fratricida, ma qualche guerra forse non lo è? - ed Eschilo potrebbe aver scritto la sua tragedia nel nostro oggi globale e feroce. C’è perfino qualcosa di pirandelliano nei personaggi (le prefiche-coro, la corifea) che battibeccano con l’autore, ne contestano le scelte e gli orientamenti, ma il pathos è ancora, e intero, quello antico, e l’arcaismo eschileo non esclude anzi enfatizza la propria “modernità”. L’eco dei duelli in corso alle 7 porte della sventurata Tebe non perde nulla, nella sua chiave grottesca, del sinistro clangore delle armi evocato dalla corifea (Disperata - non meno di voi, uomini - se uno stato rovina); dell’orrore per i guerrieri argivi annientati duello dopo duello dagli invincibili tebani; né del climax tragico dal quale emergeranno i fratelli morituri, una volta che il colorato scudo sullo sfondo si sarà sdoppiato e ciascuno dei due guerrieri muoverà consapevole verso il sacrificio finale. …Tebe è sicura, ma la terra s’imbeve del sangue dei príncipi fratelli. […] Di terra, ne avranno quanta ne copre la tomba. Sono piccoli pupazzi bardati di tutto punto d’armi e di scudo, i combattenti evocati dalla cronaca “in diretta” dei duelli - così uguali a certe deliranti figure contemporanee, santificate dai truci nazionalismi di ritorno - e via via che passano a miglior vita cadono con un piccolo tonfo buffo dalla mano che li regge; ma il tragico che trascolora nel comico non lo fa con leggerezza e, come nel teatro dei pupi, l’angoscia - il phobos- è l’altra faccia dell’enfasi eroica, e lo sghignazzo cede il passo all’accorata supplica ad Ares: …E tu, Ares, veglia sul borgo che ha Cadmo /nel nome: fa' capire ch'è tuo, che l'ami! Ma la pace appartiene all’altra metà del mondo, quella femminile, contrapposta ad un società maschia e guerriera non così dissimile dall’oggi: è dunque la voce della corifea ad intonare, nel finale di questo “dramma pieno di Ares” (così lo definì Gorgia) e sopra l’orrore fratricida, la struggente ballata Don’t kill the Baby & the son. Ed è quasi una preghiera, perché una nuova coscienza “specificamente umana” possa instaurarsi, nel ripudio di ogni logica sanguinaria e fratricida.
Sara Di Giuseppe - 2 ottobre 2023 |
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