KIRK LIGHTSEY QUARTET
KIRK LIGHTSEY PIANO PAUL ZAUNER TROMBONE WOLFRAM DERSCHMIDT CONTRABBASSO DUSAN NOVAKOV DRUMS
ASCOLI PICENO – COTTON LAB [Cotton Jazz Club Ascoli] 3. 5. 2024 h21
“Il senso del jazz, tra filologia e modernità”: poteva essere questo, stasera, il titolo della straordinaria Lectio Magistralis in musica del - veterano - Kirk Lightsey e del suo - non veterano - quartetto al Cotton Jazz Club Ascoli.
Una “lezione” entusiasmante e imperdibile, in cui il jazz standard della tradizione novecentesca è apparso diverso, libero da quella sua patina di tarda malinconia, lontano da quella sua immagine un po’ statica e prevedibile. Rinvigorirlo con un mosaico di sonorità abbaglianti e tuttavia rispettose, è ciò che ha fatto il pianista che forse più di tutti del jazz “antico” s’intende: Kirk Lightsey, appunto. Facendo emergere, di quel jazz, da un lato l’anima filosofica nascosta: la romantica rotondità dello swing - di lontano sapore beethoveniano, perfino - la pulsante energia sotterranea del blues, le prudenti o avventurose esplorazioni tra realtà e fantasia che di continuo fermentano in questo fluido genere musicale; producendo, dall’altro, continue innovazioni lampo sul tema, di sorprendenti e inesauribili tecnica, talento e giovanile energia. Sempre con classe naturale, dialogando instancabile e felice in ogni maniera, teatralmente, coi suoi fidi musicisti e con noi.
Neppure all’intervallo ci ha concesso riposo, abbracciandoci uno ad uno nei corridoi, al bar. Si toglie la giacca giusto alla fine del concerto. Prima, pattugliando i muri dell’auditorium con le locandine, i manifesti, i poster e i murales fotografici dei musicisti esibitisi nei decenni al Cotton (saranno più di cento!), s’era soffermato su ognuno con devozione e affetto: di tutti si ricorda, ha suonato con tutti…
Oggi Lightsey viaggia nel tempo e non smetterà, rilancerà anzi ancora più forte, col suo jazz d’impianto tradizionale eppur fonte di “modernità” e di quelle sorprese che da lui ti aspetti… E tuttavia niente di spaesante, stravagante, funambolico. Con le dita sprint che si muovono con sicura gioia come sul velluto, nelle dinamiche percussive come nelle sospensioni mistiche; e note tante, ma col dovuto infinitesimale silenzio tra loro. E quei suoni determinati - temperati - e indeterminati, e il coesistere di modo maggiore e minore, le dissonanze al cubo, quei riverberi elicoidali ed eleganti. E quel tempismo d’incanto del quartetto, che tutto enfatizza.
Per i tre, lo spartito è lui, comunicatore naturale che “vede” la musica prima di sentirla. Però attenti a quei 3, relativamente giovanissimi, ma tutt’altro che comparse.
Il composto Novakov alla batteria, gli occhi puntati su Lightsey a intuirne e sottolinearne le invenzioni, le sue “riflessioni” sui piatti, le sue raffiche-di-pace morbide, i suoi pensieri sorridenti, sempre al tempo giusto.
E Derschmidt-con-cappello al contrabbasso, magro ma tosto, finissimo solista, ordinato mediatore di suoni e di silenzi e complice delle trombonesche incursioni del possente Zauner - lì davanti col trombone a stantuffo di locomotiva a vapore dalle bassissime monumentali frequenze di vocalità di foresta - pensoso fabbricante di note d’avventura quasi buffe, quasi umane, chissà… forse di derivazione fiabesca. Anima nobile e perfino emozionale attore solista, declamatore autorevole di storie e canti baritonali in inglese (beh, con accento viennese…).
BRA--VI.
PGC - 10 maggio 2024
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