20/09/24

C’è del giallo, al porto


Ci sarà un tramonto di fuoco stasera

ma è ancora presto

Rientrano 3 barche, le stesse di ieri

asciutte, neanche uno sbuffo di mare

Sto asciutto anch’io sullo scoglio

Niente onde, niente schiuma

Le vibrisse lucide, le orecchie tese, gli occhi grandi e brillanti

Guardo, studio chi passa.

            Sono il nuovo gatto del porto 

            la sentinella del molo sud

            Perché c’è del giallo, al porto

            Oltre i traffici.

Mi chiamo Marlowe, investigatore privato 

un po’ ribelle, ma né triste né solitario

Perché io guardo, penso, guardo…

Sono sulle tracce di qualcosa

Ci sarà un final.

            Poi di mattina andrò al Soriano.*                            



 *Osvaldo Soriano, Triste, solitario y final - 1973

 

PGC - 19 settembre 2024




15/09/24

CI VUOLE FIUTO!


MARTA BLUE  “SUMMER OF FEAR”  a cura di Alex Urso     [ph Ronan Chris Murphy]

Ripatransone – FIUTO ART SPACE   10 agosto - 6 ottobre 2024


     “Per fare certe cose ci vuole orecchio!”, cantava Enzo Jannacci. Non era una canzonetta, era un’allegoria in musica, e aveva tanti sensi e messaggi. Come quello diretto ad intellettuali, musicisti, agli artisti in genere, sulla difficoltà di stare al tempo con la base, la massa, la gente: Non basta “aver tutta la voce in gola”, senza la base - senza la massa, la gente… - non si può cantare, e “con la base non si può stonare”. “E noi come dei pirla”, perché…“la base va avanti anche da sola”. Messaggio politico geniale, forte.

     “Per fare certe cose ci vuole orecchio!”, ma non solo. Se tra le “certe (altre) cose” vuoi inventare – e con un piccolissimo budget farla funzionare – una piccola Galleria d’Arte Contemporanea in un borgo di campagna (magari un po’ digiuno dal punto di vista dell’arte moderna/contemporanea), l’orecchio ti serve poco se non hai fiuto. Perché, ad es., come scegliere e programmare gli artisti? Come ospitarne le opere in un spazio minimo? Come dare un senso alla sequenza di piccoli grandi eventi? Come attrarre gente distratta o poco curiosa, come appassionarla? Come “mettere in fila” gli artisti nel progetto che hai in mente? Come educare il borgo, e il circondario, a capire l’arte contemporanea? Come non perdersi?... Ci vuole fiuto, fiuto continuo. Alex ne ha, è artista, è del mestiere, ha voglia, è giovane, è del posto. Quindi (e già da un po’) ecco FIUTO. Di nome e di fatto. Sì, per fare certe cose… CI VUOLE (anche) FIUTO!


     Anche la più recente mostra “SUMMER OF FEAR”- Estate di (o da) paura - ne è la dimostrazione. Quadri di foto di paura. Ma non le paure democratiche e volgari dei nostri tempi d’estate – la paura dei ladri, degli incendi, delle bombe d’acqua; non le paure morbide degli anni ’60 – quelle sentimentali che Bruno Martino cantava in “Odio l’estate”; non le paure di morte della guerra nell’estate del ’40. Marta Blue fotografa le paure metafisiche di oggi frugando come una TAC nei nostri inconsci, indagando su azioni o pensieri rimossi o trasformati in ricordi. 

Paure di un certo odore, volatili ma concrete, insite nel nostro DNA o pronte ad entrarci, di cui siamo inconsapevoli o da cui essere affascinati. Foto cinematografiche un po’ alla Dario Argento ma in chiave pop. Foto surreali come certe canzoni di Jannacci, dove la timidezza può non farti capire la tragedia, i tormenti, la paura delle cose e della gente, o del nulla. Foto fittizie del reale, di profonda bellezza. “Estate di (o da) paura” dove la paura, audacemente fotografando anche se stessa, si lascia scoprire ma non comprendere, e vi intravvediamo un futuro che forse (non) è “un buco nero in fondo al tram” [E.J. - Io e te - 1979]. 

Magari anche la paura ha un fiuto.

PGC - 14 settembre 2024

11/09/24

UNA LACRIMA SUL VISO

 

Bobby Solo, Festival di Sanremo 1964

 

“Altrove abbiamo già visto come (…) si sia mantenuta finora incrollabile la coesione istituzionale fra i politici responsabili della gestione di un paese sul quale, senza il minimo preavviso, si è abbattuta una calamità senza precedenti nella lunga e da sempre laboriosa storia dei popoli conosciuti”
(José Saramago, Saggio sulla lucidità, 2004)

 

 

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Avrebbero commosso i sassi, signori miei, le telelacrime dell’ormai ex Ministro della Cultura Sangiuliano sedotto e abbandonato: nonostante il clamoroso ossimoro tra i due termini “Cultura” e “Sangiuliano”, non possiamo evitare che la commozione ci assalga alla gola.

 

Per fortuna, Governo e giornaloni embedded sono lì al Miniver, Ministero della Verità, a distribuire al popolo, insieme alle brioches, la corretta narrazione dei fatti: nei quali - nessuno osi negarlo - c’è un’aggressora  e c’è un aggredito.
Da una parte una luciferina mantide che seduce un onest’uomo per ottenerne vantaggi e poi divorarlo; dall’altra l’onest’uomo le cui tardive tempeste ormonali hanno obnubilato la capacità di separare vita e ormoni privati dal ruolo istituzionale.

 

Cherchez la femme, dunque? Gossip? Questione privata? Commedia sexy al contrario?
Ma per favore!
Solo rivoltanti giochi di potere, solo indecenza di un ceto politico ignaro – e non da ora – di dignità ed etica pubblica.

 

Stia sereno tuttavia, il vivace ometto: non mancherà chi voglia intitolargli un aeroporto, o finanche un museo - magari proprio il  MAXXI, fresco orfano del suo impettito Mister basetta - anche prima della sua statisticamente ancor lontana dipartita; santo subito, vittima di femmine senza scrupoli, novello Penteo sbranato da dionisiache baccanti lo proclamano già salotti televisivi e giornalistiche lenzuolate; martire e padre della patria lo consacreranno la Grande Fratella e tutto il clownesco cucuzzaro di fasciogoverno.

 

Perché è innegabile, signori: non solo la di lui innovativa impronta culturale verrà ricordata da qui alla posterità [suo, il suggestivo mix cronologico Colombo-Galileo; suo, l’Alighieri indicato come fondatore del pensiero di destra italiano (Dante sta’ buono, dai, non te la prendere, fa’ come dice il tuo Virgilio: “Non ragioniam di lor ma guarda e passa”)].

 

Indimenticabile resterà di lui, soprattutto, l'alacre lavorio per blindare il Ministero, riempirlo di suoi fedelissimi negli uffici strategici onde renderlo funzionale alla propaganda del nuovo corso politico (“patria, nazione modernità” le parole-chiave del suo programma).
A lungo lo si ricorderà, inoltre, per il diluvio di nomine nei fulgidi giorni del suo mandato: quel centinaio di dirigenti presso il suo Ministero; quella decina di direttori di Musei di alto livello (come gli Uffizi e Brera); quella trentina di esperti - nomine firmate fresche un attimo prima delle dimissioni, apperò - per la Commissione selezionatrice dei film cui destinare finanziamenti pubblici (oltre 50 milioni di euro, una cosuccia); quelle nomine di consulenti cadute a pioggia sul suo cerchio magico ministerial-campano.

Stiamo sereni, tuttavia: per un Genny Delon che con una lacrima sul viso dice addio, ecco un cremoso Giuli-basetta che arriva trafelato e contento dal Maxxi: ce l’aveva messo - imprevedibilità dell’umane sorti! - proprio il Sangiuliano amans; di provata fede dio-patria-famiglia e Fiamma tricolore, post-fascista quanto basta, incline a filosofare-senza-laurea a intermittenza, “non distingue un quadro dalla cornice” (copy Dagospia): dunque la persona giusta al posto giusto (tempeste ormonali permettendo).

 

Quanto a noialtri, che dalla balla della nipote di Mubarak consacrata dal voto di un Parlamento servo e genuflesso pensavamo - ingenui! - di aver visto l’infimo livello della politica italiota, noi sì, abbiamo molto per cui piangere  (non ce ne voglia il Sangiuliano illacrimans).

E lo faremo.

Lo faremo per questo ceto politico - con il circo di servitori che gli ruota intorno - che fa strame della Costituzione ogni giorno, che legifera ad esclusiva tutela del privilegio; che dilapida denaro pubblico in armi, plaude alla guerra infinita e ignora i massacri e lo scempio; lo faremo per i migranti affogati a un passo dalla costa (che un indegno ministro ha chiamato “carico residuale”); per le navi umanitarie bloccate da leggi criminali; lo faremo per il diciottenne carbonizzato in un carcere in cui non doveva stare; per i morti di ogni giorno sul lavoro che non avranno giustizia; lo faremo per questo nostro paese satollo, ciecamente arreso agli osceni artèfici del suo declino.

Abbiamo, avremo molto per cui piangere: bombe di lacrime, altro che “una lacrima sul viso”.
 
E ci perdonino le mantidi e le melone e tutte le altre grottesche marionette di questo teatrino di quart'ordine, se guardandole diremo, col grande nostro Giacomino: "Non so se il riso o la pietà prevale".

 

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“Per concludere banalmente, come non si stanca di insegnarci l’antico proverbio, il cieco, credendo di farsi il segno della croce, si ruppe il naso”
(José Saramago, Cecità, 1996)

Sara Di Giuseppe - 9 settembre 2024