“Altrove abbiamo già visto come (…) si sia mantenuta finora incrollabile la coesione istituzionale fra i politici responsabili della gestione di un paese sul quale, senza il minimo preavviso, si è abbattuta una calamità senza precedenti nella lunga e da sempre laboriosa storia dei popoli conosciuti”
(José Saramago, Saggio sulla lucidità, 2004)
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Avrebbero commosso i sassi, signori miei, le telelacrime dell’ormai ex Ministro della Cultura Sangiuliano sedotto e abbandonato: nonostante il clamoroso ossimoro tra i due termini “Cultura” e “Sangiuliano”, non possiamo evitare che la commozione ci assalga alla gola.
Per fortuna, Governo e giornaloni embedded sono lì al Miniver, Ministero della Verità, a distribuire al popolo, insieme alle brioches, la corretta narrazione dei fatti: nei quali - nessuno osi negarlo - c’è un’aggressora e c’è un aggredito.
Da una parte una luciferina mantide che seduce un onest’uomo per ottenerne vantaggi e poi divorarlo; dall’altra l’onest’uomo le cui tardive tempeste ormonali hanno obnubilato la capacità di separare vita e ormoni privati dal ruolo istituzionale.
Cherchez la femme, dunque? Gossip? Questione privata? Commedia sexy al contrario?
Ma per favore!
Solo rivoltanti giochi di potere, solo indecenza di un ceto politico ignaro – e non da ora – di dignità ed etica pubblica.
Stia sereno tuttavia, il vivace ometto: non mancherà chi voglia intitolargli un aeroporto, o finanche un museo - magari proprio il MAXXI, fresco orfano del suo impettito Mister basetta - anche prima della sua statisticamente ancor lontana dipartita; santo subito, vittima di femmine senza scrupoli, novello Penteo sbranato da dionisiache baccanti lo proclamano già salotti televisivi e giornalistiche lenzuolate; martire e padre della patria lo consacreranno la Grande Fratella e tutto il clownesco cucuzzaro di fasciogoverno.
Perché è innegabile, signori: non solo la di lui innovativa impronta culturale verrà ricordata da qui alla posterità [suo, il suggestivo mix cronologico Colombo-Galileo; suo, l’Alighieri indicato come fondatore del pensiero di destra italiano (Dante sta’ buono, dai, non te la prendere, fa’ come dice il tuo Virgilio: “Non ragioniam di lor ma guarda e passa”)].
Indimenticabile resterà di lui, soprattutto, l'alacre lavorio per blindare il Ministero, riempirlo di suoi fedelissimi negli uffici strategici onde renderlo funzionale alla propaganda del nuovo corso politico (“patria, nazione modernità” le parole-chiave del suo programma).
A lungo lo si ricorderà, inoltre, per il diluvio di nomine nei fulgidi giorni del suo mandato: quel centinaio di dirigenti presso il suo Ministero; quella decina di direttori di Musei di alto livello (come gli Uffizi e Brera); quella trentina di esperti - nomine firmate fresche un attimo prima delle dimissioni, apperò - per la Commissione selezionatrice dei film cui destinare finanziamenti pubblici (oltre 50 milioni di euro, una cosuccia); quelle nomine di consulenti cadute a pioggia sul suo cerchio magico ministerial-campano.
Stiamo sereni, tuttavia: per un Genny Delon che con una lacrima sul viso dice addio, ecco un cremoso Giuli-basetta che arriva trafelato e contento dal Maxxi: ce l’aveva messo - imprevedibilità dell’umane sorti! - proprio il Sangiuliano amans; di provata fede dio-patria-famiglia e Fiamma tricolore, post-fascista quanto basta, incline a filosofare-senza-laurea a intermittenza, “non distingue un quadro dalla cornice” (copy Dagospia): dunque la persona giusta al posto giusto (tempeste ormonali permettendo).
Quanto a noialtri, che dalla balla della nipote di Mubarak consacrata dal voto di un Parlamento servo e genuflesso pensavamo - ingenui! - di aver visto l’infimo livello della politica italiota, noi sì, abbiamo molto per cui piangere (non ce ne voglia il Sangiuliano illacrimans).
E lo faremo.
Lo faremo per questo ceto politico - con il circo di servitori che gli ruota intorno - che fa strame della Costituzione ogni giorno, che legifera ad esclusiva tutela del privilegio; che dilapida denaro pubblico in armi, plaude alla guerra infinita e ignora i massacri e lo scempio; lo faremo per i migranti affogati a un passo dalla costa (che un indegno ministro ha chiamato “carico residuale”); per le navi umanitarie bloccate da leggi criminali; lo faremo per il diciottenne carbonizzato in un carcere in cui non doveva stare; per i morti di ogni giorno sul lavoro che non avranno giustizia; lo faremo per questo nostro paese satollo, ciecamente arreso agli osceni artèfici del suo declino.
Abbiamo, avremo molto per cui piangere: bombe di lacrime, altro che “una lacrima sul viso”.
E ci perdonino le mantidi e le melone e tutte le altre grottesche marionette di questo teatrino di quart'ordine, se guardandole diremo, col grande nostro Giacomino: "Non so se il riso o la pietà prevale".
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“Per concludere banalmente, come non si stanca di insegnarci l’antico proverbio, il cieco, credendo di farsi il segno della croce, si ruppe il naso”
(José Saramago, Cecità, 1996)
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