30° Incontro Nazionale dei
TEATRI INVISIBILI
Direzione artistica
Laboratorio Teatrale Re Nudo
LA SPARANOIA
Atto unico senza feriti gravi purtroppo
di Niccolò Fettarappa
con
Niccolò Fettarappa, Lorenzo Guerrieri
e il contributo intellettuale di Christian Raimo
17 Ottobre 2024 h 21
Teatro Concordia – San Benedetto del Tronto
“Se non disturba nessuno noi di sinistra timida facciamo una merenda”. “Coi succhetti”.
Il succo di frutta in brick, quello che ha segnato generazioni: indelebile, rassicurante come la merenda e la nutella, le assemblee d’istituto, i cortei, le agitazioni, la tivù dei ragazzi…
Quei ragazzi sono oggi i trentenni della generazione Z, cresciuta dalla metà degli anni Novanta, generazione passata da Digos boia agli slogan gridati bevendo succhetti e cantando Jovanotti.
E i settantacinque minuti di questa Sparanoia senza feriti gravi purtroppo sono una discesa nelle malebolge poco tragiche e molto grottesche del nostro tempo malato e di un’età – è stato scritto – "dimissionaria da sé stessa".
Ci sono tutti, i simboli del ripiegamento, giovanile e non solo; ci sono le sbarre di prigioni mascherate che hanno ingabbiato slanci e speranze, fatto sì che la miccia crepiti sempre senza che la bomba della rivoluzione riesca ad esplodere; ci sono gli stereotipi massmediatici - droga, movida, manifestazioni, fumogeni - che criminalizzano una generazione in catalessi politica, figlia del fallimento dei padri e di ceti dirigenti mediocri e feroci: il nulla alle spalle, davanti il disciplinato ritorno alla merenda e ai succhetti.
Generazioni compresse da un nuovo ordine garantito da mediocri pagliacci istituzionali in manganello e divisa, da un’Italietta di decreti legislativi plasticamente titolati Me prudono le mano…
Lo spazio perimetrato da quattro tralicci preclude altri possibili orizzonti: lo occupa al centro un domestico stendino bianco, “segno scenico della repressione casalinga”, estensione delle mamme-droni dalla presenza soffocante e ossessiva; lo circoscrive il notiziario tivù: ci sono solo “Cattive notizie”, lo conferma autorevolmente “Il Resto del Merdino” e d’altra parte va tutto male nel mondo e anche loro, i trentenni, non stanno per niente bene, fra depressione e ansia e la psicologa quando la nutella non basta più.
Le scene scandiscono una dopo l’altra, incalzanti, l’esilarante eppur amara incursione nel disincanto “degli giovani”, orfani di una sinistra pavida e sconfitta, segnati dal fallimento dell’utopia e dei progetti rivoluzionari.
Nello spazio che si restringe, nella repressione manesca che indossa il cappello d’alta uniforme (col pennacchio!) del carabiniere amicone, i mondi immaginati diventano quella piastrella da un metro quadro che è la casa o l’aspirazione ad essa, prigione da un metro quadro appunto, però - s’intende - abitabile e calpestabile...
Le velleità degli antagonismi, l’illusione di chi ha creduto di far politica e realizzare sogni - per tutti prima che per sé - si spengono in discreti, educati flash mob e sit-in con le gambe a farfallina - “Tu mi assicuri che questa ginnastica sia propedeutica alla lotta di classe?”
Non resta che convogliare il disagio interiore, il senso di colpa anzi il senso di golpe per il non fatto - c’ho i disordini mentali, dottoressa, c'ho il Marx mentale - nell’analisi della terapeuta; non resta che vedere il pugno chiuso della Rivoluzione trasformarsi in un paccuto pugnaccio di destra… Un destro, appunto.
Sarà infine l'interminabile nastro bianco e rosso da crime scene a circondare il tutto, a ingabbiare nelle sue spire Niccolò della sinistra timida, e il grido della rivoluzione sarà solo un infinitamente reiterato, allucinato, Grazie!...
Lorenzo e Niccolò, con la loro “atletica agitata della parola”, la contundente inventiva di quest’imprevedibile teatro dell’assurdo, le audacie semantiche e gli artifici retorici, la pirotecnica abilità nel maneggiare simboli e dissacrare totem e tabù, non avrebbero potuto rappresentare più plasticamente la fine dei sogni, “la tragedia di un tempo ridicolo” e ciecamente appagato che innalza da solo, con zelo, i muri della proprie prigioni.
Possano almeno, col loro talento e l’impegno artistico, contribuire ad alimentare l’indignazione.
A giudicare dalla scarsa (quasi “invisibile”) partecipazione sambenedettese, speranze pochine ma non stupisce: è San Benedetto, bellezza.
===============
“L’interrogativo più acuto che dobbiamo porci è perché questo disagio interiore non diventi coscienza di classe, perché questo basso continuo di recriminazione abbia raramente un acuto di rabbia. Figuriamoci se si manifesta come ribellione!”
Il succo di frutta in brick, quello che ha segnato generazioni: indelebile, rassicurante come la merenda e la nutella, le assemblee d’istituto, i cortei, le agitazioni, la tivù dei ragazzi…
Quei ragazzi sono oggi i trentenni della generazione Z, cresciuta dalla metà degli anni Novanta, generazione passata da Digos boia agli slogan gridati bevendo succhetti e cantando Jovanotti.
E i settantacinque minuti di questa Sparanoia senza feriti gravi purtroppo sono una discesa nelle malebolge poco tragiche e molto grottesche del nostro tempo malato e di un’età – è stato scritto – "dimissionaria da sé stessa".
Ci sono tutti, i simboli del ripiegamento, giovanile e non solo; ci sono le sbarre di prigioni mascherate che hanno ingabbiato slanci e speranze, fatto sì che la miccia crepiti sempre senza che la bomba della rivoluzione riesca ad esplodere; ci sono gli stereotipi massmediatici - droga, movida, manifestazioni, fumogeni - che criminalizzano una generazione in catalessi politica, figlia del fallimento dei padri e di ceti dirigenti mediocri e feroci: il nulla alle spalle, davanti il disciplinato ritorno alla merenda e ai succhetti.
Generazioni compresse da un nuovo ordine garantito da mediocri pagliacci istituzionali in manganello e divisa, da un’Italietta di decreti legislativi plasticamente titolati Me prudono le mano…
Lo spazio perimetrato da quattro tralicci preclude altri possibili orizzonti: lo occupa al centro un domestico stendino bianco, “segno scenico della repressione casalinga”, estensione delle mamme-droni dalla presenza soffocante e ossessiva; lo circoscrive il notiziario tivù: ci sono solo “Cattive notizie”, lo conferma autorevolmente “Il Resto del Merdino” e d’altra parte va tutto male nel mondo e anche loro, i trentenni, non stanno per niente bene, fra depressione e ansia e la psicologa quando la nutella non basta più.
Le scene scandiscono una dopo l’altra, incalzanti, l’esilarante eppur amara incursione nel disincanto “degli giovani”, orfani di una sinistra pavida e sconfitta, segnati dal fallimento dell’utopia e dei progetti rivoluzionari.
Nello spazio che si restringe, nella repressione manesca che indossa il cappello d’alta uniforme (col pennacchio!) del carabiniere amicone, i mondi immaginati diventano quella piastrella da un metro quadro che è la casa o l’aspirazione ad essa, prigione da un metro quadro appunto, però - s’intende - abitabile e calpestabile...
Le velleità degli antagonismi, l’illusione di chi ha creduto di far politica e realizzare sogni - per tutti prima che per sé - si spengono in discreti, educati flash mob e sit-in con le gambe a farfallina - “Tu mi assicuri che questa ginnastica sia propedeutica alla lotta di classe?”
Non resta che convogliare il disagio interiore, il senso di colpa anzi il senso di golpe per il non fatto - c’ho i disordini mentali, dottoressa, c'ho il Marx mentale - nell’analisi della terapeuta; non resta che vedere il pugno chiuso della Rivoluzione trasformarsi in un paccuto pugnaccio di destra… Un destro, appunto.
Sarà infine l'interminabile nastro bianco e rosso da crime scene a circondare il tutto, a ingabbiare nelle sue spire Niccolò della sinistra timida, e il grido della rivoluzione sarà solo un infinitamente reiterato, allucinato, Grazie!...
Lorenzo e Niccolò, con la loro “atletica agitata della parola”, la contundente inventiva di quest’imprevedibile teatro dell’assurdo, le audacie semantiche e gli artifici retorici, la pirotecnica abilità nel maneggiare simboli e dissacrare totem e tabù, non avrebbero potuto rappresentare più plasticamente la fine dei sogni, “la tragedia di un tempo ridicolo” e ciecamente appagato che innalza da solo, con zelo, i muri della proprie prigioni.
Possano almeno, col loro talento e l’impegno artistico, contribuire ad alimentare l’indignazione.
A giudicare dalla scarsa (quasi “invisibile”) partecipazione sambenedettese, speranze pochine ma non stupisce: è San Benedetto, bellezza.
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“L’interrogativo più acuto che dobbiamo porci è perché questo disagio interiore non diventi coscienza di classe, perché questo basso continuo di recriminazione abbia raramente un acuto di rabbia. Figuriamoci se si manifesta come ribellione!”
(Christian Raimo - Riparare il mondo - 2020)
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